martedì 29 marzo 2016

Come risparmiare cento euro l'anno




Lo stato che occupa la penisola italiana ha sempre voluto che per fruire della propaganda e della pubblicità vomitata dalle televisioncine i sudditi si separassero ogni anno da una certa somma.
Il danno e la beffa, praticamente.
Chi scrive non ha mai voluto in giro per casa arnesi di quel tipo e ciò nonostante è stato ogni anno destinatario di una letterina multilingue che gli ricordava l'obbligatorietà dell'esborso; ci si è sempre ben guardati dal degnare il mittente del minimo segno di vita. In dieci anni abbiamo potuto così contare su circa mille e duecento euro da spendere altrimenti: libri, vacanze, elargizioni liberali alla società per la soppressione fisica dei cialtroni e tante altre cose utili.
Nel 2016 sono stati introdotti dei sostanziali mutamenti legislativi. In pratica si presume che chi ha la corrente in casa -loro per chiarezza scrivono di "un'utenza  per  la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui il soggetto ha la propria residenza anagrafica"- abbia anche uno di quei cosi, salvo esplicita dichiarazione contraria da ripetere ogni anno ("...No, non ho televisori, non ne ho mai avuti, non mi interessa che mentre mi riposo o mentre mangio qualche ben vestito mi illustri le meraviglie delle vostre bombe al panzanio o mi cianci a giornate intere di palloni e pallonate... è chiaro o preferite che vi faccia un disegnino...?").

A fine marzo 2016 sono state rese pubbliche le modalità ed il modello da compilare ed inviare per evitare il pagamento. In caso contrario a partire da luglio e da ora in poi i governativi si prenderanno ogni anno cento euro in più sulle bollette.
In link sono presenti al momento in cui scriviamo tutti i dettagli necessari e tutte le scadenze.

sabato 26 marzo 2016

Alastair Crooke - Il ritiro russo dalla Siria non è un vero ritiro



Traduzione da Huffington Post.

Annunciando un ritiro parziale della Siria il presidente russo Vladimir Putin ha colto di sorpresa praticamente tutti. Ma c'è poco da meravigliarsi: le forze della coalizione siriana hanno il vento in poppa e negli ultimi tempi hanno guadagnato terreno in qualche caso addirittura senza combattere. Pat Lang, ex funzionario dei servizi della difesa satatunitensi, ha detto che il cosiddetto Stato Islamico sembra stia "collassando in Siria ed in Iraq. Stanno deperendo perché il denaro è finito adesso che i raid aerei statunitensi e della coalizione guidata dai russi colpiscono l'esportazione di greggio attraverso la Turchia e che dalle stesse vie non arrivano più uomini e materiali".
Solo a questo punto, in condizioni nettamente favorevoli, Putin ordina un ridimensionamento. Eppure, sul terreno non tutto è deciso. Aleppo rimane nel proprio limbo, in parte circondata da forze jihadiste a loro volta circondate da forze della coalizione che fa capo al governo siriano e prive di vie di approvvigionamento. La zona fertile della Siria che sta ad ovest di un'ipotetica linea compresa tra Aleppo a nord e Daraa a sud deve ancora essere messa in sicurezza. La parte orientale del paese, per lo più desertica, resta ancora in buona parte in mano allo Stato Islamico. E la Turchia continua a non rispettare la sovranità siriana, colpendo le zone di confine con la propria artiglieria. Per quale motivo la Russia ha iniziato proprio adesso a ritirare parte delle proprie forze, quando resta ancora così tanto da fare? Cosa può significare questo per il futuro della Siria?
Intanto, questo è un ritiro parziale che al tempo stesso non è un ritiro vero e proprio: dipende da come lo si considera. Gli aerei russi destinati a rimanere in Siria e dunque non compresi nell'operazione stanno ancora sostenendo attivamente sul terreno le forze della coalizione attaccando le formazioni che non fanno parte degli accordi sul cessate il fuoco, sostanzialmente Jabhat an Nusra e lo Stato Islamico. Un giornalista militare russo ha detto a Radio Free Europe che "la flotta rimane, i sistemi antiaerei rimangono, i carri armati rimangono, i marines rimangono tutti, rimangono gli elicotteri e rimarranno anche alcuni degli aerei. Rientra solo parte della flotta aerea con il personale di supporto, che può comunque ritornare in Siria in tre o quattro ore."
In effetti sembra proprio che questo ritiro parziale sia coinciso con una rotazione già programmata di aerei e materiali, necessaria per gli interventi di manutenzione che servono dopo un intenso periodo di operazioni. Il ritiro di Putin è più che altro un avvicendamento, un cambio di passo fatto apposta per incistarsi nel corso degli avvenimenti politici per far deragliare gli eventi e imporre loro una direzione differente. Sembra che Putin ci sia riuscito; a breve è previsto a Mosca un suo incontro con il Segretario di Stato John Kerry.
Può venir fuori in realtà che l'intenzione di Putin non era certo quella di dare il via ad una tornata di negoziati fra le varie parti in causa in Siria, ma quella di mettere Washington all'angolo per costringere l'amministrazione Obama a collaborare sul serio con la Russia invece di rimanersene in disparte a canticchiare il ritornello di una Russia destinata ad impantanarsi in un doloroso fallimento. Detto questo, il catalizzare il processo politico siriano in un modo o nell'altro è comunque un obiettivo secondario ma considerevole. Fin dall'inizio Putin ha detto che l'intervento militare russo aveva obiettivi limitati ed era inteso per servire a "creare le condizioni per un compromesso politico".
Non c'è dubbio che il ritiro -o l'avvicendamento- di Putin abbia stimolato la situazione politica in vari modi. Ha messo sotto pressione sia Damasco che i gruppi dell'opposizione che partecipano ai colloqui di Ginevra, nel timore che gli aerei russi per un motivo o per l'altro siano tutti destinati a rientrare. Più che altro addossa agli USA la magagna di far smettere i propri alleati (Turchia, Arabia Saudita e Qatar) di armare e finanziare le loro pedine in questa guerra. Ma gli USA possono in qualche modo imporsi ai propri alleati? La Turchia in particolare rappresenta un problema, perché è probabile che per rimanere al potere il suo presidente Recep Tayyip Erdogan abbia bisogno che il conflitto in Siria continui.
In breve, uno degli effetti concreti del ritiro potrebbe essere rappresentato da una brusca spinta dei negoziati verso i piani alti, facendoli passare dai sostanzialmente esautorati partecipanti ai colloqui di Ginevra agli attori esterni che li sostengono e li finanziano. 
Non è la prima volta che Putin usa un ritiro militare per cercare di rianimare una scena politica arrivata a un punto morto. Si ricorderà che in attesa degli accordi di Minsk sull'Ucraina la Russia interruppe temporaneamente il flusso di aiuti militari per le milizie del Donbass, per responsabilizzare i miliziani e forse per impedir loro di coltivare ambizioni che sul piano militare si sarebbero rivelate fuori misura.
Esiste un filo che accomuna i conflitti in Ucraina e in Siria, e che è la preoccupazione dei russi di deviare il percorso di qualsiasi dinamica occidentale o della NATO che possa portare ad un confronto diretto con la Russia. Una delle principali priorità di Putin quando ha lanciato la propria versione di guerra al terrorismo era proprio quella di arrivare ad una qualche collaborazione da pari a pari con gli USA, che facesse da base per una riconsiderazione complessiva della relazione tra le due potenze.
Il ritiro dalla Siria fa della Russia un paese che sta cercando una credibile soluzione politica al problema. Potrebbe attenuare la determinazione degli europei nel mantenere le sanzioni contro la Russia. Potrebbe anche migliorare la posizione della Russia agli occhi del successore di Obama alla Casa Bianca: un'AmeriKKKa che si sentisse umiliata in Siria dai russi e dal valore militare dei suoi alleati è meno probabile sia disposta a prartecipare ad una rifondazione dei rapporti e anzi più probabile sia propensa al contrario.
A parte la questione della reazione statunitense, esiste un altro interrogativo senza risposta: cosa vuole Putin da Assad? In Ucraina la Russia cercava un federalismo ampio, ma questo non è un caso proponibile in Siria. Le cosiddette minoranze in Siria non hanno mai avuto la parte delle vittime, tutt'altro. I curdi non sono mai stati minacciati come è successo e come continua a succedere in Turchia. I sunniti non erano tenuti ai margini: a tutt'oggi costituiscono la maggioranza dell'esercito siriano e sono sempre stati importanti nel mondo degli affari Inoltre la Siria non era mai stata un paese settario, fino a quando, negli ultimi tempi, l'imperversare di varie forme di wahabismo non ha effettivamente portato a un modo settario di intendere la politica. La Siria ha un'identità definita, ed è l'identità di una nazione antica ed orgogliosa.
La Russia davvero intende assistere alla nascita di un governo centrale indebolito e dalle basi inconsistenti? Probabilmente no. Difficile si arrivi alla vittoria contro lo jihadismo radicale grazie a qualche accordo ginevrino; la guerra andrà avanti. E l'Iran, che della Russia è alleato, vorrebbe senz'altro veder nascere una Siria forte. Forse anche gli USA riconoscerebbero un qualche merito ad una Siria forte, in un'epoca in cui i costrutti statali stanno patendo la consunzione ovunque in Medio Oriente, e lasciando il posto ad una diffusa insicurezza. Ma come arrivare a questo obiettivo?
I russi hanno più volte affermato che deve essere il popolo siriano a decidere chi deve governare; l'Iran è della stessa opinione. Solo che Putin non può far conto sul fatto che l'opposizione siriana sostenuta dall'Araba Saudita arrivi a Ginevra ad accordarsi con Assad; magari può anche sperare che si arrivi a tanto, ma è più probabile che faccia conto su un piano B.
Un aspetto del recente cessate il fuoco cui pochi hanno fatto caso è il fatto che in molti casi gli accordi sono stati frutto della mediazione di ufficiali dell'esercito russo, di solito da ufficiali di grado piuttosto elevato. I loro sforzi sono stati premiati da considerevoli successi perché sono stati siglati oltre quaranta accordi. Se il processo di Ginevra dovesse fallire è probabile che sarà sostituito da un processo di pacificazione dal basso.
In base a questi accordi, alcuni dei quali negoziati dall'ONU ed altri dal governo siriano, si terranno alla fine elezioni locali. Poi regionali. Poi parlamentari. Si farà una revisione costituzionale. E in conclusione si terranno elezioni presidenziali con supervisione internazionale. In breve i siriani, sia quelli rimasti in patria sia gli esiliati, decideranno alla fine chi è che deve governare. Perché si arrivi a tanto, però, è fondamentale che Russia e Stati Uniti si fidino l'uno dell'altro e in questo campo tutto è ancora da fare. L'unica strada che è realistico percorrere sul piano politico è ormai questa, adesso che l'idea di rovesciare il governo siriano è uscita dai programmi: un accordo di massima a Ginevra, o un processo dal basso guidato dagli stessi siriani. Mentre continua la guerra contro gli jihadisti radicali. Il fulmine a ciel sereno rappresentato dall'annuncio del ritiro da parte di Putin sembra proprio fatto per vedere se ci sono i margini per arrivare ad un percorso che porti ad una soluzione definitiva.
Molte cose dipendono da questo risultato, non soltanto per la Siria. Su questa base, in un modo o nell'altro, si rivedranno equilibri a livello mondiale. 

venerdì 25 marzo 2016

"L'Islam ci attacca perché odia la nostra civiltà e la nostra libertà!"



La "civiltà" e la "libertà" "occidentali" nella Firenze del 2016?
Mangioteche.
Pallonate dalla culla alla bara.
Ché uno non è libero neppure di accomiatarsi senza applausi da pallonaio.
Senza paccottiglia da pallonaio anche al funerale[*].
Mancava un'importante tappa intermedia: impossibile lasciare all'iniziativa individuale cose di questo genere (magari si rischia i'ddegràdo, l'insihurézza e anche i'tterrorismo) e l'amministrazione locale ha dovuto deliberare su una questione vitale.
 24/03/2016
“Matrimonio viola”, via libera della commissione Affari Generali
Guccione (PD): "Un'opportunità in più per tutti i tifosi della Fiorentina"
 È stata approvata questa mattina nella I commissione (Affari Generali) la mozione che chiede all’amministrazione di individuare come nuova sede per i matrimoni celebrati in Comune lo Stadio Franchi, il cosiddetto “Matrimonio Viola”, la cui proposta era partita dal Consiglio di Quartiere 2.
“Si tratta di un’opportunità in più per i nostri concittadini (e non solo) innamorati della Fiorentina, di poter dire ‘sì’ in un luogo per loro sicuramente speciale” è stato il commento del consigliere PD Cosimo Guccione, primo firmatario della mozione. (fdr)
Un individuo consapevole si porrebbe qualche dubbio.
Il fatto è che in "Occidente" consapevolezza e vita sociale non hanno alcun rapporto.




[*]Il conferimento del titolo di solare invece spetta solo a chi abbia preso congedo in giovane età, possibilmente in modo brusco e repentino.


mercoledì 23 marzo 2016

Je ne suis pas Bruxelles


Il 22 marzo 2016 bombe artigianali hanno colpito un androne aeroportuale e due stazioni della metropolitana di Bruxelles.
Trenta morti, duecentotrenta feriti e due cinguettate di Matteo Salvini.
Sembra che anche questa volta qualcuno (vuoi il rappresentante locale, vuoi il destinatario) abbia restituito al mittente un campioncino della democrazia da esportazione a suo tempo recapitata in pessimo stato, e abbia addebitato all'esportatore cialtrone anche le spese di trasporto.
Non è un caso che il Belgio ospiti l'8 maggio prossimo un incontro internazionale sui combattenti stranieri in Siria. Gli esperti europei di antiterrorismo sono unanimi: il Belgio ha il maggior numero di jihadisti in Siria in rapporto al numero di abitanti. Nei quartieri popolari di Bruxelles, di Vilvoorde o di Anversa, a forte presenza musulmana, la pressione esercitata dai gruppi religiosi radicali è particolarmente sensibile. Storicamente, l'Arabia Saudita ha il monopolio della formazione religiosa dei musulmani di lingua araba in Belgio.
Così si esprimeva un paio d'anni fa lo scrittore e polemista belga di origine turco-alevita Bahar Kimyongür.
Kimyongür non è solito esprimersi senza motivo e questo non è compatibile con la libertà di ciancia tutelata in "Occidente"; per giunta l'esportazione della democrazia è una cosa serissima: mica si può permettere al primo signor nessuno di ridere in faccia a tanti ben vestiti. Sicché il Regno del Belgio -e il Regno d'Olanda, e lo stato che occupa la penisola italiana- lo hanno ringraziato facendogli fare dentro e fuori la galera tre o quattro volte su mandato della Repubblica di Turchia.
Qualche mese prima uno dei ben vestiti suddetti di nome Didier Reynders, cui il Regno del Belgio faceva fare il ministro degli esteri, aveva affermato che sarebbe stato il caso di fare un monumento ai combattenti che dal Belgio erano partiti per contribuire alla distruzione della Repubblica Araba di Siria.
Nicolas Sarkozy, un altro ben vestito parimenti competente, gli aveva conferito la Legion d'Honneur.

sabato 12 marzo 2016

Alastair Crooke - Siria: i cambiamenti sul campo e le loro conseguenze politiche. La realtà e il prezzo dei pregiudizi.



Traduzione da Valdaiclub.com.

Il presidente Obama è ormai all'angolo: deve prendere una decisione che, qualsiasi alternativa venga scelta, metterà senz'altro di malumore qualcuno o magari tutti. Sicuramente non può limitarsi ad accusare la Russia o il presidente Putin.
Il presidente e i suoi consiglieri hanno sbagliato nel sottovalutare l'avversario. All'inizio di ottobre 2015 il presidente in persona ha dichiarato: "tentare di sostenere Assad e cercare di pacificare la popolazione non farà altro che condurre i russi in un pantano e non porterà nulla". Intanto il Pentagono statuiva che la strategia russa basata su attacchi aerei in sostegno ad una coalizione di forze di terra era "destinata a fallire".
Obama si è messo all'angolo da solo. Al momento in cui iniziava la campagna aerea russa il limite invalicabile per Washington era costituito dal fatto che gli Stati Uniti non avrebbero accettato di collaborare con la Russia; gli Usa avrebbero lasciato campo libero, tenute pronte le armi, e si sarebbero limitati ad attendere il plateale fallimento russo. Secondo funzionari USA non ci sarebbe voluto molto perché i russi desistessero ed invocassero l'aiuto statunitense. Più tardi la narrativa è diventata che l'esercito siriano, nonostante l'appoggio aereo russo, non riusciva progredire sul terreno; negli ultimi tempi invece si sono cominciate a far proprie le voci prive di riscontro secondo cui la Russia stava bombardando scuole e ospedali e popolazione civile, al pari dei cosiddetti "moderati" sostenuti dall'Occidente e la cosa cominciato a sapere di giustificativo per una futura intromissione di forza. Abbiamo motivo di credere che l'aver virato verso toni propagandistici sia dovuta essenzialmente alla scelta di esercitare pressione sulla Russia perché si arrivi ad un cessate il fuoco, vale a dire ad una sosta che limiti l'impatto dei progressi che i "quattro più uno" stanno conseguendo sul terreno.
A metà febbraio alla fine i leader occidentali hanno capito che Damasco i suoi alleati si trovavano tutt'altro che in un pantano; anzi, erano vicini ad una vittoria strategica e di qui i tentativi affannosi dell'amministrazione statunitense di arrivare ad un cessate il fuoco che rappresentasse una pausa. Interiorizzare la realtà è stato scioccante. Le valutazioni dei servizi di informazione statunitensi e anche di alcuni servizi dei paesi europei erano sbagliate fin dalla loro formulazione; l'aver sottovalutato le potenzialità dei "quattro più uno" di arrivare ad un risultato militare rappresenta senza dubbio un fallimento cognitivo di grosse proporzioni.
Come mai le cose sono andate così male? Michael Kofman pensa che "dal momento che Washington ha valutato che da parte sua non conveniva usare la forza per arrivare ad obiettivi politici in Siria, [i suoi esperti] hanno pensato che lo stesso valesse anche per la Russia. Per quale motivo i russi avrebbero dovuto avere successo laddove una superpotenza aveva deciso di non intervenire, dopo un'attenta analisi della situazione"? Senz'altro le cose possono essere andate così; solo che gli Stati Uniti sono arrivati a simili conclusioni sull'utilizzo della forza da parte dell'AmeriKKKa partendo dal punto di vista di chi considera l'utilizzo della forza per rovesciare uno stato sovrano. Un settore in cui, questo va detto, gli Stati Uniti non hanno mietuto chissà quali successi. La Russia invece aveva l'obiettivo di sostenere tramite la forza militare un apparato statale esistente e le sue consistenti ed intatte forze armate.
Certe errate conclusioni forse sono qualcosa di più della mera proiezione dell'esperienza statunitense come pensa Kofman. Esse devono molto a costrutti cognitivi più profondi, che stanno dietro al fatto di aver bollato come "predestinata al fallimento" l'iniziativa russa prima e ancora essa cominciasse. Uno dei pregiudizi più persistenti nelle conventicole occidentali è l'assunto che la tecnologia militare russa sia "vecchia" e che le forze armate russe siano in qualche modo incapaci di agire in maniera integrata. La Siria ha dimostrato che su questo punto la NATO ha commesso un grave errore: i funzionari della NATO sono rimasti di sasso, e il Pentagono si sta adesso affannando con l'aiuto della Silicon Valley ad aggiornare le proprie competenze tecnologiche temendo che la Russia abbia sopravanzato la NATO di diverse lunghezze. In ogni circostanza, i russi in Siria hanno mostrato una considerevole efficacia sul piano militare, facendo ricorso a risorse relativamente limitate.
Un altro limite concettuale è rappresentato dalla concezione binaria dell'Islam che statunitensi ed europei hanno interiorizzato, per lo più basandosi sugli Stati del Golfo loro alleati e sulla loro agenda anti iraniana. In quest'ottica, ogni volta che gli sciiti sono coinvolti in fatti d'arme in Medio Oriente i loro alleati militari (la Russia, in questo caso) vengono immediatamente trattati da appestati e da nemici da tutti i sunniti in tutto il mondo. Questa visione in bianco e nero ignora il fatto che lo wahabismo è un qualcosa che ha fatto irruzione sulla scena del Mediterraneo orientale in tempi molto recenti, attorno al 1947. Essere sunniti di per sé non significa e non ha mai significato simpatizzare per i vari orientamenti dello wahabismo. Al contrario, i sunniti della regione sono molto lontani da quest'orientamento intollerante e ristretto, importato dal Golfo. Ecco perché gli abitanti dei paesi del nord della Siria, e con loro i cristiani, i drusi, i curdi e così via, all'occasione liberati dalla presenza di An Nusra e dello Stato Islamico da corpi armati guidati dagli iraniani o da Hezbollah hanno accolto in modo tanto entusiasta i loro liberatori sciiti, proprio come avrebbero fatto se a cacciare gli jihadisti fosse stato l'Esercito Arabo Siriano che è a maggioranza sunnita. Gli USA ed alcuni dei loro alleati non hanno mai interiorizzato questo concetto; la Russia, col suo retroterra ortodosso che è sempre stato più vicino all'Islam tradizionale di quanto lo sia stata la cristianità latina, invece ci è riuscita.
A rendere ciechi gli ameriKKKani su qualsiasi possiblità che Russia e Iran potessero conseguire un qualsiasi successo militare in Siria è stata senz'altro anche la lobby di quanti cercano una giustificazione umanitaria per un intervento militare, guidata da Susan Rice e da Samantha Powers. Queste signore sono tutte e due vicine al Presidente Obama e sono delle smaccate ideologhe dell'intervento liberista: ai loro occhi solo l'Occidente ha l'autorità morale necessaria ad intromettersi con le armi. Nella loro visione da "fine della storia" in cui tutto il mondo tende a diventare una comunità liberista globale qualsiasi altro esito rappresenta un puro e semplice passo indietro, una chiave inglese negli ingranaggi della storia. La sfera liberista guidata dagli Stati Uniti a livello mondiale viene considerata in qualche modo democratica e pacifica nella sua essenza, e quanti insistono per rimanerne fuori vengono considerati invece una minaccia per la pace. Da questo punto di vista l'intervento russo in Siria va semplicemente contro questo "ordine mondiale naturale" ed è ipso facto "destinato al fallimento". Ad una riunione dell'ASEAN Obama ha tenuto un discorso intriso di concetti del genere. C'è l'insistente convinzione che le forze che tendono ad una convergenza globale siano talmente potenti da essere per forza destinate a trionfare. I "negoziati" tra palestinesi e stato sionista sono stati anch'essi impostati con un'ottica di fondo in un certo senso paragonabile, ovvero il fatto che lo stato sionista avrebbe finito con l'ammettere che la demografia deve avere la meglio. Il problema è che il refrain sulla "fine della storia" viene respinto dalla quasi totalità del mondo "non occidentale", che preferirebbe vivere secondo i propri valori culturali e riappropriarsi della propria sovranità. Se lasciamo perdere l'utopia dell'interventismo su pretesto umanitario e ci rifacciamo alla lotta geopolitica che si insegna alla scuola del realismo, allora diventa ovvio che le prove di forza militari siano quelle che determinano i risultati sul piano politico.
In ogni caso, l'AmeriKKKa ed anche il Regno Unito hanno sbagliato. Adesso Obama deve decidere se lasciare che la guerra in Siria arrivi ad uno sbocco politico grazie all'uso delle armi o se lasciare che si proceda con un'escalation a guida turca o turco-saudita. Da tenere presente è che l'Arabia Saudita sul piano militare non può che fare da comprimario ad un'operazione turca. Lasciare che la guerra finisca lasciando in sella il governo di Damasco sarà un boccone amaro per Washington; il Presidente troverà duro buttarlo giù. Ma lasciare che l'esercito turco abbia campo libero in Siria sarebbe qualcosa di peggio. Sarebbe una catastrofe.
In un certo senso, ed entro certi limiti, una qualche escalation è già in corso: l'artiglieria turca sta colpendo i curdi in Siria ed in Iraq e la Turchia ha aperto agli insorti le porte dei propri magazzini di armi. Senza giri di parole si può dire che per la Turchia è giunta l'ora della verità. Se Aleppo verrà liberata, cosa che è quasi sicura, sarà la fine anche per i giochetti turchi per sovvertire lo stato siriano, e sarà la fine anche per l'ambizione neoottomana di Erdogan di arrivare infine ad annettere parti delle province di Idlib e di Aleppo. Un importante editorialista turco, Semih Idiz, ha scritto che un'invasione militare turca vera e propria non è probabile; in realtà non è mai stata una prospettiva praticabile, dal momento che lo spazio aereo siriano è sotto controllo russo e che l'AmeriKKKa è riluttante a rischiare un'escalation con la Russia.
Difficilmente il continuo cannoneggiare il territorio dello YPG cambierà la situazione sul campo. Piuttosto, i curdi siriano dello YPG stanno compiendo in continuazione rapidi progressi militari, bombardamenti turchi nonostante. Probabile che esistano dei limiti alla libertà d'azione che Washington ha deciso di accordare alla Turchia, anche in questo particolare campo; lo YPG è il principale alleato degli USA nella guerra contro lo Stato Islamico in Siria. Per adesso gli USA continuano a sostenere lo YPG impegnato nella chiusura del corridoio di Azaz -la linea di rifornimento degli insorti per le forze assediate ad Aleppo est- anche se, paradossalmente, oggi come oggi lo YPG sta attaccando forze che comprendono anche formazioni sostenute dalla CIA. Sono le contraddizioni della guerra: combattenti sostenuti dagli USA contro altri combattenti riforniti dagli USA.
Per come stanno le cose, Erdogan è politicamente messo molto male ma non è detto che debba per forza perdere tutto, almeno non ancora. Entro certi limiti l'infervorata retorica turca di questi giorni e il continuo tintinnare di sciabole potrebbe riguardare più che altro le manovre turche e saudite per conservare insieme a Washington la presa propria e dei propri protetti in Siria orientale e nell'Iraq del nord: questo significa che la loro attenzione adesso si concentra sul tentativo di innestare una specie di staterello sunnita lungo la vallata dell'Eufrate che, con Mossul come capitale, potrebbe consentire ad Erdogan di ridurre la propria dipendenza dalle forniture energetiche russe che sarebbero sostituite dai campi petroliferi dell'Iraq nordorientale e impedirebbe all'Iran di raggiungere il Mediterraneo sia politicamente sia come potenziale fornitore di gas all'Europa, oltre a imbrigliarlo almeno in parte: un'idea questa che Erdogan può anche credere di riuscire a smerciare a Washington.
La corsa dei "quattro più uno" dunque non ha solo Raqqa per traguardo, per quanto importante esso sia, ma sia Raqqa che Mossul. I leader delle Forze Popolari di Mobilitazione irachene, cui è stato impedito di prendere parti alle operazioni contro lo Stato Islamico nella provincia di Anbar, sono stati recentemente in visita a Damasco e sono ansiosi di prendere parte alla liberazione di Mossul, magari ad opera di forze vicine ai "quattro più uno" che non dei turchi o degli ameriKKKani. In Iraq sta anche crescendo il sostegno per l'adozione di politiche che escludano la Turchia e gli Stati Uniti da qualsiasi ruolo nella futura presa della città.
Dunque, in quali termini si può parlare di vittoria o di sconfitta per quanto riguarda la guerra in Siria? Sembra che la prima mano, rappresentata dalla presa di Aleppo e dallo sbarrare il passo ad un'invasione turca in piena regola, l'abbiano vinta i "quattro più uno": una sconfitta grave per la Turchia e l'Arabia Saudita. Ma quale sarà il risultato finale? C'è da attendersi un attacco doppio verso Raqqa e Mossul; chi riuscirà a prendere entrambe potrà decimare lo Stato Islamico con un attacco contemporaneo da nord e da sud e in questo caso vincerebbro i "quattro più uno", e Siria ed Iraq finirebbero col formare una sorta di confederazione. In alternativa è Erdogan che vince, prendendo Mossul e Raqqa e lasciando la Siria nelle stesse condizioni della Germania dopo la seconda guerra mondiale, vale a dire divisa per i decenni a venire e con un "Sunnistan" ad est controllato di fatto dalla Turchia e dall'Arabia Saudita. A margine, occorre far presente a quanti vedono con favore un equilibrio dei poteri in Medio Oriente e che potrebbero pensare che l'affermazione dei "quattro più uno" in Siria andrebbe controbilanciata lasciando che la Turchia arrivi a controllare effettivamente il nord est iracheno, che una simile prospettiva finirà con una guerra a tutto campo tra sunniti e sciiti; non una guerra di religione o una guerra per interposti contendenti, ma un conflitto geostrategico importante.
Lo scorso fine settimana è entrato in vigore un cessate il fuoco. Solo che con le forze sul terreno -che sono la coalizione dei "quattro più uno" guidata da Russia, Siria ed Iran- che stanno avendo la meglio e che sentono a portata di mano la liberazione di Aleppo dalle forze degli insorti che la circondano in parte non è certo facile chiedere di fermarsi, rischiando di perdere un momento favorevole ottenuto a caro prezzo e di permettere agli jihadisti di serrare i ranghi e di tornare ad armarsi. Eppure, la leadership russa proprio questo ha fatto: ha imposto una pausa all'affondo. Il fatto che abbia acconsentito a tanto rivela la complessità del calcolo strategico. E' in corso una partita a scacchi su piani diversi. Ad un primo livello il Presidente Putin ha bisogno di far sfogare il veleno che in USA e in alcuni paesi europei come il Regno Unito viene sparso da quanti vorrebbero usare il conflitto siriano per resuscitare la guerra fredda e come mezzo per "dare una lezione alla Russia". Su un livello successivo, la leadership russa ha bisogno di giocare anche la carta dell'Europa, e di venire incontro a quei paesi europei che si oppongono con decisione a qualsiasi inasprirsi a guida statunitense delle tensioni con la Russia e che stanno aspettando gesti concreti che vadano a rafforzare la loro presa. Infine,la Russia non può ignorare i fatti concreti della guerra: non si può lasciare troppo a lungo un esercito a temporeggiare in mezzo ad un conflitto, sia che si arrivi a concessioni da parte dell'opposizione e si torni alla politica, sia che gli scontri riprendano.
In concreto non esistono azioni esplicite, tranne il rinunciare a tutti i vantaggi derivati dal ricorso all'azione militare, che possano mettere buoni sia i neoconservatori occidentali sia gli interventisti "umanitari". Questo è tanto più vero dal momento che Washington e certi paesi europei si vedono come i protettori degli interessi sunniti. In pratica, qualsiasi cosa facciano i russi, le loro azioni dovrebbero essere reputate soddisfacenti anche da quegli alleati degli USA che sono la Turchia e l'Arabia Saudita: e le loro pretese potrebbero benissimo presentarsi sottoforma di richiesta chye la situazione attorno ad Aleppo rimanga così com'è, di fatto lasciando la città a far parte della sfera di interesse della Turchia. Presentato in questo modo, il concetto potrebbe anche accattivarsi il sostegno europeo e diventare una ragione per spingere gli europei a considerare il conflitto congelato a questo punto: sarebbe una soluzione al problema dei profughi in Europa, la Turchia che si prende Aleppo e in cambio accetta di fermare il flusso dei profughi alla volta dell'Unione Europea.
Russia ed Iran non accetteranno nulla di tutto questo. Non esistono "azioni" esplicite, in breve, che possano essere accettabili per entrambe le parti e che possano avere effetti sui calcoli di tutti coloro che sono coinvolti nel conflitto. Inoltre, la "cessazione delle ostilità" implica una quantità di mine potenziali quante ne bastano per far sì che l'accordo possa saltare in ogni momento. Il risultato probabile è quello di una tregua di breve durata, passata la quale i "quattro più uno" continueranno a guadagnare terreno e di conseguenza le tensioni tra Russia e USA a salire.