martedì 24 novembre 2015

Obama e l'eredità del lato oscuro


Traduzione da Conflicts Forum.

"Ci sarà da lavorare anche su quella specie di lato oscuro, se si vuole".

Dick Cheney

All'inizio di agosto l'ex funzionario di più alto grado dei servizi di informazione del Pentagono, luogotenente generale Michael Flynn, ha detto che l'"Occidente" si era incaponito a sostenere l'ascesa di una "entità statale salafita più o meno dichiarata nell'est della Siria" per fare pressione sul governo siriano, e poi ha proseguito confermando che il rapporto delle agenzie di informazione della difesa statunitense del 2012 recentemente reso pubblico in cui si trattava dell'ascesa dello Stato Islamico in Siria conteneva espliciti ammonimenti sulla possibilità che "uno stato islamico" venisse dichiarato "grazie all'unificazione con altre organizzazioni terrroristiche dell'Iraq e della Siria". Nel mainstream la cosa è passata quasi sotto silenzio: nessuno si è azzardato a toccare il nervo scoperto rappresentato dalla possibile collusione degli Stati Uniti con le forze del califfato.
Quello che il generale americano andava dicendo era comunque chiaro quanto basta: la trasformazione del conflitto siriano in uno jihad era frutto di una decisione politica perseguita con ostinazione, sin dai tempi in cui al Qaeda e l'embrionale Stato Islamico erano gli unici movimenti in grado di instaurare un califfato del genere sui territori siriani ed iracheni. A questo ha tranquillamente fatto seguito la tacita accettazione di questo risultato da parte dell'amministrazione statunitense e dei suoi alleati, in nome dell'interesse ad indebolire o a sovvertire lo stato siriano.
In Occidente molti hanno trovato difficile credere alle considerazioni del Generale Flynn, nonostante la sua conoscenza in prima persona degli avvenimenti: ma come può essere successa una cosa simile, che a tanti osservatori e a tanti lettori deve essere sembrata contro ogni logica? Oltretutto sono cose che toccano una ferita ancora aperta nella psicologia occidentale: gli avvenimenti dell'undici settembre 2001. Solo che ormai con l'intervento militare russo ed iraniano il pantano in cui si è cacciato l'Occidente ha preso fin troppa evidenza: la Russia sta fornendo copertura aerea all'Esercito Arabo Siriano che è all'opera per tagliare da una parte le linee di rifornimento che uniscono gli insorti alla Turchia, e dall'altra le comunicazioni tra Mossul ed Aleppo, per porre così le basi della sconfitta strategica dello Stato Islamico.
A fronte di tutto questo i leader occidentali vengono per lo più considerati dei prevaricatori capacissimi di andare a mettere bastoni tra le ruote e di danneggiare direttamente i tentativi che i russi e tutti gli altri stanno facendo per sconfiggere le forze radicali del califfato, avallando l'arrivo in Siria di un grosso quantitativo di missili portatili e anticarro inviati da paesi del Golfo Persico. Ma da che parte sta l'Occidente?!
A volte l'alleanza dei "quattro più uno" deve affrontare avversari che non sono lo Stato Islamico e che si chiamano an Nusra e Arhrar al Sham: jihadisti e forze del califfato che non hanno assolutamente alcun interesse ad arrivare ad un accordo politico che non contempli la loro vittoria. Eppure i politici occidentali gridano ogni volta al fallo, cosa che implica il fatto che quelle formazioni sono in qualche modo i "loro uomini" e che non dovrebbero essere attaccate. A quanto sembra, il pantano in cui l'Occidente si è cacciato si estende sul Medio Oriente intero: gli USA e i loro alleati sono ufficialmente in guerra contro i tagliatori di teste del radicalismo sunnita e al tempo stesso continuano a imbastire tresche con loro. Com'è potuto succedere? Come rimediare a questo pasticcio?
Le radici dell'atteggiamento ambiguo che gli USA hanno nei confronti dello scatenato Islam sunnita radicale (come abbiamo già spiegato) si trovano principalmente nel gruppo di neoconservatori americani che hanno messo insieme una influente cerchia di "combattenti da Guerra Fredda" attorno al Vicepresidente Dick Cheney e che sono ossessionati dal pensiero di dover cacciare l'influenza soietica dal Medio Oriente e rovesciare i paesi arabi socialisti e nazionalisti, visti allo stesso tempo sia come servi dei sovietici che come minacce per lo stato sionista.
David Wurmser, consigliere di Dick Cheney per le questioni mediorientali, nel 1996 insisteva sul fatto che per l'america "determinare e velocizzare il caotico collasso" del baathismo doveva essere la più importante priorità nella regione. Secondo Wurmser non si doveva dare quartiere al nazionalismo arabo laico, nemmeno perché costituiiva un argine contro il fondamentalismo islamico. L'america ha fatto della distruzione del laicismo nazionalista il suo obiettivo imprescindibile e si è trovata così in obbligo con alleati come i re del Golfo e gli emiri, che hanno sempre fatto ricorso allo jihadismo sunnita servendosene come un anticorpo contro il contagio democratico.
Solo che l'utilizzo dei movimenti jihadisti sunniti radicali da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna in nome dei "più vasti fini geostrategici" era già una pratica corrente ben prima del 1996.
A domanda se gli rincrescesse il fatto che la CIA aveva dato sostegno sotto copertura agli jihadisti in Afghanistan sei mesi prima che i sovietici invadessero il paese (su richiesta di Kabul) il consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente Carter Zbig Brzezinski rispose:
Ad essere precisi era il tre luglio 1979 il giorno in cui il Presidente Carter firmò la prima direttiva che ordinava aiuti sottobanco per gli oppositori del governo filosovietico di Khabul [i sovietici intervennero il 24 dicembre 1979]. Quello stesso giorno io scrissi al presidente una nota in cui gli spiegavo che a mio modo di vedere questi aiuti [diretti alle forze islamiche radicali] avrebbero indotto i sovietici ad intervenire [in Afghanistan].
D.: Nonostante il rischio fosse questo, lei ha sempre difeso questa operazione sotto copertura. Forse lei stesso voleva che i sovietici entrassero in guerra e ha cercato di provocarli?
Brzezinski: No, non è stato propriamente così. Noi non abbiamo spinto i russi a intevenire, ma abbiamo consapevolmente fatto salire le probabilità che lo facessero. 
D.: Quando i sovietici si giustificarono affermando che intendevano combattere contro il segreto coinvolgimento degli USA in Afghanistan nessuno gli credette. Eppure era sostanzialmente la verità. Non ha nulla di cui pentirsi oggi?
Brzezinski: Pentirmi di cosa? Quell'operazione segreta fu un'idea eccezionale perché attirò i russi nella trappola afghana; me ne dovrei pentire? Il giorno in cui i sovietici passarono ufficialmente la frontiera io scrissi a Carter: "Adesso abbiamo la possibilità di dare all'Unione Sovietica il suo Vietnam..."
D.: Non è pentito nemmeno di aver appoggiato i mujaheddin islamici, fornendo armi e addestramento a futuri terroristi?
Brzezinski: Cos'è che conta di più nella storia universale? I talebani o il crollo dell'impero sovietico? Un pugno di musulmani turbolenti o la liberazione dell'Europa centrale e la fine della guerra fredda?
D.: Un pugno di musulmani turbolenti? Ma se dicono e ripetono che il fondamentalismo islamico è oggi una minaccia mondiale...
Brzezinski: Sciocchezze...!
Questo manipolare lo jihadismo sunnita scatenato in nome dei fini geopolitici statunitensi era già allora una pratica consolidata, anche se le origini del pantano siriano risalgono più che altro agli eventi del 2006 e del 2007. La guerra in Iraq nel 2003 non era finita con la creazione del blocco regionale filostatunitense e filosionista vagheggiato dai neoconservatori: anzi, aveva fatto da stimolo per la resistenza di una potente "mezzaluna sciita" estesa dall'Iran al Mediterraneo, che i leader del Golfo cominciavano a temere. Gli stati sunniti erano "attoniti davanti alla rivalsa sciita, e cresceva il risentimento alimentato dal nostro intendercela con gli sciiti moderati in Iraq", disse all'epoca un consigliere del governo statunitense. "Noi non possiamo annullare l'avanzata sciita in Iraq, ma possiamo arginarla".
La goccia che fece traboccare il vaso fu il fallimento dello stato sionista, che nella guerra del 2006 non riuscì a infliggere danni seri a Hezbollah: paesi del Golfo e stato sionista ne furono snervati. Tutto questo provocò un vivace dibattito a Washington: "Pare che a livello governativo ci sia stata una discussione su quale sia il pericolo più grave, l'Iran o i sunniti radicali" disse a Seymour Hersh Vali Nasr del consiglio per gli affari esteri. "I sauditi e qualche membro del governo pensano che la minaccia più seria venga dall'Iran e che i sunniti radicali siano dei nemici di minor conto. Per la linea saudita è una vittoria".
In un certo senso fu una vittoria anche per i vertici del Libano, di stretta osservanza saudita, che negli anni precedenti avevano consolidato i propri legami con i gruppi estremisti sunniti che avevano fatto propria una visione militante dell'Islam (per esempio Fatah al Islam) manifestando ostilità per l'America e vicinanza ad Al Qaeda. Questi taciti alleati dell'Alleanza del Quattordici Marzo vennero considerati dalla élite sunnita libanese come un braccio militare potenziale, formato da combattenti fattisi esperti nel conflitto iracheno, che si poteva foraggiare e in ultima analisi mantenere al meglio delle proprie potenzialità in modo che si contrapponesse militarmente a Hezbollah. Sarebbero state le forze d'assalto dell'Alleanza del Quattordici Marzo e sarebbe toccato a loro arginare l'infuenza sciita e magari, in fin dei conti, sconfiggerla.
Il caso libanese è stato presentato al governo USA da individui come Jeff Feltman, all'epoca ambasciatore statunitense in Libano, come se fosse un esempio in piccola scala di quello che si sarebbe potuto fare in Siria. I capi dell'Alleanza del Quattordici Marzo si dissero sicuri di poter controllare tranquillamente questi elementi radicali e che nonostante la loro propensione per al Qaeda si trattava di organizzazioni comunque comprese sotto l'ampio ombrello sunnita realizzato da Saad Hariri e dall'Arabia Saudita. La caduta della Siria sarebbe stata come una chiave inglese cacciata tra gli ingranaggi che legavano l'Iran allo spauracchio dello stato sionista: Hezbollah. Per l'amministrazione statunitense era una prospettiva intrigante. Seymour Hersh scriveva: "Questa volta, mi ha riferito il consulente del governo degli Stati Uniti, Bandar e gli altri sauditi hanno garantito alla Casa Bianca che non perderanno d'occhio i fondamentalisti religiosi. Come se ci avessero mandato a dire che loro hanno creato questo movimento, e loro lo controllano. Non è che noi non vogliamo che i salafiti scaglino bombe: dipende da chi è il bersaglio... [dovrebbero tirarle a]: Hezbollah, Moqtada al Sadr, l'Iran e anche i siriani, [nel caso dovessero] proseguire a cooperare con Hezbollah e l'Iran".
In ogni caso, non tutti i sauditi ostentavano tanta sicurezza. Un ex diplomatico saudita a colloquio con Hersh accusò il leader di Hezbollah Nassrallah di star cercando di "prendere il controllo del paese" ma deplorò anche il sostegno che libanesi e sauditi davano agli jihadisti sunniti in Libano: "i salafiti sono pazzi e pieni di odio e sono molto contrario all'idea di averci a che fare", disse. "Odiano gli sciiti, ma odiano ancora di più gli americani. Se cercate di fregarli, loro fregheranno noi. Sarà brutto".
Nonostante tutto questo Cheney e i suoi si sono fatti affascinare dalle idee che Bandar aveva sul conto della Siria, anche se si sono mossi con cautela: "Dobbiamo fare tutto il possibile per destabilizzare il governo siriano e sfruttare ogni singolo momento in cui non riusciranno a tenere il passo dal punto di vista strategico". In un'intervista con il Telegraph del 2007 David Wurmser, ex consigliere di Cheney e di John Bolton, confermò che questo "comprende anche l'intenzione di arrivare fin dove possiamo per rovesciare il governo [siriano], se necessario". Disse che "la fine del governo baathista a Damasco potrebbe innescare un effetto domino che porterebbe all'abbattimento del governo iraniano".
Bandar si era vantato di essere capace di controllare gli jihadisti: "lasciate fare a me". Il consigliere di Cheney per la sicurezza nazionale, John Hannah, ebbe a ricordare in seguito che all'epoca vi fu generale consenso: "Che Bandar operi senza far riferimento agli interessi degli USA è cosa che ovviamente desta preoccupazione. Ma Bandar che sta dalla nostra parte... contro il comune nemico iraniano, è una cosa che ha un'importanza strategica fondamentale". L'ingresso dell'Arabia Saudita in questa inziativa di vaste proporzioni contro la Siria segnò l'inizio dell'alleanza strategica tra sauditi e stato sionista, uniti dalla comune ostilità verso l'Iran.
In effetti, l'ex diplomatico saudita aveva ragione. Né Hariri né il principe Bandar erano in grado di controllare le esagitate forze del califfato con cui avevano a che fare. Erano tanto pervase di moderazione che continuarono a scivolare politicamente verso al Qaeda e il califfato dello Stato Islamico, e con loro passarono di parte anche gli armamenti che la CIA gli aveva fornito. Il conflitto siriano è diventato sempre più jihadista nella sua essenza, proprio come nel 2012 il Generale Flynn aveva detto che sarebbe successo.
Alla faccenda dei "moderati" Obama ha detto chiaramente di non aver mai creduto, fin dall'inizio. Nel 2012 disse a Jeffry Goldberg: "Quando c'è un esercito composto da militari di professione, ben armato e sovvenzionato da due grandi paesi che hanno grossi interessi in gioco e sono in guerra contro un contadino, un carpentiere, un ingegnere che hanno iniziato con le manifestazioni di piazza e all'improvviso si trovano nel mezzo di una guerra civile -comunque la si possa intendere- è chiaro che questo non riguarda le forze statunitensi: in quei contesti non è mai successo che si cambiassero le cose sul terreno" (il corsivo è di Conflicts Forum).
Obama non credeva nei moderati, ma era sotto pressione da parte dei falchi -tra i quali c'erano anche i suoi inviati Fred Hof e il generale Allen- perché si accelerasse la cacciata del Presidente Assad. Solo che Obama era stato chiarissimo: "Non ci getteremo a corpo morto in una guerra civile cui prendono sì parte alcune frange popolari che davvero vogliono una vita migliore, ma in cui si trovano anche soggetti che a lungo termine provocherebbero danni agli Stati Uniti". Come spesso succede, si reagì rivolgendosi a sistemi più discreti, in modo da dare un contentino ai falchi aumentando le operazioni clandestine in sostegno all'opposizione, jihadisti compresi.
Obama: ...Abbiamo ragione di credere che [il Presidente Bashar al Assad] abbia i giorni contati. Non è in questione il se, ma il quando. Ora, possiamo accelerare questa cosa? Stiamo lavorando con la comunità internazionale per cercare di arrivarci... (...)
Goldberg: C'è nulla che potreste fare per sveltire le cose?
Obama: Nulla di quello che posso dirle, perché lei non ha permessi sufficienti per venire a parte di certe informazioni riservate [risata].
Ovviamente l'amministrazione si è potuta accorgere di come altri, e non certo "in modo chiaro", stessero "cambiando le cose sul terreno". Nel 2014 il vicepresidente Biden ammise con ancor maggiore candore:
L'essenza della questione è l'essere in grado di identificare un centro moderato in Siria. Centro moderato che non esiste perché un centro moderato è fatto di bottegai, non di soldati...
Quello di cui mi lamentavo di continuo era che il problema più grosso sono i nostri alleati: i nostri alleati in Medio Oriente erano il problema più grande, in Siria. I turchi... i sauditi, i vari emirati... Cosa stanno combinando? Davero volevano cacciare Assad e alla fine ritrovarsi con una guerra di prossimità tra sunniti e sciiti? Che cosa hanno fatto? Hanno rovesciato centinaia di milioni di dollari e decine, migliaia di tonnellate di armamenti addosso a chiunque avrebbe combattuto contro Assad, solo che a ricevere tutto questo sono state an Nusra e al Qaeda, oltre ad elementi dello jihadismo estremista arrivati da altre parti del mondo...
...E non c'è stato verso di convincere i nostri colleghi a smettere di rifornire questa gente. Che cosa è successo? Ora tutto a un tratto -non è che voglia scherzarci troppo su- hanno visto la luce [i paesi del Golfo avevano detto che si sarebbero uniti ad una coalizione contro lo Stato Islamico]? Ora ci troviamo in questa situazione: il Presidente è riuscito a mettere insieme una coalizione che riunisce i nostri partner sunniti, perché gli Stati Uniti non possono permettersi di invadere un'altra volta un paese musulmano e di passare da aggressori: la coalizione deve essere a guida sunnita, deve andare e combattere contro un'organizzazione sunnita".
Paradossalmente John Hannah deve aver tratto beneficio dall'esperienza fatta, perché riferendosi all'incontro che Obama ha avuto nel giugno 2015 a Camp David con i leader del Golfo Persico ha espresso queste considerazioni sulla politica siriana del Presidente. Hannah ha notato che dopo "aver messo in chiaro che comprende la minaccia rappresentata dall'Iran per tutta la regione"
...[Obama] si è lasciato andare a questa piccola perla: a suo modo di vedere gli arabi devono imparare dall'esempio iraniano. In concreto dovrebbero capire bene come funziona la Forza Quds e sviluppare delle proprie organizzazioni sul terreno che siano capaci di contrastare passo dopo passo gli agenti iraniani e di sconfiggerli. Il Presidente è sembrato meravigliato dal fatto che da Hezbollah agli Houti passando per le milizie irachene, l'Iran possa contare su tanti sostenitori locali in grado di adoperarsi per i suoi interessi. "Dove sono gli equivalenti sunniti", ha chiesto: in particolare voleva sapere perché i sauditi e i loro alleati non sono stati capaci di tirare abbastanza yemeniti dalla loro parte in modo da rivolgere contro gli Houthi le sorti del conflitto. Obama ha detto che gli arabi hanno grandissimo bisogno di sviluppare un insieme di strumenti che vada al di là della forza bruta e dell'intervento diretto: dovrebbero essere più sottili, più occhiuti, più efficaci... insomma, un po' più come l'Iran.
E queste le riflessioni di John Hannah, senz'altro grazie alle esperienze fatte:
"Pensiamoci un momento. Minacciati, alla disperazione, poco sicuri del sostegno statunitense e impegnati in uno scontro mortale con un Iran sciita che diventa sempre più settario, a chi potrebbero rivolgersi gli wahabiti per farne in fretta e furia un potenziale alleato sul terreno? Ad al Qaeda nella Penisola Arabica in Yemen? A Jabhat an Nusra in Siria? Allo Stato Islamico in Iraq? Impossibile? Chissà, forse sì. Ma forse no. Il passato non sempre è prodromo del presente ma costituisce di sicuro una ragione per muoversi con molta cautela. Sembra che il presidente sia molto appassionato delle operazioni clandestine, sotto copertura e paramilitari, che costano relativamente poco e si svolgono senza visibilità. Sembra anche alla disperata ricerca di un modo per alleviare il peso che per gli USA ha il mantenimento di una leadership mondiale imponendo a certi alleati problematici di farsi avanti e di pattugliare loro stessi il proprio vicinato. Se si mettono insieme tutte queste cose, si vede che tutto torna a meraviglia come insieme di misure per arginare l'Iran. Solo che il Medio Oriente è questo, e il prossimo conflitto settario jihad contro jihad è appena all'inizio. Quindi bisogna fare attenzione a quello che si vuol fare".
Di qui la natura esatta del pasticcio in Siria. A volte proprio non si può arrivare a quadrare il cerchio concedendo un po' di questo e un po' di quello a tutte le parti in causa, falchi di casa, industria delle operazioni speciali, alleati del Golfo, mentre si cerca al tempo stesso di tenere una linea che eviti un intervento militare decisivo da parte degli Stati Uniti. A parte le questioni di vocabolario e un certo mercato delle vacche, al Qaeda o an Nusra e altra gente del genere come Ahrar al Sham e così via possono cambiare nome ogni volta che vogliono, senza che questo autorizzi a considerarle formazioni moderate, né nel senso di "moderati alla Weybridge" come dicono nel Regno Unito, né in alcun altro senso.
Tom Friedman ha detto correttamente:"Obama ha fatto bene ad ostentare indecisione sulla questione del coinvolgimento in Siria. Solo che gli è mancato il coraggio di illustrarne le ragioni al popolo americano. Continua a farsi impaniare in fatti e detti che a pelle sa bene che non funzioneranno, e si trova così nella peggiore delle situazioni, quella in cui la retorica supera la politica, e la politica che non funziona".
Non sorprende il fatto che qualcuno negli USA stia, sia pure con cautela, guardando all'intervento militare del Presidente Putin come all'unico modo per venire a capo di questo nodo di Gordio e per togliere Obama dall'imbarazzo della sua indecisione. Che siano la Russia e i suoi alleati a sconfiggere lo Stato Islamico, e ben venga il fatto che "un contadino, un carpentiere, un ingegnere che hanno iniziato con le manifestazioni di piazza e all'improvviso si trovano nel mezzo di una guerra civile" -per dirla con le parole di Obama- vengano chiamati a far parte del processo politico. Sarebbe già un risultato.

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