sabato 24 settembre 2016

Il Babylon Cafè di Castel del Piano (GR)



Il Babylon Café si trova in via dell'Opera a Castel del Piano (Grosseto).
Tè e caffè come in una chaykhune, una sala intera dove ci si ammazza di domino e di backgammon, la terrazza con i tapchan fatti di pallet e tappeti e dietro la cassa un foglio di carta dove il gestore annota i sospesi.
Un posto normale, nel bel mezzo della penisola italiana.

giovedì 22 settembre 2016

Alastair Crooke - Il G20 di Xi. Il mondo sull'orlo di un mutamento radicale.


Traduzione da Conflicts Forum.

Il G20 è stato diverso, questa volta. C'era l'intenzione che lo fosse. I cinesi lo avevano preparato e pianificato perchè così fosse. Come sempre dagli incontri del G20 è venuto fuori poco di concreto da riferire; niente soluzioni di ampia portata, niente progressi "ai margini dei colloqui" per Siria, Ucraina, Yemen o per un ipotizzato piano per controllare il mercato del petrolio. Solo il solito comunicato preconfezionato e tiepido nei toni sul bisogno di crescita economica. I partecipanti hanno per lo più ribadito le posizioni che tutti conosciamo; nel caso delle discussioni sulla Siria e sull'Ucraina la Merkel e Hollande hanno patito di un caso classico di ripensamento all'ultimo secondo ed hanno evitato di parlarne a Putin senza che Poroshenko fosse presente, contrariamente a quanto deciso prima del vertice. In che senso questo G20 è stato diverso, allora? Per avvertire le prime avvisaglie di mutamento occorre ascoltare con attenzione; esiste un nuovo ordine che si sta preparando ad apparire sulla scena quando sarà il momento. Ai preparativi è stata volutamente messa la sordina perché la nuova leadership globale possa palesarsi pacificamente. La parola d'ordine nel nostro caso è "cambiare senza stravolgere".
Di diverso c'era il fatto che questo era senza dubbio il G20 cinese. La Cina non si è limitata ad ospitare il G20 perché l'AmeriKKKa vi piombasse, attestasse la propria "guida", desse l'imprimatur a tutto quanto e poi togliesse veloce il disturbo. Nel corso di questo G20 i cinesi hanno messo in chiaro che la guida spettava a loro, e per mettere le cose ancora più in chiaro si sono assicurati che il mondo vedesse che l'ospite d'onore era il Presidente russo e non quello ameriKKKano, cui è toccato fare esperienza anche di alcune deplorevoli difficoltà tecniche che hanno rovinato il cerimoniale del suo arrivo. In questo, c'era una motivazione più profonda: sottolineare il coordinamento strategico con la Russia, in un contesto in cui si metteva in bella vista la leadership cinese.
Tante volte questa curata coreografia fosse passata inosservata in Occidente, il Presidente Xi si era premurato di riassumere lo spirito del suo G20 nel discorso diretto un mese prima al Partito Comunista Cinese in occasione dell'anniversario della fondazione. In quella ricorrenza il Presidente Xi ha detto al partito che "il mondo è sull'orlo di un mutamento radicale. Stiamo assistendo alla crisi graduale dell'Unione Europea e al collasso dell'economia statunitense: tutto questo finirà per dar vita ad un nuovo ordine mondiale". Al G20 ha ripetuto gli stessi concetti quando, rivolgendosi agli altri capi di stato, ha affermato che il mondo si trova "in una congiuntura critica" a causa della domanda stagnante, della volatilità dei mercati finanziari e della debolezza nei settori del commercio e degli investimenti. Xi ha messo in guardia contro l'attuale tendenza al protezionismo, e ha detto che la minaccia che proviene da mercati molto gonfiati è seria. Poi ha fatto altre due cose. Ha suggerito di pensare la globalizzazione in termini più fisici anziché in termini occidentali e finanziari, e che la regolamentazione del commercio non sia affare soltanto statunitense ma siano frutto dell'accordo tra i rispettivi ministri del G20, che già hanno iniziato a dedicarvisi cercando un accordo su nove principi fondamentali. Xi ha fatto pressione, e con successo, perché il G20 arrivasse a risolversi che è necessaria una riforma delle istituzioni finanziarie internazionali; in concreto Xi si è adoperato affinché in esse si arrivi ad una più equa ripartizione dei poteri e degli status.
In breve, mentre le misure monetarie di tipo convenzionale come il quantitative easing ed anche quelle che convenzionali non sono come l'acquisto di titoli di stato da parte delle banche centrali si sono rivelate così inutili per stimolare la crescita (cosa esplicitamente ricordata dal Viceministro delle Finanze cinese) e dal momento che anche i fattori trainanti della crescita che avevano funzionato in occasione delle precedenti tornate di progresso tecnologico sono svaniti, l'idea dei cinesi per creare connettività fisica attraverso l'iniziativa chiamata OBOR (One Belt, One Road) sembrerebbe essere la maniera più promettente per far ripartire la crescita globale. Questo ha proposto Xi. Tutto questo, unito ad una nuova regolamentazione dei traffici commerciali e alla riforma del sistema finanziario che così com'è è prono agli interessi statunitensi ed europei potrebbe rendere possibile questo "cambiare senza stravolgere", ovvero rappresentare la migliore delle prospettive per un cambiamento che non sia seguito da un collasso finanziario e da uno shock economico. Russia e Cina lo sperano. Un sottaciuto corollario è rappresentato dal fatto che senza questo riallineamento nelle politiche entrambi i paesi prevedono come inevitabile un ulteriore shock simile a quello del 2008.
Deve essere chiaro il fatto che nonostante la morbidezza dei toni utilizzati Cina e Russia non sono affatto soddisfatte, al punto da ventilare senza mezzi termini l'incombere imminente di una crisi, della pessima conduzione del sistema finanziario da parte dell'Occidente e dal suo eccessivo affidarsi ad ulteriori reazioni finanziarizzate e basate sul debito. La cina è in cerca di investimenti concreti, di innovazione, di connettività (via mare, via ferro, oleodotti, connessioni) per diventare il futuro volano della crescita e non altre politiche basate sui tassi di interessi negativi, quantitative easing e acquisto di titoli di stato. L'Occidente può non essere del tutto in disaccordo con le infauste diagnosi di Xi, ma Xi si è raffigurato come intrappolato in un angolo dal quale non può ovviamente uscire senza il rischio di far deflagrare la crisi che l'Occidente sta cercando di rimandare volta dopo volta. Non ci sono alternative, insomma.
Altra cosa chiara, la Cina sta allineando il G20 contro la prerogativa, che gli ameriKKKani si arrogano, di stabilire con il TIPP e il TPP le regole del commercio mondiale e quelle del sistema finanziario. Sembra che il G20 abbia prestato orecchio ad entrambe le proposte cinesi e che in questo G20 la predominanza occidentale abba visto indebolire le prorpie basi. In ogni caso il Presidente Xi si è presentato come leader globale intenzionato ad avere un ruolo guida almeno in campo economico, e punt'affatto intenzionato a lasciare che "il paese indispensabile" rimanga il solo attore sulla scena.
Dimitry Kosyrev è un esperto di questioni politiche dell'Estremo Oriente dell'agenzia di stampa russa RIA Novosti; in u commento sul vertice di Hangzhou ha scritto: "Il fondamento di tutta questa pacifica ascesa della Cina sta nel fatto che questo suo affermarsi non è diretto contro nessun altro paese", ed il linguaggio è riflesso di questo: niente fuochi d'artificio, niente accuse aspre. Nonostante il ricorso ai toni morbidi, il G20 di Xi risulta comunque costituire un mutamento sensazionale nella politica cinese, anche se non c'è stato un botto vero e proprio. Esso rappresenta la fine del principio guida che Deng Xiaoping aveva adottato per la Cina, ovvero che essa non avrebbe mai dovuto assumere un ruolo guida, non avrebbe mai dovuto rivelare le sue vere potenzialità, e non avrebbe mai neppure dovuto fare mosse che andassero al di là di esse. Si potrebbe semplicemente sostenere che Xi ha appena passato il segno in tutti e tre i casi: la Cina sta assumendo un ruolo guida, sta rivelando le proprie potenzialità e con lo OBOR sta anche facendo mosse ambiziose.
Quali conclusioni si devono trarre? Innanzitutto, non è probabile che l'Occidente accolga di buon grado consigli economici di questo genere, ed in ogni caso è improbabile che possa uscire da solo dall'angolo rappresentato dalle proprie politiche monetarie, anche in caso volesse farlo. L'Occidente sta badando più che altro a preservare lo status quo, non certo a cambiare le cose. In secondo luogo anche la Cina deve affrontare i problemi che nascono da decenni di crescita  basata sul debito e su prestiti facili, più l'impellente necessità, difficile da soddisfare, di affrontare una transizione che la porti lontano dal suo vecchio manifatturiero di base. I punti deboli dell'economia interna cinese possono distogliere l'attenzione dalle prospettive di riforme sul piano macroeconomico care a Xi o, peggio, la Cina potrebbe anche trovarsi al centro della prossima crisi finanziaria. In terzo luogo lo OBOR deve affrontare qualche resistenza da parte di stati che temono di ricadere nell'ombra economica cinese. Questo può rallentare lo sviluppo del progetto. Infine, l'AmeriKKKa non cederà mai di propria volontà le redini del sistema finanziario, a costo di scivolare in una nuova crisi globale.
Tutto questo significa forse che il G20 di Xi non ha molte conseguenze per l'Occidente? Assolutamente no. E' verosimile che i funzionari cinesi capiscano molto bene quali sono i limiti contingenti ed è probabile che siano consapevoli del fatto che lo OBOR potrebbe essere un po' utopistico. In altre parole i commmenti che Xi ha fatto in materia di economia occidentale, e che detto per inciso sono condivisi anche dai piani alti a Mosca, fanno pensare che sia a Pechino che a Mosca si consideri inesorabile un ulteriore shock economico o creditizio. Il Presidente Xi, con molta cortesia e molta educazione, ha semplicemente specificato che l'Occidente è nudo e che i suoi strumenti monetari sono assolutamente inutili, e che conseguenza di questo sarà l'instaurarsi di un nuovo ordine. Questa è la bandiera levata alta a Hangzhou; sembra che la maggior parte del G20 vi si stia radunando attorno.
In termini più concreti, ma è presto per dirlo, può darsi che si affermi la seconda implicazione della visione globale del Presidente Xi. Nel discorso indirizzato al Partito Comunista Cinese, Xi ha detto che le relazioni tra Russia e Cina non dovrebbero restare confinate al mero àmbito economico e che i due paesi dovrebbero stringere un'alleanza militare alternativa. "Stiamo assistendo ad atti aggressivi da parte degli Stati Uniti contro la Russia e contro la Cina. Io credo che Russia e Cina possano costituire un'alleanza al cospetto della quale la NATO si ritroverà impotente."
Xi ha offerto alla Russia la collaborazione militare della Cina ed ha espresso la previsione che Russia e Cina insieme possono costituire la guida del nuovo ordine mondiale. Arginare le costrizioni che l'Occidente impone tramite gli strumenti multidimensionali della guerra ibrida di oggi, in altre parole, può essere conditio sine qua non per l'instaurazione del nuovo ordine mondiale; il senso del messaggio di Xi sembra essere questo.
Si deve comunque guardare alla Russia per trovare qualche prima traccia delle intenzioni per il mondo postfinanziarizzato. Il venticinque luglio il Presidente Putin, come ha messo in evidenza William Engdahl, "ha incaricato un gruppo di esperti di questioni economiche chiamato gruppo Stolypin di mettere a punto delle proposte per agevolare la ripresa della crescita; la presentazione al governo è fissata per gli ultimi mesi dell'anno. Putin in questo ha respinto le istanze di due influenti gruppi di interesse economico di orientamento liberista o neoliberista [facenti capo ad Alexei Kudrin, ex ministro delle finanze, e al responsabile delle politiche monetarie della Banca Centrale Russa Elvira Nabiullina] che avevano portato la Russia in una recessione pericolosa dal punto di vista politico ed economico". Il gruppo Stolypin è stato messo in piedi nel 2012 da alcuni economisti di nazionalità russa (ha preso nome da Piotr Arkadevic Stolypin, il Primo Ministro riformista dello Zar Nicola II) per mettere a punto le grandi linee di strategie alternative ed onnicomprensive in grado di diminuire la dipendenza della Russia dal mondo del dollaro e di imprimere un'accelerata alla crescita dell'economia reale.
Engdahl scrive:
"Per molti versi il gruppo Stolypin guarda al genio che operò per il miracolo economico tedesco negli anni successivi al 1871... Friedrich List, lo sviluppatore del primo modello di sviluppo economico nazionale... L'approccio su base storica di List all'economia nazionale si contrapponeva direttamente, all'epoca, alla predominante corrente di pensiero liberoscambista dell'inglese Adam Smith.
Le concezioni di List furono integrate in misura sempre maggiore nella strategia economica del Reich tedesco, a cominciare dalla Zollverein, l'unione doganale tedesca del 1834 che unificò il mercato domestico interno alla Germania. La Zollverein pose le basi perché negli anni Settanta del XIX secolo la Germania si affermasse come colossale ed assoluto rivale economico della Gran Bretagna, superata in ogni campo nel 1914."
Questo modo di intendere le cose indica a livello di massima di concentrare gli sforzi sui punti storicamente forti dell'economia russa, anche se questo implica il ricorso ad un certo contingente di protezioni daziarie e a crediti a basso tasso di interessi erogati sotto controllo governativo. Il piano per il 2015 tracciato da Sergej Glazyev (un importante membro del gruppo Stolypin) e presentato al Consiglio di Sicurezza russo proponeva l'utilizzo delle risorse della Banca Centrale per costituire prestiti mirati ad attività ed industrie, che avrebbero ricevuto denaro dietro corresponsione di tassi di interessi bassi e sovvenzionati calcolabili dall'uno al quattro per cento. Il programma suggeriva anche che fosse lo stato a sostenere le attività private tramite la creazione di "obbligazioni reciproche" per l'acquisto di prodotti e servizi a prezzi concordati. In breve, esso poneva l'acceto su una più ampia autonomia economica, il cui obiettivo deve essere quello di far diminuire la vulnerabilità della Russia a fronte di uno shock economico esterno o a fronte di una guerra geofinanziaria. In breve si tratta di "portare in casa" industrie e creazione di ricchezza.
Si tratta anche di guardare ad una politica monetaria sovrana. Come ha scritto Engdahl, Glazyev ha proposto che il rublo si rafforzi come alternativa al sistema del dollaro, acquistando oro per sostenersi. Ha proposto che la Banca Centrale sia obbligata ad acquistare tutta la produzione aurea delle miniere russe ad un dato prezzo, per far crescere la garanzia aurea del rublo. La Russia è oggi il secondo produttore di oro del mondo.
A maggio il Presidente Putin aveva detto n un discorso al presidium del Consiglio Economico: "Le dinamiche in atto indicano che le riserve e le risorse che sono state le forze trainanti della nostra economia dal 2000 in poi non possono più produrre l'effetto che un tempo erano solite produrre. Ho già detto in passato, e voglio oggi tornare sull'argomento, che ancora una volta la crescita economica non va avanti da sola. Se non troviamo nuove fonti di crescita vedremo la crescita del PIL arrivare pressoché a zero, e a quel punto le nostre disponibilità per il settore sociale, per la difesa nazionale per la sicurezza e per molti altri settori saranno considerevolmente ridotte rispetto a quanto ci serve per un autentico sviluppo del paese e per il suo progresso".
Non è difficile capire che esiste una profonda affinità tra il discorso di Putin al Consiglio Economico ed il messaggio di Xi al G20. La cosa particolarmente interessante è che Putin sembra stia guardando ad un modello economico nazionale, nonostante il comprensibile rifuggire dei russi da qualsiasi cosa paventi il ritorno alla pianificazione centrale sovietica. La frase fondamentale è sicuramente "Ho già detto in passato, e voglio oggi tornare sull'argomento, che ancora una volta la crescita economica non va avanti da sola". Xi sta dicendo le stesse cose. Il vento sta soffiando in questa direzione, verso una diversa concezione dell'economia, con la definanziarizzazione globale e con una interconnettività dei traffici commerciali a servizio dell'economia reale.

domenica 18 settembre 2016

Successo della Lega Nord a Cascina (Pisa): cacciati gli islamonegroterroristi dalle graduatorie per i contributi sugli affitti!



Nel 2016 il partito "occidentalista" della Lega Nord ha ulteriormente sviluppato una ostentata propensione alla tutela dei sudditi dello stato che occupa la penisola italiana che stride non poco con i propositi del suo statuto, che vedono in esso stato un oppressore drenatore di risorse da cui liberarsi con l'indipendenza. Quando ci sono poltrone da occupare e ristoranti da frequentare ovviamente le cose cambiano, ed in passato la Lega Nord ha piazzato uno dei suoi alla carica di ministro degli affari interni di quello stesso stato che avrebbe dovuto abbattere senza che nessuno vi trovasse alcunché di strano, laddove in una società normale un gesto simile avrebbe comportato per lo meno un'accusa di alto tradimento.
In contesti normali invece che a frequentare mescite costose e a fare sfoggio di felpette da pallonaio molti esponenti di quel "partito" sarebbero andati incontro ad una sorte assai meno comoda.
Dal momento che la realtà "occidentale" non ha alcunché di normale ad alcun livello, l'elettorato passivo della Lega Nord ha potuto continuare a non lavorare un giorno in vita propria facendo leva su ingiustizie sociali e condizioni di marginalità estrema, utilizzando una propaganda basata su argomenti sempre più ebeti, miserabili, piccini e scollegati dal reale. Un condensato di incompetenza congiunto a malafede che è l'essenza stessa della politica "occidentalista" come spesso l'abbiamo indicata agli sghignazzi ed al disprezzo dei nostri ventitré lettori che ha però il pregio di rappresentare alla perfezione la maggioranza assoluta dell'elettorato.
Nel 2016 quanto sopra non è bastato alla Lega Nord, uscita stranamente sconfitta dalle elezioni amministrative persino nei distretti in cui è nata, e costretta ad ostentare come successi clamorosi le vittorie in alcuni borghi di provincia e di periferia.
Uno di questi borghi è il comune di Cascina, vicino a Pisa.
Nel settembre dello stesso anno l'amministrazione di Cascina convoca i fogliettieri locali ed annuncia con toni da vittoria bellica che una certa graduatoria per i contributi per gli affitti sarebbe stata sfrondata a tutto beneficio dei sudditi dello stato che occupa la penisola italiana grazie al ricorso ad una certa legge. L'assessore "al sociale" Edoardo Ziello riferisce che "agli stranieri abbiamo chiesto di presentare tramite le ambasciata il certificato sull'assenza di titolarità di diritti di proprietà". Effetto del provvedimento, tra i primi dieci nomi in graduatoria non compaiono Karkanidze, Shehu o Al Daoui.
Solo che ad essere ammessi a pari merito al beneficio sono trentasei nominativi, tra i quali i nati fuori dallo stato che occupa la penisola italiana non mancano davvero.
Questo fa pensare che l'effetto dell'ingegnosità giurisprudenziale della Lega Nord sia sostanzialmente nullo, ma forse siamo noi a sbagliarci.
Il sito del Comune di Cascina riporta anche il bando di ammissione al beneficio. Secondo il borioso Ziello,
è stata rispettata la normativa, "arricchendola da una particolare fonte, costituita dal Dpr 445/2000, che prevede la possibilità da parte della pubblica amministrazione di richiedere ai cittadini comunitari ed extracomunitari idonee certificazioni che attestino l'assenza di titolarità di diritti di proprietà o altri diritti reali all'estero, mediante una procedura che si avvale dell'ausilio dell'ambasciata o del consolato dello Stato di provenienza del cittadino non italiano, per poter operare quello stesso controllo che le varie amministrazioni già eseguono regolarmente e perfettamente nei confronti degli italiani, essendo in collegamento diretto con l'Agenzia delle Entrate e con il catasto".
Le cose stanno in tutt'altro modo, e in considerazione della competenza e dell'obiettività che accomunano elettorato attivo ed elettorato passivo di quel "partito" ci sarebbe stato da stupirsi del contrario.
Tra i gazzettieri convocati non ce n'è stato uno che si sia preoccupato di controllare alcunché e di confutare (e tanto meno ridicolizzare come merita sempre e comunque) l'operato dell'occidentalame amministrativo. Nulla di insolito, nonostante fosse sufficiente un'occhiata agli atti, neppure tanto approfondita. La cosa ha richiesto non più di dieci minuti.
In primo luogo, il signor Ziello non ha neppure letto il bando di cui parla. Si sarebbe accorto che la norma che prevede quanto sopra è legge regionale 96 del 1996, varata venti anni fa dalla consueta giunta di senza dio irrispettosi dell'identità "nazionale" e del destino della civiltà "occidentale", e non il decreto presidenziale 445 del 2000 che regola invece la presentazione della documentazione amministrativa.
Nel bando, l'assenza della condizione su ricordata come conditio sine qua non per l'ammissione al beneficio è indicata ai punti 1E 1 ed 1E 2.
Le graduatorie degli esclusi non riportano alcun escluso per quella motivazione, né nella lista provvisoria, né in quella definitiva.
Questo fa pensare che nella migliore delle ipotesi al Comune di Cascina abbiano convocato i gazzettieri per nulla, millantando meriti non propri.
Cinque anni sono lunghi. Le occasioni per additare l'amministrazione di Cascina allo scherno di chi legge non mancheranno.

sabato 17 settembre 2016

Piazzale Oriana Fallaci


Settembre 2016. Il decennale della morte di Oriana Fallaci è stato occasione di una giornata di iniziative celebrative di carattere strettamente autoreferenziale, organizzate e partecipate da gazzettieri e politici che anche in quest'occasione sono stati attentissimi a rispettare precedenze e gelosie.
Purtroppo rimane come poco delebile strascico una dedica toponomastica a Firenze per la quale è stato comunque scelto un piazzale sgombro: pochi avranno motivo di andarvi per qualche specifico intento o di doverlo nominare per la richiesta di un servizio o di un indirizzo. Chi scrive abita dalla parte opposta della città ed avrà dunque pochissimi motivi per frequentare la linea tranviaria per cui è prevista una fermata nella zona; una boutade adatta all'occasione farebbe anzi auspicare l'introduzione di una variante in corso d'opera che metta il tram (e soprattutto le persone perbene destinate ad utilizzarlo) in condizioni di evitare di passare da quelle parti, anche a costo di lunghe deviazioni con relativi ed ancor più lunghi lavori di costruzione.
Intervistato in proposito da un radiogazzettino lo stesso borgomastro Dario Nardella ha detto con il tono di indulgente gentilezza che si ha nei confronti dei bambini insistenti e delle orianefallaci respiranti che "Firenze è una città tanto grande che può accogliere tutti", lasciando il divertito ascoltatore ad intuire lo spirito della dedica e ad ipotizzare, perché no, un "Largo Pietro Pacciani" o un "Viale Alessandro Pavolini".
Da questo punto di vista il gruppetto di ben vestiti che vive da anni sugli "scritti" di Oriana Fallaci è stato accontentato come sempre si accontentano a Firenze gli "occidentalisti" da toponomastica, destinando alla loro soddisfazione rampe autostradali, vicoli, depositi di cassonetti, parcheggi fuori mano ed altri posti del genere.
Molto più irritante invece è il fatto che gli organizzatori della cosa si permettano di statuire l'avvenuta "ricucitura" tra quella donna e la città di Firenze, che Oriana Fallaci disprezzava per i motivi per cui la disprezza(va)no le straricche viziate che frequentano i costosi negozi del centro, e che nessun fiorentino che rifugga da quel gruppo sociale ha dunque mai avuto motivo alcuno per trattare meglio di una straricca viziata che frequenta i costosi negozi del centro.
La riproposizione continua degli "scritti" e dei "libri" di quella donna tralascia con estrema cura di ricordare le circostanze di surreale ridicolo in cui l'operazione di marketing di Ferruccio de Bortoli nacque e si svolse; con i limitatissimi mezzi a disposizione rimedieremo qui, ricordando le reazioni tra l'irritato e il divertito che le gazzette sollevarono all'epoca nelle persone serie riportando le ciance di quella donna come se fossero prescrizioni per la salvezza dell'"Occidente" e riproponendo un testo del 2001. Lo scrisse un signor nessuno di nome Riccardo Venturi qualche ora dopo che Ferruccio de Bortoli aveva cominciato a sporcare in giro con le sue robette, e lo pubblicò su un newsgroup frequentato da un centinaio di utenti.
Lo scritto circolò per un po' levando qualche reazioncina stizzita.
A confronto con i "libri" di Oriana Fallaci è un autentico monumento di concretezza e pare persino maggiormente ponderato, ma la differenza fondamentale è che a quanto dato saperne nessuno ne ha ricavato un centesimo. Inoltre, testimonia un buon utilizzo delle stesse risorse telematiche che le estimatrici di quella "scrittrice" impestano ogni giorno nel migliore dei casi con foto di cani, foto di bambini, foto di bambini con cani e foto di cani con bambini.
A volte difficili da distinguere gli uni dagli altri.


Lettera ad una rincoglionita non ancora morta
di Riccardo Venturi

"Gentile" signora Fallaci,

Ho appena ricopiato il Suo articolo su un file, e la sa una cosa? Ne son venute quasi dodici pagine intere. So che questo, se mai Le capiterà di leggere quel che sto scrivendo, non La interesserà più di tanto; ed è pienamente comprensibile. Lei se ne sta rinchiusa nel Suo appartamento niuiorchese, la "città martire" (la quale, fra qualche anno, sarà sicuramente capace di sfruttare commercialmente molto bene il proprio martirio, a differenza di molte altre città ben più martirizzate -pensi solo a Sarajevo, a Beirut, a Mogadiscio -la capitale dei "somali puzzolenti"), e "non vuole essere disturbata". E chi mai l'avrà disturbata in questi anni, mi chiedo? Se ne sta lì a scrivere le sue cose, e nessuno s'interessa realmente di ciò che Lei fa o non fa. I suoi ultimi libri, diciamocelo francamente, sono stati un autentico disastro; a suo tempo apprezzai "Un uomo", ma quel che è venuto dopo è paccottiglia. Scriva pure, anzi, "lavori"; ma se intendeva per caso essere considerata una grande scrittrice, sarà meglio che se lo tolga alla testa per tutto il tempo che Le resta da vivere.
Sempre ammesso e non affatto concesso che Lei legga queste mie parole, potrebbe ragionevolmente domandarsi chi glieLe sta scrivendo. Il nome lo leggerà in fondo; il resto non ha importanza. Sono, come si suol dire, un "signor nessuno" che si diletta da qualche tempo di scribacchiare su dei forum telematici, peraltro ben conscio di non star che scribacchiando. Abito in un quartiere popolare di Livorno, pieno zeppo di negri, arabi e cinesi, la persona più potente che io abbia mai incontrato di sfuggita è un sindaco di Firenze che poi fu ammazzato dalle Brigate Rosse e non ho, né avrò mai, a disposizione nessun "Corriere". Non dico della Sera, ma neppure delle quattro e mezzo del mattino. Aggiungiamo che vengo da un'isola del Mare Tirreno, e basta cosi'.
Detto questo, mi piacerebbe non poco che Lei si sia sentita più che contrariata del titolo che ho apposto a questa mia presente. Spero anzi che si sia sentita offesa nella sua dignità umana, così come Lei ha d'altronde fatto con quei poveri somali e con milioni d'altri esseri umani colpevoli solo d'esser nati in certi luoghi dai quali sono regolarmente costretti a scappare per fame, per guerre o per altri motivi non certo piacevoli; certo che Lei avrà viaggiato per tutto il mondo e incontrato tutti i personaggi più importanti della Terra, ma per i giudizi che ha espresso nel Suo articolo s'è basata nient'altro che su delle immagini televisive. Naturalmente prese ad arte; un centinaio di persone che hanno esultato a Gaza per l'attacco agli Stati Uniti (e ve ne sarà pure un motivo serio, anche se non condivisibile ai nostri occidentalissimi occhi) sono bastate. Non hanno rilevanza le migliaia di voci di dissenso che si sono levate da tutti i paesi arabi e musulmani, non ha importanza un bel nulla; sono stati sufficienti quegli spari in aria a Gaza, da parte di persone che gli spari israeliani se li prendono tutti i giorni nella schiena. In questo, mi lasci dire, s'è comportata come una qualsiasi massaiotta di Voghera che guarda il tiggiqquattro di Emilio Fede.
Spero che si sentirà offesa anche nella sua dignità femminile, se le dico che dev'essere un bel po' che Lei non scopa, cara signora Fallaci. Va da sé che io aborro questo tipo di argomentazioni, per di più espresse in termini tanto volgari; ma come rispondere ad una donna che apostrofa centinaia di migliaia di altre donne con queste precise parole: "E se in alcuni paesi le donne sono così stupide da accettare il chador anzi il velo da cui si guarda attraverso una fitta rete posta all'altezza degli occhi, peggio per loro. Se son così scimunite da accettar di non andare a scuola, non andar dal dottore, non farsi fotografare eccetera, peggio per loro. Se son così minchione da sposare uno stronzo che vuole quattro mogli, peggio per loro. Se i loro uomini sono così grulli da non bere la birra e il vino, idem"? Peggio per loro, eh? Le è mai venuto a mente che esiste la povertà e l'ignoranza, e che da mondo è mondo sono sempre state le donne a farne le spese per prime? Le è mai venuto in mente che nella Sua tanto adorata "America" (chissà perché, poi, l' "America" deve sempre e solo essere identificata con gli USA, come se quel che ci sta sopra, il Canada, e sotto, tutta l'America Latina, fosse solo un'inutile appendice) si spende ogni anno più in cibo per gatti d'un intero bilancio dello stato d'un paese africano? Ma già, dimenticavo. In "America" c'è il caso che, adesso, pure i gatti sventolino la Stars & Stripes e che siano pronti a dare il loro contributo contro Osama bin Dog e tutti i cani musulmani.
Vado un po' a ruota libera, e non Le chiedo certo di scusarmi. Sa, dopo aver letto il Suo articolo, molte persone, in Italia, si sono convinte che Lei sia totalmente ammattita o, nel più benevolo dei casi, sia stata colpita da una forma galoppante di Alzheimer. "Come?" -dicono-, "l'Oriana paladina dei diritti, amante d'un grande combattente per la libertà dell'Ellade, da sempre all'avanguardia eccetera, ora se ne vien fuori con questa caterva di scempiaggini pubblicate ancor più scempiamente dal maggiore quotidiano nazionale, carrettate di luoghi comuni che neppure il peggior Berlusconi sarebbe stato capace di concepire? Ohibò, è impazzita. E' malata.".
Io, preclara signora Fallaci, sono invece uno di quelli che non lo credo affatto. Credo che Lei goda di ottima salute fisica e mentale, e che non sia altro che una poveretta annoiata che nessuno considera più nemmeno di striscio. Che Lei sia stata nient'altro che la solita mistificazione, peraltro regolarmente espressa dal corpo giornalistico italiano (per il quale, lo intuirà, non ho la mimima parvenza di stima). Che Lei sia stata sì all'avanguardia, ma solo di se stessa, del suo smisurato ego.
Basta leggere la foga con cui sciorina i suoi incontri con Yasser Arafat, quasi che il destino del mondo fosse stato in un'intervista alla grande giornalista! Ma ve lo immaginate Arafat che s'arrovella perché una pennaiola italiana "non gli ha perdonato nulla"? "Chissà come friggerebbe il signor Arafat ad ascoltarmi. Sai, tra me e lui non corre buon sangue. Non mi ha mai perdonato né le roventi differenze di opinione che avemmo durante quell'incontro né il giudizio che su di lui espressi nel mio libro «Intervista con la storia»." Boia dé! (Così si dice a Livorno, dove peraltro si dice anche, quando i fiorentini vengono al mare, che non affogano solo perché gli strónzoli galleggiano). E' arcinoto che, nel suo quartier generale, ogni sera Arafat smette per mezz'ora di pensare a Sharon, all'Intifada, agli Hezbollah, a Hamas, alla sua gente che crepa a migliaia da mezzo secolo e rotti, e gioca a freccette con il suo ritratto come bersaglio!
Parlavamo dei fiorentini, cara signora Fallaci. Mi creda, non intendo trasformare questo mio sproloquio in una questione campanilistica labronico-fiorentina. Ho vissuto metà della mia vita a Firenze, dove tuttora torno due o tre volte alla settimana per svariati motivi, sono un tifoso accanito della Fiorentina (a proposito: ha per caso mai intervistato Cecchi Gori?) ed ho verso quella grande città un sentimento di odio profondo che, come tutti gli odi di questo genere, sottintende un amore smisurato. La conosco, per dirla alla toscana, fin nelle càccole del naso. Ne conosco la gente, i tipi umani, il "genius loci", ogni singola pietra. Ne conosco i pregi e i difetti; e tra i difetti, c'è quell'insopportabile boria di tanti suoi abitanti, alla quale Lei attinge a piene mani. La boria della borghese fiorentina che s'innesta perfettamente sulla boria "nazionale", su quella "europea" per approdare naturalmente a quella "occidentale". La cultura occidentale.
E così, nelle sue parole, si arriva finalmente al Campionato del Mondo della Cultura. Il grande Mondo Occidentale sfida i Barbari Straccioni non solo con le portaerei e con ogni altro tipo di macchina da guerra, ma anche con la Cultura. Primo turno: Platone - Averroè 3-1 (glielo vorrà concedere il goal della bandiera al povero esegeta aristotelico!). Scorriamo il tabellino dei risultati...dunque, vedo un interessantissimo Gesuccristoincrocerivoluzionario - Maometto 4-2 (brutta bestia quel Maometto, ha dato filo da torcere; forse era allenato da Terim), ma per il resto non c'è storia. Tse'. Leonardo da Vinci - Avicenna 7-0. Mozart - Umm Khaltum 49-1 (e se non fosse stato per un autogol, sarebbe finita 49-0). Ah, a proposito: ma Lei lo sa chi è Umm Khaltum? Raffaello - Ghirigori nelle Moschee 1279-0. E cosi' via. E poi c'è la scienza! Suvvia, non c'è partita. Che i Barbari Straccioni si ritirino in buon ordine nella loro merda, e non rompano tanto le scatole all'Übermensch Occidentale!
E l'America?
La Grande America che si prepara alla guerra contro il Male, dove la vogliamo mettere?
Una grande nazione, non c'è dubbio. A parte il fatto che, a me, la parola "nazione" sta oltremodo sul culo (ma sono fatti miei), come sarebbe possibile definirla altrimenti? Una terra che ha dato al mondo Bob Dylan e Tom Waits!
La Grande America ha dato al mondo -ed anche al nostro insignificante paesucolo- la Libertà. Senza l'America, come Lei si compiace d'affermare in modo assai originale, oggi noi parleremmo tedesco o russo. Senza l'America, va da sé, oggi correremmo il rischio di parlare arabo (e se c'invadono i Talebani, ci tocca pure imparare il Pashtu). La Grande America che per Francesco Guccini (ah, Le sto scrivendo dal forum Usenet dedicato a codesto cantautore!) era, in una sua canzone intitolata "Amerigo", "provincia dolce e mondo di pace". "Non so come la vide quando la nave offrì New York vicino / di grattacieli il bosco, città di feci, strade, urla, castello". Sono ancora dei versi di questa canzone che parla di un emigrante di nome Amerigo, signora Fallaci. Un emigrante che va a lavorare in miniera, non a scrivere stronzate da un bell'appartamento comprato coi miliardi fatti a interviste e boiate. Un emigrante che torna con "due soldi e giovinezza ormai finita", concludendo che "l'America era un ernia", "un gioco di quei tanti che fa la vita", e "dire boss per capo, e ton per tonnellata, rifle per fucile". L'America, l'America.
Com'erano umani gli Americani nel Vietnam, quando combattevano gli straccioni vietnamiti che non combattevano solo per una Stella Rossa e per un ideale forse sbagliato, ma anche e soprattutto perché, comunque, quello era il loro paese, la loro terra. Prima glielo avevano piantato nel culo ai Francesi a Dien-Biên-Phu, e gli Americani fecero la stessa esperienza. Lei ha visto pure quella guerra, e com'erano umani gli Americani che raccoglievano cristianamente e pietosamente quattro o cinquecento nemici morti! Peccato che, in Vietnam, di morti vietnamiti ce ne siano stati quasi mezzo milione. Nel loro paese, signora Fallaci. Un paese che, fino ad allora, all'America non aveva fatto un bel nulla, nemmeno una contravvenzione per divieto di sosta. Uomini, donne e bambini bruciati nei loro villaggi a fiammate di napalm. Migliaia di chilometri quadrati di foresta totalmente cancellati. E non c'è stato solo il Vietnam, cara signora. C'è stato, ad esempio, tutto l' "orticello di casa", l'America del Centro e del Sud. C'è stato il Cile. La Grande America ha esportato "libertà" quando le ha fatto comodo, specialmente ai suoi interessi economici; e se non fosse stato per Pearl Harbor, chissà, se ne sarebbero pure fregati di quel che accadeva nella lontana Europa. Ma furono attaccati. Colpiti sul loro territorio nazionale dai giapponesi. Lei è sicura che, se non ci fosse stato quell'attacco, gli USA sarebbero entrati in guerra? Sta' a vedere che, se non "parliamo russo o tedesco", ci tocca ringraziare più i giapponesi! O non mi dica che non ha mai sentito parlare di isolazionismo....suvvia, il buon Bush Junior, ora a capo della nuova crociata mondiale, non ne era che l'ultima, solita, stupidissima emanazione fino a quel fatale 11 settembre!
So che tutto ciò è un paradosso; ma adesso gli Stati Uniti sono stati attaccati di nuovo sul loro territorio nazionale. E non in una base su un'isola, ma nel cuore stesso del Paese. Intendiamoci: non gioisco certamente di questo. Non sarebbe possibile gioire d'una cosa del genere, anche se, lo devo confessare, se fossi stato un Palestinese di Hebron cui gli israeliani, per difendere cinquanta fanatici arroccati in mezzo a centoventottomila arabi, hanno ammazzato un bambino di quattro anni, chiuso il negozio e bruciato la casa, ne potrei avere la voglia. Dico "potrei", badi bene. Ci sono stati migliaia di Palestinesi, glielo ripeto, che si son guardati bene non solo dal farlo, ma anche dal pensarlo. E' a costoro che va la mia più grande ammirazione. Ma già, dimenticavo: per Lei tutti gli arabi, e dico proprio tutti, sono pezzenti privi di "cultura", tranne quel libriccino incomprensibile su cui pregano quel loro Iddio falso e bugiardo. Quel libriccino con cui "rompono le scatole a tutto il mondo".
E' in queste condizioni di vita, signora grande giornalista, che proliferano purtroppo i fanatismi. Basterebbe che tutti noi lo capissimo, e non saremmo a questo punto. Che la gente potesse condurre una vita decente, in un mondo ove le ricchezze fossero equamente distribuite. "Utopia! Utopia!" Sento già le grida che mi arriveranno addosso. "Utopia! Idealismo!" E intanto, le previsioni di noi stolti utopisti e idealisti si stanno avverando regolarmente. Quando dicevamo che, se non la smettevamo di ingrassarci sempre di più in nome del profitto più sfrenato e del nostro superfluo, tutto il resto del mondo che stavamo facendo crepar di fame si sarebbe un giorno, non avendo più nulla da perdere, rivoltato nelle forme peggiori e più imprevedibili, votandosi anche al primo farabutto di Osama bin Laden (peraltro a suo tempo ben foraggiato dagli USA in funzione antisovietica, lo sa questo? Gli stessi sovietici che, secondo lei, avevano fatto bene a invadere l'Afghanistan, erano combattuti dagli straccioni e fanatici musulmani finanziati a base di dollari!). Qual è invece la soluzione che viene proposta? Una nuova crociata. Alla quale Lei, dal suo appartamento, ha dato l'atteso imprimatur. Lo attendevano tutti con ansia. Sembra che Bush non intendesse muovere un dito senza l'ok della Fallaci. Fuori, nel "Ground Zero", la gente gridava "iu es ei, iu es ei" sventolando le bandierine attorno al Presidente e al Sindaco, mentre Lei covava la Sua santa rabbia, il Suo sacro orgoglio fiorentino, italiano, europeo e occidentale contro la barbarie. Lei, "combattente contro tutti i fascismi". Lei, Signora Oriana Fallaci, ha tirato fuori tutto il fascismo che evidentemente Le covava dentro e che è finalmente esploso. Se fossi Alekos Panagoulis mi rivolterei nella tomba.
Ma forse, signora Fallaci, può bastare così. Mi creda, non ho più voglia né di scorrere il suo articolo, né di scriverLe oltre questa cosa della quale Lei non saprà mai nulla, nel Suo silenzio e nel suo sdegnoso isolamento (immagino piacevolmente corroborato dal sentirsi piacevolmente in trincea nella Città ferita a morte). Starà quasi assaporando questa sensazione, questo cocktail di dolore (di cui non voglio mettere in dubbio l'autenticità), rabbia, vanità, orgoglio e superiorità che somiglia molto al poetico lutto del protagonista di una poesia di un grande Americano, Edgar Allan Poe. La conoscerà sicuramente, quella poesia: è "The Raven", "Il Corvo". "Once upon a dreary midnight..."
Per quel che mi riguarda, ho finito. Bòna, Orianina. Crèpatene pure in santa pace, non sentirò la tua mancanza.

mercoledì 14 settembre 2016

Sulla serata commemorativa per Oriana Fallaci organizzata dal "Corriere Fiorentino" il 13 settembre 2016


Ognuno passa le giornate come meglio crede, magari compatibilmente con gli impegni necessari ad assicurare la sussistenza a sé e ad un certo numero di familiari a carico.
Quelli del Corriere Fiorentino per esempio le passano a fare i gazzettieri. E con questo potremmo anche chiudere la discussione.
Nel 2006 Oriana Fallaci è morta a Firenze. La popolazione cittadina aveva ben altro per la testa che piangere la fine di un elemento del genere; figuriamoci su quale partecipazione popolare avrebbe potuto contare una celebrazione a dieci anni di distanza.
Per nutrire la propria autoreferenzialità quelli del Corriere Fiorentino hanno indetto a Forte Belvedere un reading teatrale ed una chiacchierata tra amici (nella foto) per le sei del pomeriggio. A contendersi la miserabile ciotola di maccheroni rappresentata sul piano mediatico e politico dall'operazione di marketing di Ferruccio de Bortoli ci sarebbe anche un'altra pattuglia di frequentatori di ristoranti costretta ad organizzare una iniziativa in proprio, forse perché la sua presenza è stata ritenuta imbarazzante persino dai fogliettisti del Corriere.
Occorre considerare che alle sei del pomeriggio le persone serie sono a lavorare, quindi si può convocare una claque di ben vestiti, qualche sfaccendato e un bel po' di micropolitici di terza fila. In questo modo si assicura ai commensali il materiale necessario per arrivare a sera e al tempo stesso ci si accerta (magari con la discreta collaborazione della gendarmeria) che l'iniziativa si svolga nelle indispensabili condizioni di assoluto isolamento dalla realtà.
In questo modo si può passare un'oretta ad asserire che una che avrebbe dato fuoco a chi le stava antipatico "ha sempre odiato la guerra" o che si trattava di una persona "terribilmente seria", senza che nessuno ti rida in faccia o, perché no, esprima il proprio diniego in maniera anche meno composta.
E questa è l'essenza di ogni critica possibile ad iniziative di questo genere: lorsignori ricordino e celebrino chi gli pare, nel modo che più desiderano; l'essenziale è che non osino chiedere di essere presi sul serio.

domenica 11 settembre 2016

Alastair Crooke - I mutamenti strategici in Siria e in Ucraina



Traduzione da Conflicts Forum.

Spesso succede che sia un accadimento all'apparenza di poco conto ad essere prodromo di mutamenti di ben altra portata. Il peso necessario ad un mutamento strategico di una certa ampiezza va gradatamente accumulandosi, facendone un accadimento potenziale; ad un tratto un evento scatenante fa sì che dalla potenza si passi all'atto, secondo la terminologia medievale.
Hasakah è una cittadina di duecentomila anime nel nord est della Siria, una regione a predominanza curda. Scimitarre e pugnali dello Stato Islamico sono lontani, e per molto tempo è esistito in città un presidio dell'esercito siriano, rimasto tranquillo in mezzo ai curdi e a vari altri gruppi etnici che costituiscono il tessuto della cittadina. In pratica la funzione essenziale del presidio è stata quella di proteggere le altre minoranze dalla schiacciante maggioranza curda.
Poi, a quanto sembra come un fulmine a ciel sereno, ecco un problema: la polizia curda arresta alcuni appartenenti alla guarnigione, ed i loro familiari. Pare ci siano stati anche dei morti. A questo punto i dettagli non sono molto chiari ma in sostanza la situazione si riscalda al punto che lo YPG, la milizia curda attualmente sostenuta dagli Stati Uniti, inizia a bersagliare con l'artiglieria la base dell'esercito siriano, che risponde al fuoco. L'aeronautica siriana interviene per proteggere la base. Nulla di eccezionale in tutto questo, almeno fino a questo punto; solo che questo attacco dello YPG contro la base siriana è una cosa inusuale. Lo YPG e l'esercito siriano hanno per lo più operato in buoni rapporti e coordinando le proprie azioni. A questo punto gli avvenimenti hanno preso una piega inaspettata. Al Ministero della Difesa negli Stati Uniti hanno cominciato ad agitarsi parecchio e a puntualizzare a gran voce che a Hasakah ci sono forze speciali statunitensi e a rovesciare bordate verbali su Damasco: ogni ulteriore attacco aereo non resterà senza risposta da parte statunitense ed è possibile che gli aerei siriani vengano abbattuti.
C'era parecchia elettricità nell'aria. Perché c'erano forze speciali statunitensi a Hasakah? Cosa ci facevano? Hasakah non è territorio dello Stato Islamico. Avevano incoraggiato lo YPG a cacciare l'esercito siriano dalla base? In ogni caso, l'incidente sembra aver cementato una certa idea, o comunque aver fatto nascere la convinzione che esista una causa comune inesorabilmente in corso d'opera: l'idea che l'AmeriKKKa fosse intenta a consolidare uno stato curdo nel nord della Siria, destinato ad accogliere basi permanenti ameriKKKane ed europee. Per questo gli ameriKKKani avevano preso a cacciare le istituzioni statali siriane da Hasakah.
Tutto questo sembrava confermare i peggiori timori della Turchia, ovvero che questa compagine statale curda possa finire con lo smembrare la stessa Turchia, tramite la secessione di molta parte del suo territorio nazionale a favore di un nuovo stato curdo. Sembrava anche confermare i peggiori timori russi, iraniani e siriani su un Occidente ritornato alla sua vecchia ambizione di dividere la Siria e di piantae un cuneo filooccidentale (e curdo) nel bel mezzo del sensibilissimo cuore della regione. A Mosca si è diffusa la sensazione che lo YPG si fosse scriteriatamente ingollato la polpetta avvelenata costituita dalle promesse statunitensi di sovranità statale. Insomma, questo avvenimento apparentemente di poco conto sembra aver avuto un ruolo rilevante nel mettere allo stesso tavolo paesi che in precedenza hanno mostrato poca fiducia gli uni negli altri. Cosa ancora più importante, pare avergli fatto trovare una causa comune. Nel caso della Turchia, metter fine al "progetto" curdo-statunitense è una cosa che supera persino i rancori di Ankara contro Damasco. Entrambi i paesi possono piuttosto trovare di comune interesse il ricordare ai curdi chi comanda davvero in Medio Oriente... o il "tagliar loro le unghie", come ha detto un certo osservatore.
Pare in ogni caso che Erdogan e lo AKP non abbiano ottenuto i frutti sperati dalla loro linea politica in Siria e dalla rottura con la Russia: il fatto che venga fuori un piano per un Kurdistan statunitense fornisce ad Ankara una utile cappa per ammantare i propri tentativi di ricucire i rapporti tra Siria e Turchia, tra Turchia e Russia, tra Turchia ed Iran. Insomma, negli ultimi giorni la diplomazia ha lavorato a pieno regime e sembra che questo nuovo "gruppo di contatto" (Russia, Siria, Iran, Hezbollah, Iraq) si stia avvicinando ad un qualche genere di accordo sulla Siria; fino a questo momento, l'Arabia Saudita è stata lasciata fuori dai giochi.
Ovviamente le cautele sono essenziali. Erdogan può spingersi oltre, sul piano militare, rispetto a quello che sembra aver concordato col Presidente Putin a San Pietroburgo, ovvero oltre alcune operazioni di portata limitata destinate a limitare la presenza curda alla riva orientale del fiume Eufrate. Di sicuro i russi vigileranno con occhio di falco sulle mosse dei turchi. E' anche possibile che Erdogan si sovraesponga politicamente, pretendendo troppo sul piano dell'inclusione dei "ribelli" e/o dell'opposizione in un qualunque processo politico in Siria. Faccende come questa sono sempre molto fragili, e questa lo è più che mai perché comprende molte ed eterogenee parti.
La questione essenziale, quella che lascia in preda ai dubbi sia i russi che gli ameriKKKani, è se la Turchia intenda rimanere con un piede nella NATO e con uno in campo russo o se ci troviamo davanti ad un ritiro della Turchia dalla NATO o al suo contrario. Probabilmente Erdogan punta a tenere entrambe le parti nel dubbio. Secondo Metin Gurcin, un ex consigliere militare turco, i criteri seguiti nell'estromissione degli ufficiali superiori in seguito alla reazione di Erdogan fanno pensare che a rimanere vittime delle purghe siano stati per lo più filoatlantisti e fautori della NATO. Secondo Gurcin, l'esercito turco sta attaversando una fase di rimpasto destinata ad orientarlo in altro modo.
In ogni caso il linguaggio del corpo -se non la retorica- di Erdogan nel corso del meeting del G20 del 10 ed 11 settembre 2016 in Cina dovrebbero essere rivelatori. Si ricorderà che durante l'ultimo G20 svoltosi in Turchia Erdogan è stato trattato con freddezza dalla maggior parte dei partecipanti occidentali. Vedremo cosa succederà questa volta. Anche la questione dei profughi con l'Unione Europea raggiungerà un nuovo punto saliente nel prossimo futuro: Erdogan negli ultimi tempi non si è comportato in modo eccessivamente riguardoso verso l'Europa. La Siria sarà uno dei principali argomenti di discussione in Cina, per lo più ai margini del programma ufficiale. Il principe Mohammed bin Salman aleggerà dietro le quinte del G20, sicuramente tastando ansioso il terreno e la natura di questo ipotetico mutamento strategico messo in atto dalla Turchia. A questa occasione di scambio fa capo anche un'altra questione: la situazione in Ucraina può arrivare ad un picco proprio in coincidenza con i cambiamenti in corso in Siria. E la Turchia è cosa che unisce entrambe le questioni, essendone elemento condiviso i Tartari e la Crimea.
A questo proposito ci saranno delle differenze, nel G20 di settembre. Il Presidente Poroshenko non è stato invitato; a differenza di quanto successo nei G20 precedenti gli organizzatori cinesi non hanno previsto la sua presenza; al contrario saranno presenti Merkel, Hollande e Putin, che intendono affrontare la questione ucraina a margine dei lavori. Esistono segnali del fatto che gli europei cominciano ad essere stanchi di Kiev e che si stanno pentendo di aver imposto sanzioni alla Russia, una mossa cui erano stati incanalati in gruppo dagli Stati Uniti. Anche il Fondo Monetario Internazionale è stanco di Kiev. Ha interrotto le elargizioni di fondi verso Kiev e non è chiaro quando -e se- i pagamenti ricominceranno. Il governo di Kiev, insomma, potrebbe implodere (o essere rovesciato da Pravyi Sektor e dalle formazioni fasciste sue alleate). La questione ucraina, specie se affrontata con i tentativi di imporre un nuovo corso ai rapporti di forza in Siria, può cambiare il panorama politico: in meglio o in peggio.
Nessuno di questi argomenti (le relazioni della Turchia con la NATO, il conflitto siriano, l'Ucraina) sarà in testa all'agenda del G20 o sarà risolto in quella sede e neppure sarà degnato di qualcosa di più di una rapida e per lo più insignificante menzione nel comunicato finale. Tuttavia è probabile che il G20 getterà, direttamente o indirettamente, un po' di luce su queste complesse questioni; una cosa importante, anche se di per sé non fornisce alcuna soluzione concreta. Dal punto di vista statunitense gli obettivi sono quello di dimostrare il sussistere della leadership mondiale ameriKKKana ed ottenere l'accettazione di una strategia finanziaria per i venti grandi così come è stata abbozzata dal Tesoro statunitense e dalla Federal Reserve, cosa che deve affrontare un generale scetticismo verso le politiche di entrambe le istituzioni; uno scetticismo che sta diventando ostilità. La politica del tasso di interesse negativo (e dell'acquisto di buoni del tesoro da parte della banca centrale) si stanno rivelando una bomba sul piano politico, perché decimano le future pensioni della gente, ed una bomba sul piano economico perché provocano distorsioni sui mercati ed erodono il modello di business delle banche europee. Gli USA si ostinano a pretendere una maggior centralizzazione finanziaria laddove la tendenza mondiale va sempre più in direzione opposta,verso una "deglobalizzazione" finanziaria.La FED sta prendendo in considerazione un aumento dei tassi di interesse, sia pure di un ammontare minuscolo come venticinque punti base, ma la Cina si opporrà ad ogni rafforzamento del dollaro ed è verosimile che risponderà con la svalutazione. Un risultato che all'inizio di quest'anno ha gettato nel caos i mercati internazionali.
Le politiche finanziarie ed economiche saranno con ogni probabilità il principale terreno di contesa a questo G20; dietro di esso tuttavia avrà un ruolo anche un'altra e più profonda questione geostrategica. In un discorso pronunciato il primo luglio in occasione del novantacinquesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese il Presidente Xi ha detto: "il mondo è sull'orlo di un mutamento radicale. Stiamo assistendo alla crisi graduale dell'Unione Europea e al collasso dell'economia statunitense: tutto questo finirà per dar vita ad un nuovo ordine mondiale" [si veda qui] (la cui instaurazione, a suo dire, è da attendersi entro i prossimi dieci anni). Secondo Xi le relazioni tra Russia e Cina non dovrebbero restare limitate al mero àmbito economico: i due paesi dovrebbero realizzare un'alleanza militare alternativa. "Stiamo assistendo ad atti aggressivi da parte degli Stati Uniti contro la Russia e contro la Cina. Io credo che Russia e Cina possano costituire un'alleanza al cospetto della quale la NATO si ritroverà impotente."
Paradossalmente (o no) Zbig Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e formulatore della dottrina secondo cui gli USA dovrebbero estendere la propria egemonia in Medio Oriente ed in Asia nel suo The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives uscito nel 1997 ha cambiato opinione, e nel suo recente articolo toward a global realignment pubblicato sulla rivista American Interest ha mostrato di propendere per il punto di vista di Xi. Brzezinski invoca oggi un cambio di strategia, e che l'AmeriKKKa instauri rapporti con la Russia e la Cina: "Con la fine dell'epoca in cui hanno avuto il predominio mondiale, gli Stati Uniti devono avre un ruolo da protagonisti nel rimodellare l'architettura del potere globale. [Sia] l'emergere di una ridefinizione del potere politico globale [sia] il violento risveglio politico del Medio Oriente indicano che è in atto una ridefinizione degli equilibri a livello mondiale. [Comunque] il primo dato di fatto è che gli Stati Uniti sono ancora la realtà più potente del mondo dal punto di vista politico, economico e militare ma, in considerazione dei complessi mutamenti geopolitici negli equilibri regionali, essi non sono più la potenza imperiale mondiale."
Brzezinzki ammette tacitamente in tutto e per tutto che gli Stati Uniti si sono esposti eccessivamente scatendando le guerre in Medio Oriente e al tempo stesso perseguendo l'obiettivo dell'egemonia nei confronti di Russia e Cina. Il Presidente Xi comunque sta puntando più direttamente ai passi falsi geofinanziari degli USA e dell'Europa, intesi come punti fondanti del nuovo ordine politico e finanziario occidentale. Secondo quanto egli afferma, sarà questo il vero terreno di scontro più che il piano politico vero e proprio.

venerdì 2 settembre 2016

Êtes-vous Charlie, aujourd'hui aussi?


Nel 2015 la redazione della pubblicazione satirica francese Charlie Hebdo fu praticamente azzerata da un attacco mirato.
Diventarono tutti Charlie: gazzette, gazzettieri, autoschedati sul Libro dei Ceffi, cinguettatori e perdigiorno di tutte le risme; diventò Charlie anche chi la satira non sa neppure dove stia di casa.
Charlie Hebdo fa il proprio mestiere con una certa coscienza. Nulla di strano che a fine agosto 2016, quando alcune cittadine della penisola italiana sono state colpiti da un duro terremoto, quelli di Charlie Hebdo si siano ricordati che i macaroni sono e restano macaroni, con tutte le conseguenze del caso. 
Le torte in faccia restano divertentissime solo se a fare da bersaglio è qualcun altro. Chissà quanti, tra tutti quelli che ciarlavano di Charlie, sono ciàrli anche stavolta.
Forse era il caso di ciarlare un po' meno.