sabato 30 maggio 2015

Il trionfo definitivo di Silvio Berlusconi (e del boiscàut Matteo Renzi) in una piazza di Segrate



Dio è nei particolari, sosteneva Mies van der Rohe; chissà che la stessa cosa non valga anche per il Lapidato.
Il 30 maggio 2015 le gazzette riportano una di quelle non-notizie che servono a riempire spazio e a tirar giornata. Un particolare, appunto, che non meriterebbe neanche un'occhiata, come non la meritano il più delle volte tutti i contenuti della stampa "occidentale", tanto libera e tanto obiettiva e tanto priva di condizionamenti.
La non-notizia riferisce che in una cittadina nel nord della penisola Silvio Berlusconi sarebbe capitato alla festa di un candidato avverso al suo, avrebbe esortato i giovani presenti a votarlo e si sarebbe accorto dell'errore solo dopo qualche minuto.
Silvio Berlusconi è figura notissima: in questa sede basterà ricordare che fu il fondatore del maggior partito "occidentalista" della penisola italiana, e che il "partito democratico" si è presentato come suo antagonista sin dalla fondazione.
Quanto accaduto significa che sostenitori, simpatizzanti, elettori potenziali del "partito democratico" sono indistinguibili dai loro sedicenti avversari, persino nel contesto di un evento che chiude una campagna elettorale.
La cosa non è affatto una novità: il piccolo incidente occorso a Berlusconi rappresenta soltanto la più autorevole conferma possibile ad un processo già da tempo compiuto.

venerdì 29 maggio 2015

Appello al senso di responsabilità dell'elettorato fiorentino: votate per Giovanni Donzelli!


Questo gruppo di individui dall'aria imbelle che ciondola sulla porta di un fondo commerciale fiorentino dovrebbe essere il "comitato elettorale" del dipl. Giovanni Donzelli, ritratto in primo piano in una delle sue espressioni più impegnate. Si noti il maglioncino: colore e taglio sono analoghi a quelli che alcuni anni fa hanno suscitato reazioni manesche in un esercente del centro cittadino.
Al momento in cui scriviamo mancano pochissimi giorni ad una consultazione elettorale in cui non si sono notati picchi propagandistici di cui meriti scrivere, anche perché più che su manifesti o mass media tradizionali gran parte delle ciarle propagandistiche sono andate a decantare nel cicaleccio continuo dei "social media", diventato in pochi anni un mare magnum in cui tutto affonda nell'inconcludenza e del quale, almeno in questa circostanza, poco o nulla importa alle persone serie. 
A questa consultazione partecipa come candidato anche il dipl. Giovanni Donzelli, che oltre a cinguettare e a pigiare bottoncini sul Libro dei Ceffi insieme a milioni di altri sfaticati ha fatto spargere qua e là anche qualche volantino patinato dall'aspetto un po' più normale, non fosse che per il fatto che i suoi propagandisti hanno dovuto dare prova di cavarsela almeno un minimo sui piani della sintassi e dell'ortografia, che soprattutto sul Cinguettatore possono altrimenti essere considerate materie di terz'ordine.
Da uno di questi volantini è nata la nostra vivissima preoccupazione che ci ha portato, nel nostro piccolo, a caldeggiare un successo elettorale di buona misura per il dipl. Donzelli.
In una frase di presentazione, il diplomato dice di sé:
39 anni, sposato con Alessia, due bambini (Riccardo e Lidia, di 5 e 3 anni). Candidato a vice-governatore della Toscana e capolista a Firenze per "Fratelli d'Italia-AN - Liste civiche con Giorgia Meloni". Inutile cercarmi per chiedere raccomandazioni o agevolazioni personali.
Il brano citato riporta il nome dello stato che occupa la penisola italiana; come d'uso ce ne scusiamo contritamente con i nostri lettori -specie con quanti avessero appena finito di pranzare- e veniamo ad esaminare la sostanza dello scritto.
Di quei trentanove anni, Giovanni Donzelli ne ha trascorsi quasi la metà occupando un numero di matricola e qualche pezzo di panca all'università di Firenze. La cosa non gli ha mai impedito di fare il relatore in vari convegni sulla meritocrazia.
Diciamo poi che il matrimonio del diplomato si svolse anni fa a Pennadomo, in una regione che fu colpita dopo pochi mesi da un terremoto devastante in cui potremmo sarcasticamente vedere un segno preciso da parte dell'Altissimo. Una sorte che in un paio d'anni toccò anche al suo "partito", una formazione che aveva riscosso tanti suffragi da rendere talmente problematico il gestirli che a ricoprire incarichi ad ogni livello sono stati spediti donzelli di ogni genere, con gli eleganti e costruttivi risultati che le persone serie conoscono bene. Di qui uno tra i moltissimi motivi che hanno portato le formazioni "occidentaliste" ad una contrazione molto preoccupante dei consensi, al punto da costringerle, in questo caso specifico, a coalizzarsi per evitare di vedere liquefatte le proprie rappresentanze.
Dunque il diplomato ha dovuto di molto rivedere le proprie ambizioni di carriera.
Neanche governatore, vicegovernatore[*].
Effettivamente inutile contattare il dipl. Donzelli sperando in raccomandazioni o regalìe, semplicemente perché a Firenze la sua formazione politica viene tollerata e tenuta sprezzantemente -e giustamente- ai margini della vita politica. Difficile che possa contare sulle risorse necessarie a soddisfare richieste di un certo tipo.
Abbiamo lasciato per ultimo l'argomento che più ci preoccupa: ci preoccupa al punto che per una volta sorvoleremo volentieri anche su tutto quanto il resto.
Davanti a questioni di tanta gravità, sarebbe ingeneroso e sconsiderato irrigidare le proprie posizioni.
I piccoli Riccardo e Lidia.
La propaganda disponibile sul conto di Giovanni Donzelli non consente di ascrivergli alcun genere di competenze utilmente spendibili sul mercato del lavoro.
Questo significa che senza il cespite che gli arriva dalla politica, economicamente parlando sarebbe un disastro. Una vera, autentica tragedia.
E con il disastro, due innocenti che rischiano di finire sul lastrico.
Chiunque voglia evitare a Lidia e Riccardo di conoscere il baratro dell'indigenza e lo squallore della miseria, è chiamato a fare la propria parte.
Non costringiamoli ad affinare l'olfatto agli odori della mensa popolare.
Rimandiamo di qualche anno l'istante in cui dovranno rassegnarsi a guardare le panchine con altri occhi.

[*] "...Neanche cuoco, sottocuoco...!" (Amici miei atto II, 1982).

lunedì 25 maggio 2015

Firenze: viaggia sul Libro dei Ceffi la lotta alle malattie invalidanti


Dunque.
Mettiamo che esista un paese a sud di Firenze, famoso per una rievocazione storica del Venerdi Santo, per la sua enorme Casa del Popolo e per altre secondarie ragioni.
Mettiamo che vi alligni una "compagnia", intesa come gruppo informale in cui predominano legami di amicizia e cooperazione reciproca.
Mettiamo che questa compagnia, in prevalenza maschile, abbia da almeno trent'anni il pallone in tutte le sue varianti (giocato, guardato, travestito, finto, scommesso...) come principale oggetto di interesse.
Un quadro come tanti in un paese qualunque.
Poi si presenta un problema.
Uno dei signori di cui sopra si scopre una brutta e fastidiosa malattia, che si chiama sclerosi multipla.
I legami informali, in un'epoca in cui domina incontrastata una morale da lager che impone di mangiare il proprio pane e, se si può, anche quello del vicino, hanno in una certa misura sostituito il welfare state. Sicché gli altri amici si attivano per organizzare raccolte di fondi di ogni genere, e se ne inventano di ogni sorta per non far mancare le risorse necessarie allo sfortunato compagno per poter affrontare la vita in maniera sopportabile.
Tutto oltremodo lodevole.
Con un dettaglio piuttosto antipatico, soprattutto perché evitabile senza alcun problema.
Il dettaglio piuttosto antipatico è dato dal fatto che l'iniziativa non sfugge all'autoschedatura di massa più in voga degli ultimi anni. L'avesse avuta la STASI il Muro di Berlino sarebbe ancora in piedi e pattugliato dalla Volkspolizei, il cielo tra Rostock e Karl Marx Stadt sarebbe percorso da magnifici caccia tirati a lucido con la stella rossa sulle ali e nessuno -tanto per fare un esempio- sarebbe andato ad insegnare ai governanti della Repubblica Araba di Siria ad avere più rispetto per le lesbiche di Damasco.
Fatto sta che sul Libro dei Ceffi, qualcuno inserisce anche una testimonianza dei progressi che questo signore riesce a compiere grazie alla fisioterapia cui gli amici hanno contribuito.
Sono quelli della foto.
Vi si legge:

Ciao
Forza viola
W la fica

Un programma inedito, costruttivo, di assoluta e sorprendente originalità.
A lasciare più sprezzanti che perplessi è l'intraprendenza di chi ha per l'ennesima volta reso pubblici materiali come questi, e che sicuramente ha creduto di fare chissà cosa.

mercoledì 20 maggio 2015

Firenze: il risveglio dell'economia passa dai fattorini con partita IVA.



Roma, ora, ha parlato: non più mance! I camerieri avranno dal proprietario del restaurant quel dieci per cento che gli davo io. Naturalmente il proprietario del restaurant mi aumenterà, con la divina facilità che hanno tutti gli esercenti, il prezzo della costoletta e delle patate fritte di un dieci per cento che assomiglierà maledettamente ad un quindici o ad un venti per cento, e il cameriere non avrà più l'umiliazione di ricevere la mancia ma soltanto il purificato e disinfettato valore della medesima, ciò che sarà in fondo la stessa cosa per le sue tasche, ma una cosa profondamente diversa per la sua anima e per gli immortali principi dell'Ottantanove. Ci sarà per me un piccolo inconveniente, è vero: quella che prima era una mia abbastanza volontaria elargizione, diventerà una legge: ciò che il cameriere chiedeva in nome della cortesia, ora me lo toglierà in nome del suo diritto. [...] Io perderò l'amore del cameriere. Sarò per lui un uomo come un altro. Egli non avrà da conquistare con la soavità dei modi la mia mancia; la mancia gliela daranno le mie costolette, le mia patate, non io. Esse avranno un maggior valore materiale e morale. Io non conterò più nulla: se anche il cameriere mi darà più osso che carne, il suo dieci per cento gli toccherà infallibilmente. Mangerò cavallo come prima, ma il cameriere non mi avrà invitellato quel cavallo giurandomi sul suo blasone che è vitello; nessuno andrà più per me in cucina a strappare al cuoco, magari con la violenza, il più buon boccone che navighi nell'unto dei tegami. E' possibile vivere al restaurant senza il conforto di queste finissime premure?
Renato Simoni, gazzettiere e critico teatrale, così commentava ben addietro nel secolo scorso l'avvenuta disciplina per legge del lavoro di cameriere.
A maggio 2015 i boiscàut governativi hanno statuito l'uscita dalla crisi economica, sicché guai contraddirli. A tirare la volata alla ripresa c'è l'inconcludente masticatoio internazionale aperto a Milano all'inizio del mese.
La propaganda è una cosa, la realtà è spesso l'opposto, ed è roba che fa apprezzare l'umanità di certe nostalgie.
Di quanto sta succedendo a Milano abbiamo trattato nello scritto in link. A Firenze può succedere di passare per via del Bronzino e notare che in un posto che si fa chiamare "Pizzeria Settimo Cielo" stanno in tutta serietà cercando un fattorino per consegne con partita IVA.

lunedì 18 maggio 2015

Il "ministro degli interni" nello stato che occupa la penisola italiana: un mestiere rischiosissimo e pieno di tensioni.



Nella penisola italiana sono in corso le ultime sgazzettate prima di una consultazione elettorale: tra Libro dei Ceffi, cinguettii, Cinguettatori e ceffi veri e propri il cicaleccio di questi giorni è più inutile e repulsivo che mai perché gli interessi e le competenze dei sudditi sono rappresentate dai mass media con fedeltà ancor maggiore del consueto.
Racconta Miguel Martinez di Kelebeklerblog che uno cui fanno fare il "ministro degli interni" si sarebbe intromesso in una lite tra ragazzini statuendo che chi non condivide i loro valori, chi ritiene di star male nel loro paese perché magari non ha la loro stessa religione, è liberissimo di andarsene quando vuole. Dato il conflitto sociale inesistente e la propensione ormai priva di incrinature dei sudditi a vendersi al primo sodomita di passaggio in cambio di un piatto maccheroni, la carica di "ministro degli interni" in un "paese" del genere non comporta impegni troppo gravosi; chi la ricopre può ben trovare il tempo per un parere ponderato, documentato e competente anche su questioni di tanto vitale importanza per l'ordinato svolgersi della vita associata.
Nello stato che occupa la penisola italiana l’islamofobia da taschino ha ancora oggi spikes ciclici e relativamente prevedibili ogni volta che si rinnova qualche organo elettivo. La sua comparsa nell’agenda setting è dovuta al fatto che probabilmente esiste un “deep state” anche tra i gazzettieri, rimasto alle parole d’ordine dei governi yankee di dieci anni fa.
Fino a qualche tempo fa si poteva anche presumere che ostentare notizie simili procurasse voti a determinati committenti: tra qualche settimana, dati alla mano, vedremo se le cose stanno ancora in questo modo.
La questione dura qualche ora, poi tutto torna come è ovvio a posto: qualcuno si preoccupa addirittura di ristabilire l'equilibrio osmotico della "libera informazione" diffondendo una new di segno opposto, su una quattordicenne oggetto di bullismo scolastico a sfondo razziale.
Possiamo anticipare la risposta del "ministro degli interni":
“Se a questa ragazza non piacciono le battute sui negri ed il razzismo, vuol dire che non fa nessuno sforzo per capire la nostra Cultura e le nostre Tradizioni, quindi e meglio che torni a casa sua”.

giovedì 14 maggio 2015

Ridicolizzare e disprezzare l'Expo milanese: un divertimento o un dovere civico?


Ridicolizzare e disprezzare la propaganda del potere è una cosa che coniuga nel migliore dei modi il divertimento ed il dovere civico: la "libera informazione" vigila con molta attenzione sui bersagli del dileggio, che postula limitati alla Corea del Nord e ad altre organizzazioni o compagini statali da additare ai sudditi come nemici del giorno.
In questa sede non abbiamo nulla a che fare con la "libera informazione", dunque possiamo ridicolizzare e disprezzare la propaganda del potere nei casi specifici che riguardano paesi "occidentali".
Valerio Evangelisti si è espresso senza mezzi termini sulla sagra di periferia in corso a Milano; da parte nostra giocammo molto d'anticipo, auspicando cinque anni fa il ritiro di Milano dall'iniziativa e la sua restituzione alla città di Izmir. Ci sarebbe piaciuto che a tanto si fosse arrivati sottoponendo i suoi ben vestiti propugnatori ad ogni sorta di angheria, dall'anticamera al dileggio mediatico, dal disguido burocratico alla fila in piedi sotto il sole, in modo che il mondo della politica, dall'assessore in su, ne venisse stigmatizzato, dileggiato e schernito in ogni sede e col massimo dell'accanimento.
La propaganda su questa sagra occupa un certo spazio sulle gazzette in rete, costrette ogni giorno ad inventarsi un po' di tutto con gallerie fotografiche e filmati che cominciano a farsi ripetitivi a prescindere dalla materia che trattano (di solito gatti, bambini, donne poco vestite, vestiti per poche donne, roba inutile e costosa).
A quindici giorni dall'inizio, finita la sfilata dei potenti e ridicolizzati i contestatori, il grosso del "lavoro" consiste nel mantenere livelli minimi di attenzione.
Per questo basta un fotogazzettiere qualunque di un fotogazzettificio qualsiasi, spedito alla sagra dietro mercede miserabile con il compito generico di dirne bene a qualsiasi costo.
Tema specifico: ma che bello, quanto si spende poco.
Svolgimento: 3 (tre) soggetti di nulla rilevanza, ripresi fino ad allungare la broda a 31 (trentuno) immagini.
La galleria dà anche un'idea del contesto sostanzialmente miserabile in cui questa piccinesca operazione governativa sta svolgendosi: plastichina, robetta, bruscolini, cianciafruscole. Restano fuori campo solo le misure di sicurezza e le transazioni economiche dal secondo livello in su.
Le seconde è bene che restino in ombra il più possibile.
Le probabilità che qualcuno pensi di assaltare armata mano il chiosco del buristo o il camioncino degli sfinciuni non sono molte, sicché obiettivo delle prime è sostanzialmente il contenimento delle estrosità non consentite.

Il contorsionista nel bar, melanconico
e zingaro, si alza di colpo
da un angolo e invita a un rapido
spettacolo. Si toglie la giacca
e nel maglione rosso curva la schiena
a rovescio e afferra come un cane
un fazzoletto sporco
con la bocca. Ripete per due volte
il ponte scamiciato e poi s'inchina
col suo piatto di plastica. Augura
con gli occhi di furetto
un bel colpo alla Sisal e scompare.
La civiltà dell'atomo è al suo vertice[*].

Per fare queste cose alla sagra si deve pagare.
E molto.
Se non paghi, galera.

La civiltà dell'atomo.


[*] Salvatore Quasimodo, Quasi un epigramma, in "La terra impareggiabile", 1958.

martedì 12 maggio 2015

Alastair Crooke - L'intervento saudita in Yemen va verso il fallimento. In Medio Oriente la bilancia del potere pende verso Est.



Traduzione da Huffington Post.

L'Arabia Saudita ha annunciato la fine della campagna militare nello Yemen, eppure gli attacchi aerei contro Ansar Allah e contro le formazioni dell'esercito yemenita alleatesi con l'ex Presidente Saleh continuano, sia pure su scala minore. Senza la minima ironia un giornale saudita ha titolato "missione compiuta". Cosa sta succedendo, insomma?
Tutti i dettagli non li conosciamo, ma è chiaro che c'è voluto un grosso sforzo diplomatico per far smettere l'Arabia Saudita di agire in totale rimessa. Una rimessa che comprende anche le immagini di civili morti nei bombardamenti -ampiamente diffuse nei mass media mediorientali- il definitivo logorarsi di qualunque residuale rapporto col Presidente yemenita Hadi, il fallimento nella costruzione di quella forza di intervento sunnita di cui si è tanto parlato, e il fatto che è ormai chiaro che mentre l'Arabia Saudita poteva anche avere un obiettivo come il ripristino al potere dell'ex Presidente, non aveva alcun piano per raggiungerlo.
Come conseguenza di tutto questo, l'Arabia Saudita si è trovata isolata. Iran, Oman e Russia hanno alacremente lavorato sul piano politico, al tempo stesso cercando di mettere un freno ad Ansar Allah. Gli Stati Uniti hanno cercato sommessamente di far desistere i sauditi dall'andare avanti con la loro campagna di attacchi aerei, che hanno avuto poco effetto sull'efficienza militare di Ansar Allah e di Saleh, ma hanno reso infernale la vita della maggior parte degli abitanti delle città yemenite, le cui perdite stimate assommano a più di mille tra morti e feriti.
I militari statunitensi si sono mostrati molto scettici fin dall'inizio sui bombardamenti sauditi; hanno fornito assistenza per l'individuazione dei bersagli più che altro per ridurre i danni collaterali causati da bombardamenti fatti a casaccio. Gli alti quadri statunitensi si sono espressi, più che giustamente, in modo molto dubbio sui vantaggi di un'invasione terrestre; anzi, hanno giustamente considerato lo Yemen come un ginepraio, in cui l'Arabia Saudita rischiava di cacciarsi senza poterne uscire.
Ci si potrebbe chiedere allora perché mai gli Stati Uniti hanno accordato pubblico sostegno all'Arabia Saudita ed alla sua coalizione. Dovrebbe essersi trattato di una decisione tesa sostanzialmente a bilanciare i progressi fatti nei negoziati sul nucleare con l'Iran, di un modo per rassicurare gli alleati sunniti più che di una decisione presa tenendo presenti le sue implicazioni strategiche di più ampia portata. Nelle cronache e nei corridoi della politica occidentale, si fa riferimento allo Yemen come ad una guerra per interposti contendenti -cosa che non è vera- che rischia di far esplodere le tensioni settarie se non si pone ad essa qualche limite -e questo è vero- ma che dopotutto non ha una grande importanza strategica.
Come si è arrivati alla fine dei bombardamenti? Il Presidente Putin ha parlato al telefono con re Salman. Il contenuto della telefonata non è stato reso pubblico, ma è verosimile che il Presidente russo, con l'approvazione di alti funzionari a Washington, abbia detto senza giri di parole al re saudita di farla finita con la guerra aerea e di cercare una soluzione politica. Forse Putin è stato capace di capitalizzare sul mancato veto russo al Consiglio di Sicurezza dell'ONU nei confronti di una risoluzione sullo Yemen dal sapore molto unilaterale, e se ne è servito per rendere ancor più convincenti le sue parole. In ogni caso, in Medio Oriente la Russia sta di nuovo aiutando l'AmeriKKKa a togliersi le castagne dal fuoco e non c'è dubbio che nel far questo la Russia abbia agito in stretta coordinazione con Tehran, da cui la notizia di un possibile cessate il fuoco è trapelata ore prima che esso venisse formalmente dichiarato. In poche parole, fatta eccezione per pochissimi paesi della regione, Riyadh poteva contare su un sostegno molto debole per la propria azione, nonostante le dichiarazioni rese in pubblico.
Lo Yemen minaccia di trasformarsi in una grossa umiliazione per l'Arabia Saudita. L'ambizioso progetto di mettere insieme un nuovo esercito di coalizione sunnita per mettere un limite all'influenza iraniana in Medio Oriente si è bruscamente arenato. Dapprima ci sono state le inattese defezioni della Turchia e del Pakistan ed una sensibile mancanza di entusiasmo da parte dell'Egitto, che per partecipare ha chiesto una cifra ingente, dell'Iraq, il cui Primo Ministro ha criticato senza mezzi termini l'impresa, e della Giordania. Ancora peggio, negli ultimi tempi i sauditi hanno iniziato a sospettare il principe Mohammed bin Zayed, degli Emirati Arabi Uniti, di abboccamenti con Ali Saleh per arrivare alle loro spalle ad una soluzione politica rispettosa dei suoi interessi. Si ricorderà che bin Zayed avrebbe cospirato anche con Tuwaijri, il più stretto collaboratore di re Abdullah, perché la linea di successione dinastica saltasse proprio Salman. Cosa ancor più significativa, in questa nuova fase il regno saudita sembra ancora difettare di uno straccio di piano su come arrivare agli obiettivi che si è prefissato e che ha sbandierato con tanta profusione di retorica.
Simon Henderson dello Washington Institute ha scritto in un articolo intitolato "Il giovinastro inesperto dell'Arabia Saudita" [Mohammed bin Salman]: "Nella maggior parte degli altri paesi, un capo militare o un ministro della difesa che non riescono a giungere ad un risultato definito rappresenterebbero una sconfitta politica. Se in Arabia Saudita questo non succede, è perché Re Salman si trova probabilmente sotto pressione da parte di principi più anziani, che stanno puntando a mutamenti assai più radicali".
Il punto essenziale è in ciò che questo fallimento può rivelare sulle condizioni in cui si trova la regione, checché ne pensi Henderson.
Graham Fuller, ex vicepresidente dello U.S. National Intelligence Council, ha scritto:
Nessuno ricorda il vecchio concetto geopolitico in uso ai tempi della Guerra Fredda sugli stati della cintura nord? Erano la Turchia, l'Iran e il Pakistan; a volte si considerava anche l'Afghanistan. Si trovavano alla frontiera meridionale dell'Unione Sovietica e in Occidente li si considerava un potenziale baluardo contro un'aggressione sovietica diretta a sud, verso il Medio Oriente. Forse oggi stiamo assistendo alla rinascita di questo costrutto, ma stavolta esso non si presenterà affatto unito contro la Russia. Anzi, i tre paesi presentano una calda sintonia con molti aspetti della concezione politica "euroasiatica" russa e cinese.
Il conflitto in Ucraina ha spinto la Russia e la Cina ad intensificare i propri sforzi per essere meno vulnerabili nei confronti della supremazia militare con cui l'AmeriKKKa tutela il proprio dominio del governo finanziario mondiale. La guerra nello Yemen, in qualche modo, ha reso più chiare certe dinamiche mediorientali. La bilancia del potere ha smesso di pendere dalla solita parte, e sta seguendo un moto già visto in passato.
I tre paesi fondamentali della regione (Iran, Turchia ed Egitto), oltre al Pakistan, si stanno rivolgendo ad est, ciascuno con i suoi motivi. In Occidente non si capisce ancora appieno quanto abbia influito su questo fenomeno l'iniziativa cinese della "nuova via della seta", che prevede anche il pieno coinvolgimento russo. I paesi mediorientali notano che la Cina si sta muovendo con molta serietà per realizzare vasti progetti infrastrutturali tra Asia ed Europa. Hanno fatto caso anche a quello che è successo con la Asia Infrastructure Investment Bank, con il mondo che si affolla al suo ingresso e l'evidentissimo disappunto degli Stati Uniti. I paesi del Medio Oriente vogliono essere della partita.
Non è stato solo per la cattiva gestione da parte dei sauditi e per le pressioni che hanno esercitato che la "grande iniziativa sunnita" volta ad arginare l'Iran ha ottenuto pochi consensi. E' stato anche per la consapevolezza del fatto che il denaro -almeno quello destinato a diventare infrastruttura- oggi passa per la Cina, e che un Iran magari libero da sanzioni diventerà un attore di primo piano in questo nuovo schema economico e politico. Invece di schierarsi con qualche fragile monarchia mediorientale, gli stati sovrani hanno preferito pensare al futuro.

venerdì 1 maggio 2015

Valerio Evangelisti - Expo, l'industria del mandolino


Il primo maggio 2015 si apre in una grossa città nel nord della penisola italiana una "esposizione universale". A questo proposito internet abbonda di considerazioni improntate al realismo, che confinano la propaganda al mainstream cui è ovvio essa appartenga.
Dobbiamo contritamente confessare che anche noi eravamo rimasti molto indietro, cioè ad un'epoca in cui le "esposizioni universali" dovevano servire ad illustrare i progressi compiuti da questa o quella compagine statale nei più vari settori della scienza e della tecnica.
Riportiamo per questo le
considerazioni di Valerio Evangelisti, improntate a pragmatismo e sobrietà.
Nel testo ricorre più volte il nome dello stato che occupa la penisola italiana; ce ne scusiamo come d'uso con i nostri lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.


Ai tradizionali argomenti contro l’Expo (sfruttamento del lavoro precario, danni per l’ambiente, inquinamento malavitoso, spreco di denaro, ecc.) vorrei aggiungerne uno che non vedo citato spesso. La scelta di modello di crescita economica che una manifestazione del genere nasconde.
Nel corso della loro storia più che secolare, le Esposizioni universali hanno avuto due funzioni. La prima, mostrare lo “stato dell’arte” nel campo della tecnologia, dello sviluppo industriale, di quello che era definito genericamente “il progresso” (capitalistico, è ovvio). La seconda, far conoscere al mondo la posizione del paese ospitante in quel quadro, presentandolo come centrale e ben inserito nei grandi risultati raggiunti.
L’Italia è stata, fino a tempi recentissimi, la terza potenza industriale europea, dopo Germania e Francia. Sarebbe stato logico, dunque, che un’Esposizione universale esibisse i suoi gioielli in quel campo. Ma sono bastati pochi anni di crisi e molti di neoliberismo (leggi Unione Europea) perché quei gioielli fossero venduti, trasferiti altrove, messi all’asta, trasformati in carbone. Così come i lavoratori che li avevano creati.
L’Expo 2015 si profila dunque come un gigantesco ristorante, un Eataly di proporzioni colossali, secondo il progetto con cui Renzi (e Farinetti, e gli altri geni che gli stanno attorno) intendono rimodellare l’economia italiana e segnarne le sorti. Terra di cibi e musei, paese da turismo e da vacanze. Una Riviera Romagnola estesa all’intera penisola. A beneficio di chi? Degli Stati che dominano la UE, cui rimarrebbe il monopolio assoluto dell’industria pesante e della finanza. A loro le produzioni che contano e rendono, a noi l’accoglienza delle comitive.
Non ho citato la Riviera Romagnola a caso. E’ da sempre, per la conformazione della sua economia (che non ha andamento continuativo), la patria del lavoro precario e malpagato. Così come lo è l’agricoltura, che funziona a cicli. Vale anche per la Spagna, il Portogallo, la Grecia, Cipro. Tutta la catena dei debitori dell’Europa meridionale. L’Italia si è a lungo sottratta a questa regola, ma arriva l‘Expo a sancire la resa. Esibiamo cassette di frutta, formaggi, pizza, spaghetti, accanto a prodotti non più nostri perché venduti alle multinazionali dell’alimentazione.
Un simpatico mercato rionale, con forza-lavoro non organizzata né tutelata dalla legge da mandare a casa finito il ciclo stagionale “alto”. Accompagnato da guide turistiche, ragazzi di fatica, personale alberghiero, autisti ecc. (mancano solo i suonatori di mandolino) che, dopo il pranzo, rendano il soggiorno piacevole al ricco visitatore. Ricco perché ha ormai in mano l’essenziale dell’industria italiana, a cominciare dal comparto agro-alimentare.
Cosa resta da fare al cameriere ipersfruttato, in simili frangenti? Ce lo dice la logica. Rovesciare il tavolo del cliente e gettare il vassoio in faccia al padrone. Ricostruire un Primo Maggio di lotta e dignità.