lunedì 26 gennaio 2015

Intervista di Foreign Affairs (Stati Uniti d'AmeriKKKa) a Bashar al Assad, Presidente della Repubblica Araba di Siria



Traduzione da Foreign Affairs.

Tra poco saranno passati cinque anni dall'inizio della guerra civile in Siria, e ancora non se ne vede la fine. Il 20 gennaio il direttore di Foreign Affairs Jonathan Tepperman ha incontrato il Presidente della Repubblica Araba di Siria Bashar al Assad; a Damasco ha discusso con lui del conflitto in un'intervista che pubblichiamo in esclusiva.

Traduzione di S. Kahani, Palaestina Felix.

Foreign Affairs: Vorrei cominciare chiedendole della guerra. Adesso sono quasi quattro anni che va avanti e lei certamente conosce le statistiche: duecentomila persone uccise, un milione ferite e tre milioni di profughi, secondo l'ONU. Le sue forze hanno subito gravi perdite. La guerra certamente non può andare avanti per sempre. Vede una fine all'orizzonte?
Bashar al-Assad: Tutte le guerre, ovunque nel mondo, sono finite con una soluzione politica, perché la guerra in sé e per sé non é una soluzione; la guerra, clausewitzianamente, é uno degli strumenti dell'agire politico. Quindi anche in questo caso finirà con una soluzione politica, é così che la vediamo, quello é il nostro scopo.
FA: Non pensa che questa guerra avrà una soluzione militare?
BA: No, ogni guerra finisce con una soluzione politica.
FA: Il suo paese si sta dividendo in tre parti, si può dire che uno sia controllato dal Governo legittimo, uno dall'ISIS e da Al-Nusra e un'altro ancora dall'opposizione 'moderata' e dai Curdi. La Siria si ricomporrà mai?
BA: Questa visione é soltanto sua e non rispecchia la realtà sul campo, non si può parlare di "parti" come se fossero stati funzionanti, guardi solo la gente che abita in quelle 'parti'; il popolo siriano é unito con la Siria, con le sue istituzioni legittime, sostiene il Governo anche se si trova in zone controllate dai terroristi, lei parla di 'controllo' ma i terroristi si spostano continuamente, non hanno presa solida sulle zone che attraversano e spesso coesistono in certe zone e poi si separano. Ma il problema principale é la popolazione. La popolazione sostiene il Governo, e lo sostiene a livello più che politico, sostiene lo Stato come incarnazione dell'unità della nazione siriana, se la popolazione fosse veramente divisa in diversi gruppi nessuno potrebbe unificarla, ma non sarebbe riuscito a unificarla nemmeno prima, ecco come stanno le cose.
FA: Lei pensa che Sunniti e Curdi credano ancora in una Siria unita?
BA: Se lei ora esce e gira per Damasco se ne può rendere conto direttamente, vedere i diversi aspetti, i diversi colori della nostra società coesistere e prosperare; le divisioni in Siria non sono settarie o etniche, nemmeno nella 'parte curda' di cui parlava prima, vive molta più gente araba che curda, perciò il punto non é l'etnia, ma piuttosto il gruppo armato che esercita il controllo sulla zona.
FA: Un anno fa sia l'opposizione che molti Governi stranieri insistevano che lei si dimettesse prima di dare il via a un dialogo politico. Ora questa precondizione é sparita, abbandonata. I diplomatici cercano un accordo ad interim nel quale lei continuerà a giocare un ruolo. Proprio oggi (domenica 25 -NdT-) il New York Times ha pubblicato un articolo che evidenzia l'aumentato sostegno americano per l'iniziativa diplomatica russa e quella dell'ONU. L'articolo recita: "Il cauto, silenzioso abbandono da parte occidentale dalla pretesa di dimissioni immediate di Assad". Dato questo cambiamento nell'atteggiamento occidentale lei ora si sente più aperto a una soluzione negoziata che porti a una transizione politica?
BA: Fin dall'inizio siamo stati aperti a quest'opzione. Abbiamo iniziato dialoghi con ogni partito e fazione in Siria...e con partito non intendo strettamente 'partito politico', intendo anche fazioni, correnti, o rappresentanti singoli. Abbiamo cambiato la Costituzione e siamo aperti a ulteriori cambiamenti, ma quando si vuole fare qualcosa, non si parla solo della posizione o del Governo, si parla dei Siriani; a volte si può avere una maggioranza che non si sente rappresentata da nessuna parte politica. Perciò quando si vuole un 'cambiamento', fintanto che si parla di un problema di portata nazionale, ogni Siriano deve avere la capacità di esprimersi e dire la sua. Quando si ha un dialogo non si parla solo tra Governo e opposizione, ma tra differenti partiti ed entità che rappresentano la realtà siriana. Ecco come noi vediamo e intendiamo il dialogo. Detto questo, qualunque soluzione si intenda raggiungere alla fine bisogna proporla al popolo, con un referendum, perché si parla di cambiamenti costituzionali che influenzano il sistema politico, bisogna rivolgersi al popolo e chiedere la sua approvazione. Quindi dialogare é una cosa diversa dal prendere decisioni, che non può venire fatto solo dal Governo e dall'opposizione senza una sanzione e un'approvazione popolare.
FA: Quindi lei dice che non approverebbe alcun tipo di transizione politica a meno che non sia ratificata da un referndum?
BA: Esattamente, solo il popolo può avere l'ultima parola su questioni di questo tipo.
FA: Questo vuol dire che non c'é spazio per negoziati?
BA: No, vuol dire che andremo in Russia, che andremo a questi negoziati, ma c'é un'altra questione: con chi si dovrebbe negziare? Come Governo noi abbiamo istituzioni, forze armate, abbiamo influenza, che sia positiva o negativa, in diverse direzioni e in qualunque momento. Mentre la gente con cui dovremmo negoziare, esattamente, chi e cosa rappresenta? A questo bisogna trovare risposta. Quando lei genericamente parla di 'opposizione' questa parola deve avere un significato. Una 'opposizione' dovrebbe avere rappresentanti nelle amministrazioni locali, in un Parlamento, in qualche istituzione, perlomeno dovrebbe avere un sistema di collegamento con la sua 'base popolare', ammesso che ne abbia una, per cui dovrebbe parlare. Nella crisi attuale lei deve farsi delle domande a proposito dell'influenza dell'opposizione, se vuole dialogare e avere un dialogo fruttuoso, deve essere un processo condiviso tra Governo e questi 'oppositori' che io piuttosto chiamerei ribelli. Questo é un'altro punto; 'opposizione' fa pensare a qualcosa con un carattere nazionale, che lavori per gli interessi del popolo siriano, almeno di una sua parte. Non può chiamarsi 'opposizione' una serie di marionette manovrate dal Qatar, dall'Arabia Saudita, dalla Turchia o dalle nazioni occidentali, Stati Uniti compresi. Dovrebbe essere un'entità puramente siriana. Noi abbiamo un'opposizione nazionale, non lo escludo, e non pretendo nemmeno di dire che tutte le entità dell'oppoizione non siano legittime, ma bisogna fare dei distinguo...con le marionette, non ci può essere dialogo fecondo.
FA: Significa che non si incontrerebbe con gruppi di opposizione che hanno sostegni esteri?
BA: Noi possiamo incontrarci con chicchessia, non abbiamo precondizioni.
FA: Davvero?
BA: Assolutamente.
FA: Quindi incontrerete tutti?
BA: Gliel'ho detto, incontreremo tutti. Ma a tutti chiederemo: "Chi rappresentate?", questo é quello che voglio dire.
FA: Se non sbaglio il Vice di Staffan DeMistura ora si trova in Siria. Sta proponendo per conto dell'ONU una misura temporanea di cessate il fuoco ad Aleppo. Lei la approverebbe?
BA: Sì certo, abbiamo già concluso accordi simili prima che DeMistura ricevesse il suo incarico; ad esempio ad Homs, altra grande città, con moltissimi civili, in situazione simile a quella che avviene ora ad Aleppo, e abbiamo approvato misure simili anche su scala più piccola, in sobborghi, cittadine, villaggi e sempre con successo. L'idea é molto buona ma come al solito bisogna dirimere bene i dettagli. DeMistura é arrivato in Siria con delle proposte, noi abbiamo approvato alcune di quelle proposte, in linea generale. Ora stiamo aspettando che lui porti un piano dettagliato, minuziosamente preparato, che regoli tutti i casi particolari, dalla A alla Z. Diciamo che col suo Vice stiamo discutendo proprio di questo.
FA: Nel passato lei ha insistito come precondizione del cessate il fuoco che i ribelli deponessero prima le armi, il che evidentemente era difficile per loro da accettare. Porrebbe ancora simili precodnzioni.
BA: Lei sta parlando di scenari diversi. In alcune zone abbiamo permesso agli armati di lasciare le aree abitate per evitare perdite civili e hanno lasciato le aree con le loro armi. In altre abbiamo preteso l'abbandono delle armi e le hanno abbandonate. Ovviamente in diversi casi si creano diverse condizioni e possiamo chiedere più o meno in cambio delle nostre concessioni.
FA: Non capisco chiaramente la sua risposta: lei insisterebbe anche in questo caso che le armi vengano abbandonate?
BA: Le ho detto che in alcuni casi abbiamo permesso che avvenisse il contrario, dipende dalle circostanze.
FA: E' ottimista sui dialoghi di Mosca?
BA: Quel che sta andando avanti a Mosca non é la preparazione di una soluzione politica, é solo la preparazione di un incontro.
FA: Quindi si parlerà di un possibile dialogo?
BA: Esattamente, per ora si sta preparando un possibile dialogo. Poi, quando si parlerà dell'incontro vero e proprio bisognerà decidere su quali principii sarà basato. Mi lasci essere franco: alcuni dei gruppi in questione, come ho detto, non sono che marionette di altri paesi, di cui devono eseguire l'agenda e so che molte nazioni, per esempio la Francia, non hanno interesse che nulla venga fuori dall'iniziativa russa. E hanno già dato ordini alle loro marionette di sabotarla in ogni modo. Naturalmente ci sono altre personalità che rappresentano solo sé stesse e non hanno un vero seguito in Sira. Alcuni di loro, addirittura, non hanno mai vissuto in Siria e non conoscono nulla della sua realtà. Poi naturalmente ci sono personalità che lavorano per quello che percepiscono essere l'interesse nazionale, o almeno di una certa classe di persone. Perciò quando si parla dell' "Opposizione" come se fosse un blocco unico si commette in realtà una semplificazione pericolosa. Questo é il problema, e non é ancora chiarito. Perciò l'ottimismo sarebbe esagerato e ingiustificato. Non direi di essere pessimista ma direi che abbiamo speranza.
FA: Sembra che negli ultimi giorni gli Americani siano divenuti più interessati ai dialoghi di Mosca. Inizialmente non lo erano. Ieri il Segretario di Stato Kerry ha detto qualcosa che sembra suggerire che gli Usa sperino nel prosieguo di questi dialoghi e nel loro successso.
BA: Dicono sempre qualcosa, ma bisogna vedere cosa faranno a proposito. E lei sa bene quanta diffidenza ci sia tra Siriani e Americani. Quindi aspettiamo fino a quando si vedrà la realtà della conferenza.
FA: Quindi, quale maniera migliore lei pensa che possa essere quella per garantire un accordo tra tutte le parti coinvolte in Siria?
BA: Certamente quella di trattare direttamente sul campo coi ribelli, ma bisogna ricordare che ci sono tipi diversi di ribelli. La maggioranza sono estremisti, qaedisti, ISIS, Al-Nusra, e altre fazioni simili ad Al-Qaeda ma più piccole. E poi c'é la cosiddetta 'fantasia di Obama' detta 'opposizione moderata', ma é un'illusione, non sono moderati per nulla, sono più banditi che altro e non esitano a unirsi all'ISIS o ad Al-Qaeda se gli fa comodo, alcuni, per fortuna, hanno preferito arrendersi all'Esercito, giusto nell'ultima settimana abbiamo avuto un gran numero di costoro che hanno defezionato verso le nostre posizioni.
FA: Vuol dire che ci sono diserzioni verso l'Esercito Siriano?
BA: Gliel'ho appena detto, sì, militanti hanno disertato verso l'Esercito, erano stanchi, esauriti, non ne potevano più di combattere. Tornando al discorso: lei crede che sia possibile negoziare con Al-Qaeda? O le altre organizzazioni estremiste che ho nominato? Non ne hanno nemmeno intenzione, hanno i loro piani. Noi abbiamo il nostro: la riconciliazione nazionale coi Siriani che per qualunque motivo si siano trovati coinvolti nella guerra; l'abbiamo iniziata e abbiamo visto che risolve molti problemi reali, sul terreno, questo é il primo punto, poi ci sarebbe l'applicazione effettiva e integrale della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2170, che é molto chiara e dice che ogni aiuto straniero a gruppi come ISIS e Nusra deve finire immediatamente, che sia militare, finanziario, logistico o di intelligence, ma ovviamente é rimasta lettera morta e Ankara, Doha e Riyadh continuano indisturbate a foraggiare in ogni modo questi gruppi. Se non si applica in tota la risoluzione non si arriverà mai a una vera soluzione politica. Poi, toccherà all'Occidente tagliare ogni sostegno alla sua ipotetica 'opposizione moderata' perché abbiamo avuto le prove che ogni aiuto di questo genere prima o poi va a beneficio dell'ISIS e di gruppi simili.
FA: Sarebbe pronto a prendere iniziative di buona volontà prima dell'inizio dei dialoghi: scambio di prigionieri, stop all'uso dei 'barili bomba' (locuzione della stampa imperialista che pretende che le forze Siriane buttino 'barili' di esplosivo a casaccio sulle zone occupate dai terroristi -NdT-), liberazione di prigionieri poitici, per aumentare la buona disposizione della controparte in merito alla possibilità di negoziare in buona fede?
BA: Quello che lei deve capire é che non stiamo parlando di un dialogo personale dove simili misure potrebbero anche essere costruttive, qua si parla di diplomazia e la diplomazia funziona per meccanismi. Bisogna parlare soltanto di meccenismi, non é possibile 'fidarsi', aspettandosi che la controparte assuma un atteggiamento comprensivo e positivo perché 'affascinata' da un gesto magnanimo, bisogna accordarsi su un meccanismo che porti a risultati positivi per le due parti. La questione é quindi, le misure che lei ha proposto a che meccanismo darebbero vita? Ma non si può rispondere a questo interrogativo se prima non si sa con chi si sta parlando e chi é rappresentato dall'interlocutore; avrebbe senso cercare di 'accattivarsi' la buona fede di un interlocutore che non rappresenta nessuno, o che rappresenta una potenza straniera?
FA: Quando due parti convengono per un dialogo é spesso utile che una parte mostri all'altra che é interessata a fare progressi, prendendo misure unilaterali che 'abbassino la temperatura', io intendevo misure del genere.
BA: Abbiamo già preso misure molto concrete in merito, con gli accordi di pacificazione. Dei militanti hanno abbandonato le armi, sono stati giudicati, amnistiati nel caso che non avessero commesso crimini capitali e introdotti su un percorso di ricostruzione delle loro vite. E' un esempio reale e attinente, e mostra la nostra buona fede e la nostra volontà costruttiva; d'altra parte lei prima ha parlato di prigionieri, ma esistono legami tra le organizzazioni armate e qusti prigionieri? Non mi pare, quindi questo argomento é fuori luogo.
FA: Quindi avete offerto aministie a militanti armati?
BA: Certo, e non solo una volta, ma molte volte.
FA: Può fornirci delle cifre?
BA: Non ho numeri precisi sottomano, ma migliaia, migliaia di militanti siriani hanno già beneficiato di simili misure.
FA: E lei sarebbe preparato a dire all'intera opposizione armata: 'Posate le armi e sarete al sicuro'?
BA: L'ho già fatto, l'ho detto pubblicamente in diversi discorsi.
FA: E come può lei garantire la loro sicurezza? Perchè credo che molti di loro abbiano un'innata diffidenza dele dichiarazioni governative.
BA: Non si possono fornire garanzie anticipate, ma se anche ogni volta che viene lanciato un simile appello, il cinquanta per cento dei militanti lo accoglie, e a volte abbiamo avuto ben più del 50 per cento di risposte positive, allora la misura é già stata una grande successo. Nulla é assoluto, ci saranno sempre dei rifiuti, ma non li abbiamo mai avuti in maniera o in quantità preoccupante.
FA: Mi lasci cambiare discorso. Hezbollah, la Niruye-Qods iraniana e le milizie sciite sostenute dall'Iran stanno svolgendo un importante ruolo in Siria, nella lotta contro i ribelli. Visto il loro coinvolgimento, lei é preoccupato del ruolo futuro dell'Iran nel suo paese? Del resto il Libano prima e anche l'Irak ora, mostrano che una volta che un potere militare straniero si solidifica in un paese, può essere molto difficile chiedergli di andarsene.
BA: L'Iran é un importantissimo paese della regione e aveva già una grande influenza prima di questa crisi. La sua influenza non é collegata con questa crisi, né é scaturita da essa, ma é collegata con la sua posizione nella politica regionale. Quando dei parla di 'influenza' dovrebbe tenere a mente quali fattori contribuiscono a crearla. Nel Medio Oriente ci sono molti fattori transnazionali, che siano sociali, religiosi, ideologici, che passano di paese in paese, quindi, chi influenza uno o più di questi fattori, si ritrova con un'influenza transnazionale. Quando non c'é la volontà di avere una nazione forte, unita, quest'influenza potrebbe anche avere il sopravvento. Ora per rispondere alla sua questione: l'Iran non ha ambizioni di sostituirsi allo Stato siriano o di ridurne l'autorevolezza e, come nazione la Siria non ha intenzione di abdicare a nessuna porzione della sua libertà e della sua autonomia. Non accetteremmo nulla di simile e gli Iraniani lo sanno e si guardano bene dal cercare di fare qualcosa di simile. Noi e gli Iraniani cooperiamo. Se lasciassimo che gli Iraniani esercitassero influenza in Siria al di fuori dal nostro controllo allora tanto varrebbe aprirci anche alle 'influenze' turche, saudite, francesi o americane, non farebbe differenza. E infatti questi paesi vorrebbero avere influenza, senza alcuna cooperazione, per questo ci opponiamo a loro, e per questo invece siamo amici e alleati degli Iraniani.
FA: Mi consenta di insistere. L'altra settimana un Generale dell'IRGC, del Comando Aerospaziale dell'IRGC, Haji Zadeh, ha detto che la Guida Suprema Khamenei ha ordinato la costruzione di officine di missili in Siria. Questo non vuol dire che l'Iran sta già influenzando la Siria in maniera autonoma?
BA: No, perché quell'indirizzo operativo é stato avviato tramite una cooperazione siro-iranian, che é altra cosa dall'esercitare un ruolo egemonico.
FA: Quindi ogni cosa che gli Iraniani fanno la fanno col vostro assenso e con il vostro aiuto?
BA: Certamente, pieno assenso e piena cooperazione, oggi, come ieri.
FA: Ora, l'Iran é un certo tipo di realtà perché é uno Stato. Però ci sono anche milizie, che sono attori non-statali, questo non complica la situazione? Un problema nel trattare con questi gruppi é che, al contrario di un Governo, possono non volere cooperare e a volte può persino non essere chiaro con chi si debba parlare. Lei é preoccupato della possibilità di controllare queste forze e di fermarle quando ce ne sarà bisogno? E inoltre, recentemente 'Israele' (il regime ebraico di occupazione della Palestina -NdT-) ha attaccato Hezbollah nel Golan e ha detto di averlo fatto perché Hezbollah preparava attacchi su Israele dal territorio siriano. Questo non sottolinea il pericolo di lasciare milizie con loro agende, che possono non coincidere con l'agenda siriana, libere di operare?
BA: Lei intende milizie siriane o straniere?
FA: Intendo specialmente Hezbollah e le milizie sciite straniere, ad esempio irakene.
BA: E' naturale dire che solo le istituzioni governative e statali siano garanzia di stabilità e ordine. Ogni altro fattore che giochi un ruolo parallelo a quello governativo può anche dimostrarsi positivo, utile in certe circostanze, ma avrà sempre degli effetti collaterali, negativi. Questa é una cosa naturale e avere milizie che sostengono il Governo é un effetto collaterale di questa guerra. Esistono, ma dobbiamo anche cercare di controllarle. E se lei fa la stessa domanda a un qualunque siriano quasi sicuramente avrà la stessa risposta. Nessuno si sente più protetto, più garantito, da una milizia piuttosto che dalle legittime forze dell'ordine e della difesa. Ma laddove queste non riescono a garantire protezione e sicurezza allora, come tampone, le milizie svolgono un ruolo utile. Per parlare di quel che é avvenuto a Quneitra bisogna entrare in un'altro discorso ancora. Nessun, ripeto, nessun genere di attacco contro 'Israele' é avvenuto da suolo siriano dal 1974 a oggi, sono più di 41 anni, non é mai successo, mai. Per cui, la pretesa israeliana che vi fosse in atto un piano per attaccarlo, mi consenta, é veramente ridicola, gli israeliani hanno colpito perché volevano assassinare gli uomini di Hezbollah.
FA: Ma gli israeliani sono stati molto attenti dall'inizio della guerra in Siria a non farsi coinvolgere (qui ho iniziato a pensare che il reporter di FA avesse bevuto pesantemente -NdT-), tranne quando si sono visti minacciati i loro interessi.
BA: Questa é una menzogna perché lei sa benissimo che ci hanno attaccato a più riprese per oltre due anni, senza alcun motivo o ragione.
FA: Ma in ogni caso, dicono che é stato perché Hezbollah riceveva armi dall'Iran attraverso la Siria.
BA: Senta, hanno attaccato posizioni dell'Esercito Siriano, lo sa o no?
FA: Sono stati casi in cui posizioni dell'Esercito sono state colpite per sbaglio...
BA: Questa é una spudorata menzogna.
FA: Quindo quale pensa che sia l'agenda israeliana?
BA: Ovvio, stanno sostenendo i terroristi in Siria. E' molto chiaro ed evidente. Perché ogni volta che otteniamo grandi vittorie in qualche posto, cercano coi loro attacchi di indebolire e distrarre l'Esercito Siriano. Sa cosa si dice in Siria? "Perché Al-Qaeda non ha una sua aviazione? Perché hanno gli israeliani che fanno quel lavoro per loro".
FA: Tornando alla domanda sulle milizie, lei si sente sicuro che riuscirà a controllarle una volta che la guerra finirà, perché dopotutto ogni Governo per dirsi sovrano deve avere il 'monopolio della forza' e questo é difficile da fare se ci sono gruppi armati indipendenti che girano per il paese.
BA: Questo é autoevidente, uno Stato non può funzionare se deve subappaltare queste cose ad altri gruppi.
FA: Ma vede in Irak come é difficile, per il Governo, controllare tutte le milizie sciite che si sono rafforzate negli ultimi anni.
BA: Ma in Irak tutto deriva dal fatto che Paul Bremer ha accuratamente evitato di creare una Costituzione statale; gli Americani in Irak hanno creato una Costituzione che funziona per fazioni, etniche e religiose, perché volevano che l'Irak rimanesse fazionalizzato, diviso e debole. In Siria invece lo Stato, i suoi apparati, il suo Esercito hanno retto a quattro anni di guerra, di embargo, di terrore, di attacchi da parte di dozzine di paesi prossimi e remoti, perché la Siria ha una vera costituzione, solida, secolare e radicata nei cuori e nelle menti dei Siriani. In Irak questo non c'é.
FA: Quindi cosa farà con queste milizie, dopo la guerra?
BA: Le cose torneranno alla normalità, come prima che scoppiasse.
FA: Lei crede?
BA: Sì, perché non ci sono veramente altre opzioni, questo é quello che un Governo deve fare ed é quello che il Governo siriano farà.
FA: Che impatto crede che avranno i prezzi del petrolio molto bassi sulla guerra in Siria? I suoi più fidati alleati, Iran e Russia, sono forti esportatori di greggio e dipendono dai guadagni petroliferi, le loro economie sono state duramente colpite ultimamente (veramente no, ma la vulgata imperialista pretende che lo siano state -NdT-). Ha paura che il loro sostegno si indebolisca?
BA: No, perché non chiediamo carità, tutto quello che riceviamo da Mosca e Teheran lo paghiamo; anche se riceviamo denaro, lo riceviamo come prestito, su cui ovviamente paghiamo un interesse.
FA: Ma il loro sostegno militare ha un costo e se loro hanno meno denaro, questo non vi metterebbe in difficoltà?
BA: No, perché come le ho detto noi paghiamo tutto quel che riceviamo, anzi, il nostro denaro in tal caso farebbe ancora più comodo ai nostri alleati.
FA: Quindi lei dice che ogni cosa che ricevete dai Russi e dagli Iraniani...?
BA: Lo dico e, aggiungo, finora non ci sono state diminuzioni di alcun genere nel sostegno che riceviamo da loro.
FA: In passate interviste ha detto che lei e il suo Governo nel corso della guerra avete fatto degli errori? Ci può dire quali? E c'é qualcosa che rimpiange in particolare?
BA: Ogni Governo, ogni persona, fa degli errori, lo si sa, lo si accetta. Ma se vogliamo parlare di errori politici o strategici deve prima chiedersi: quali sono state le principali decisioni che abbiamo preso dall'inizio di questa crisi? Sono state in pratica tre: di essere sempre aperti al dialogo, di cambiare la Costituzione e l'assetto politico del paese in accordo con suggerimenti delle opposizioni istituzionali e, secondo alcuni, questo avrebbe causato la crisi; terzo, abbiamo deciso di difendere con le armi il paese e noi stessi, di combattere i terroristi ovunque si nascondessero. Non credo che in nessuna di queste decisioni maggiori possano ravvisarsi degli errori. Se poi si parla di decisioni operative, pratiche, errori sono sempre possibili e sono avvenuti, ma no, nelle decisioni politiche e strategiche penso che non ci siano stati errori.
FA: Ci può descrivere alcuni errori operativi, pratici?
BA: Preferirei mantenermi sul livello politico e strategico, per parlare di quello operativo ci sono altre persone, ufficiali che hanno il polso della situazione pratica.
FA: Si sente responsabile di qualche errore politico? Strategico?
BA: Le ho detto quali sono state le decisioni a quel livello.
FA: Ma ha detto che non sono stati errori.
BA: Come avrebbero potuto esserlo? Difendere il paese? Un errore? In quel caso, la cosa 'giusta' sarebbe stata arrendersi al terrorismo?
FA: Mi domandavo solamente se ci fosse qualcosa che lei ha fatto che, in retrospettiva, preferirebbe aver fatto diversamente.
BA: Sul piano politico e strategico, di quelle tre decisioni principali, sono certo di aver agito bene.
FA: Sul piano degli errori pratici, operativi, le persone incaricate di quelle scelte sono responsabili, per esempio, di abusi ai Diritti Umani, di eccessivo uso della forza, o della morte di civili?
BA: Abbiamo avuto casi in cui ufficiali governativi o militari sono stati trovati colpevoli di fatti simili.
FA: Nel senso del trattamento di civili o oppositori?
BA: Nella fase iniziale della crisi, sì.
FA: Da quando gli Usa hanno iniziato la loro campagna aerea contro l'ISIS, si può dire che Siria e Usa, obtorto collo, siano diventati 'partner' e cooperino su questo piano, lei crede che ci possa essere spazio per un'incremento di cooperazione in futuro?
BA: Potenzialmente può esserci qualunque cosa, perché non abbiamo mai smesso di chiedere cooperazione internazionale contro il terrorismo, da 30 anni a questa parte, ma ci vuole una volontà politica dall'altra parte per realizzare o per intensificare una cooperazione, il problema come sempre é "Quanta volontà hanno gli Stati Uniti di combattere il terrorismo? Ci sono stati degli attacchi aerei nel Nord della Siria, e poi? Cos'altro? Quel che abbiamo visto finora é stato molto un gioco di specchi, molta poca sostanza.
FA: Anche a Kobane? Lì sembra che i bombardamenti americani abbiano rallentato l'ISIS.
BA: Kobane é un centro piccolissimo, con meno di 50.000 abitanti, questi 'attacchi' americani vanno avanti da tre mesi e comunque la zona é ancora contestata. Aree simili l'Esercito Siriano le libera in tre settimane. Mi creda, non esiste niente di serio nella 'campagna aerea' americana.
FA: Quindi lei vorrebbe un più grande coinvolgimento militare americano?
BA: Ecco vede, il problema non é solamente militare, cercare di risolverlo solo con mezzi militari é sbagliato; é un problema politico, che riguarda i rapporti Usa-Turchia e quanto gli Usa vogliano fare pressione sulla Turchia, perché se i terroristi dell'ISIS non hanno subito conseguenze gravi dagli attacchi americani é precisamente perché i Turchi continuano a sostenerli più di quanto i bombardamenti Usa li danneggino. Gli Usa hanno mai minacciato la Turchia perché la smettesse di sostenere i terroristi? No, mai. Quindi lo sforzo militare non é una soluzione, secondariamente, solo con truppe sul terreno si possono veramente sradicare gruppi come l'ISIS, gli Americani stanno aiutando le truppe sul terreno?
FA: Quindi lei vorrebbe vedere truppe Usa sul terreno?
BA: Certo che no! Io sto parlando della situazione attuale, se lei vuole sconfiggere l'ISIS deve farlo sul terreno, quindi deve chiedere agli Americani: quali truppe pensate che possano raggiungere quest'obiettivo? La risposta esiste già: le truppe siriane, che sono già sul terreno, che combattono per difendere e liberare la propria terra e il proprio popolo. La responsabilità dev'essere solo siriana, non vogliamo e non chiederemo mai, truppe americane sul nostro suolo.
FA: Per cui cosa vorrebbe vedere dagli Usa? Ha detto che dovrebbero fare pressioni sui Turchi...
BA: Pressioni sui Turchi e sui Sauditi e sui Qatarioti e su chiunque sostenga e foraggi i terroristi; poi, iniziare una aperta, onesta cooperazione con la Siria, coordinare i loro attacchi, finora non l'hanno fatto, la loro intera operazione é illegale.
FA: Scusi, non mi é chiara una cosa...quindi lei vorrebbe 'legalizzare' l'operazione?
BA: Certamente, se si vuole fare un qualunque tipo di azione, specialmente militare, sul territorio di un'altro Stato, bisogna chiedere e prendere accordi.
FA: Capisco, quindi servirebbe un accordo formale Damasco-Washington per permettere legalmente questi attacchi?
BA: Sì, sul formato si può ragionare dopo, ma innanzi tutto chiedere il permesso. Sarà un accordo? Sarà un trattato? Quello si vedrà.
FA: E lei vorrebbe prendere impegni per cooperare più facilmente con Washington?
BA: Con ogni paese che serimanete si impegni a combattere il terrorismo, siamo pronti a collaborare con chiunque, purché su una base di serietà.
FA: Quali passi prenderebbe per mostrare a Washington la sua intenzione di cooperare?
BA: Ma é Washington che deve mostrarcela, noi stiamo già combattendo sul terreno, non dobbiamo dimostare niente.
FA: Gli Usa dicono di stare addestrando 5000 combattenti che dovrebbero entrare in Siria a maggio, il Generale John Allen é stato molto attento a dire che queste
forze non dovrebbero entrare in azione contro il Governo siriano, ma combattere solo l'ISIS. Cosa farete quando queste forze entreranno? Glielo permetterete? Le  Attaccherete?
BA: Qualunque forza armata che pretenda di entrare nel nostro territorio contro la nostra volontà sarà fermata e respinta con la forza, é molto chiaro
FA: Anche se questo vi metterà in collisione con gli Usa?
BA: Senza cooperazione col Governo e l'Esercito siriano un'operazione del genere é illegale, essi sarebbero burattini di una potenza estera e saranno fermati e combattuti come tutte le altre forze illegali presenti ora in Siria. Il che ci porta a un'altra questione, Obama ha detto che erano una 'fantasia'; come avrebbero fatto a diventare reali?
FA: Penso che sia stato avviato un programma di addestramento.
BA: Ma é impossibile addestrare degli 'estremisti moderati'
FA: Credo che esista ancora un'opposizione moderata, é molto debole e si indebolisce sempre di più, ma penso che il Governo Usa voglia esser sicuro di non stare addestrando degli estremisti.
BA: Ma la domanda é: perché l'opposizione 'moderata', che io chiamerei piuttosto banditi e ribelli sono sempre più deboli e si indeboliscono? Perché moltissimi di loro si sono uniti agli estremisti. Una volta entrati in Siria tremila, quattromila di quei cinquemila uomini si uniranno all'ISIS, a Nusra, ad Al-Qaeda, il che é esattamente quel che é successo in passato con altri 'moderati', quindi la stessa idea dell' "opposizione moderata" é fallace, sbagliata dal principio.
FA: Parte di quanto rende Washington riluttante a cooperare con voi sono le accuse di violazioni dei Diritti Umani, queste accuse non vengono solo dal Governo Usa ma dalla Commissione ONU sui Diritti Umani, dalla Commissione Investigativa Speciale; sono certo che lei ha familiarità con queste accuse. Includono negazione di accesso a gruppi di aiuto umanitario verso i campi profughi, bombardamenti indiscriminati di civili...prove fotografiche portate da un disertore chiamato 'Cesare' sono state presentate al Congresso e mostrano torture e abusi nelle prigioni siriane. Lei prenderebbe iniziative in merito per favorire la cooperazione con gli Usa?
BA: La cosa buffa di questa amministrazione americana é che anticipa decisioni e valutazioni sui social media...questo non é il modo di far politica; lei sa benissimo che nessuna di quelle accuse é sostenuta da uno straccio di prova, sono addebiti senza base, le foto? Cosa dimostrano le foto? Chi le ha prese? Dove? Cosa prova la loro autenticità? Chi le ha fatte? Non esiste una verifica indpenente di niente, quindi non vale nemmeno la pena di parlarne.
FA; Ma le foto sono state esaminate da investigatori europei...
BA: ...a libro-paga del Qatar! E poi dicono "fonti anonime", quindi, mi lasci dire, non c'é niente di provato. Chi é raffigurato nelle foto? Si vede una testa, tutto qui, si vedono delle ossa craniche; chi ha detto che é opra del Governo? E non magari dei terroristi? Chi ha detto che si tratta di una vittima siriana? E non, come é già stato dimostrato in altri casi, irakena, yemenita? E poi gli Usa in particolare e l'Occidente in generale che diritto hanno di ergersi a giudici dei Diritti Umani? Ricordiamo che parliamo di paesi che hanno invaso l'Irak a loro piacimento causando centinaia di migliaia di morti, e che hanno precipitato la Libia nel caos e nella guerra civile, che hanno sostenuto i Fratelli Musulmani in Egitto e il terrorismo in Tunisia. Tutti questi problemi sono riconducibili all'Occidente e agli Usa, che sono i primi spregiatori e violatori della Legge Internazionale e delle Risoluzioni ONU, quando comoda loro.
FA: Questo potrebbe anche essere vero ma si tratta di questioni separate, che non vi autorizzano a violare di Diritti Umani.
BA: No, scusi, gli Stati Uniti ci accusano, quindi noi rispondiamo sul punto, non sto dicendo che 'siamo autorizzati' a violare alcunché, il Governo non é responsabile di alcuna violazione. La seconda parte della sua domanda ruotava sulle accuse, che restano accuse vuote non sostenute da alcunché, se lei vuole che io risponda io devo rispondere su punti concreti, provati e verificati.
FA: Quindi Lei é pronto a negare categoricamente che ci sono stati abusi e torture di prigionieri in Siria?
BA: Di fronte a un sistema di giudizio equo e non prevenuto per verificare tutte quelle accuse, certamente e sarebbe pienamente nel nostro interesse.
FA: Che impatto avrebbe sulla Siria un accordo nucleare Usa-Iran?
BA: Nessuno, perché non ci siamo mai impegnati in quella questione, nè la nostra crisi presente é mai entrata in quel negoziato, per precisa volontà iraniana, una volontà che abbiamo condiviso perché si tratta di questioni del tutto separate.
FA: Ma molti pensano che con un accordo Usa-Iran sul nucleare Teheran verrà portata ad abbandonarvi, o almeno a ridurre il suo sostegno verso di voi.
BA: Non abbiamo nessun segno che quello che lei dice sia anche solo mai passato per la mente degli Iraniani. Non posso discutere qualcosa che non é nemmeno nel reame delle possibilità.
FA: Ci può descrivere come, secondo lei, sta andando la guerra, dal punto di vista del Governo? Analisti indipendenti dicono che ora voi controllate dal 45 al 50 per cento del territorio nazionale.
BA: Prima di tutto, se vuole descrivere la situazione militare, non ci troviamo di fronte a una guerra convenzionale tra eserciti regolari dove ci sono avanzate e ritirate e territori o province che cambiano mano. No, affatto, parliamo di banditi e terroristi locali che si infiltrano in certe aree, che poi chiamano terroristi stranieri in queste aree e compiono scorrerie o attentati. Siamo nel reame della guerra irregolare quindi contare i chilometri quadrati di territorio é futile e non dà la percezione della situazione. Inoltre, ogni volta che l'Esercito Siriano ha voluto entrare in una zona c'é entrato, ma ovviamente non può presidiare ogni zona costantemente, questo é impossibile, per questo sono state create milizie popolari che possono svolgere questo ruolo. Abbiamo fatto molti passi avanti negli ultimi due anni; lei vuole sapere: abbiamo vinto? La guerra sta andando 'bene'? Per me la guerra va sempre 'male' perché in ogni caso ci sono lutti, distruzioni, ma una cosa positiva sta nel fatto che il Popolo Siriano ha rifiutato il terrorismo, l'estremismo, ha rinnovato la sua fiducia nello Stato e nel Governo. Prima di parlare di guadagni territoriali parliamo di dove stanno le menti e i cuori dei Siriani, ecco, in quel caso la nostra non é una vittoria ma piuttosto un trionfo. Quel che resta é la logistica, la tattica, la 'tecnica' della guerra. In questo ci vuole ancora tempo, gli sviluppi tattici sono positivi, ma comunque ci sono perdite, perdite di vite, di ricchezza, di infrastrutture.
FA: Pensa che sconfiggerete militarmente i ribelli?
BA: Se non avessero supporto esterno li avremmo già sconfitti da tempo; anche oggi, ogni volta che li attacchiamo li sconfiggiamo; il problema é che continuano ad avere rinforzi, rifornimenti, specie dalla Turchia.
FA: Quindi é la Turchia il vicino che la preoccupa di più?
BA: Esattamente, logisticamente nulla avverrebbe senza il concorso turco, anche i soldi e le armi saudite e qatariote arrivano sempre tramite la Turchia.
FA: Quindi lei incolpa Erdogan? Fino a pochi anni fa aveva buoni rapporti con lui.
BA: Ma li ha rovinati, per colpa della sua ideologia dell'Ikhwan; la Fratellanza Musulmana é stato il primo alfiere dell'Islam Politico con mezzi violenti, a partire dal '900, Erdogan ha preferito seguire la sua ideologia piuttosto che gli interessi pacifici del suo paese, é un fanatico e per questo si é gettato a capofitto in questa crisi, é personalmente responsabile di quel che é accaduto.
FA: Vede potenziali alleati nella regione, oltre quelli che già la sostengono? Ad esempio il Generale Al-Sisi?
BA: Non lo giudico su un piano personale, ma, fino a quando il Governo e l'Esercito egiziano devono trovarsi a combattere contro lo stesso tipo di terroristi estremisti che noi e gli irakeni stiamo combattendo, allora penso che possano esserci dei margini, degli spazi di collaborazione e cooperazione.
FA: Due domande finali, se posso. Può immaginare uno scenario in cui la Siria torni allo status quo ante, come si trovava prima dell'inizio dei combattimenti nel 2011?
BA: In che senso?
FA: Nel senso di una Siria unita, in controllo dei suoi confini, con un processo di ricostruzione, con istituzioni secolari e una società pacificata.
BA: Se lei guarda a una mappa militare adesso vedrà che questa Siria esiste già ora: in diverse regioni del paese e se non credessimo che la Siria possa tornare in pace allora sarebbe inutile continuare a inviare il nostro Esercito a combattere, se non credessimo alla convivenza pacifica di etnie e religioni vedrebbe i Siriani rinchiudersi in ghetti etnici o religiosi e questo lei non lo vede, perché non é la realtà: il nostro Esercito é fatto di ogni genere di comunità religiosa ed etnica della Nazione, del suo tessuto. Questo significa che tutti crediamo che la Siria tornerà allo stato da lei descritto. Non abbiamo altre opzioni perché altrimenti smetterà di esistere come Stato e come paese e questo scatenerà caos in tutta la regione. Quello che chi ha finanziato i terroristi contro di noi non ha capito é che se mai i loro piani avessero avuto successo i primi a pagarne le conseguenze sarebbero stati loro stessi.
FA: Se potesse fare arrivare un messaggio al Presidente Obama, quale sarebbe?
BA: Io penso che la cosa normale che si possa chiedere a ogni rappresentante eletto nel mondo sia quella di lavorare nell'interesse del suo popolo. E la questione che porrei a ogni Americano é: Che cosa ci guadagnate a sostenere il terrorismo nel nostro paese? E nella nostra regione? Quali vantaggi vi ha fruttato sostenere la Fratellanza Musulmana in Egitto e in altri paesi? Che vantaggi vi arrivano dal dare via libera a un individuo come Erdogan? Un rappresentante del vostro paese sette anni fa, qui in Siria alla fine di un incontro mi chiese: Come pensa che potremmo risolvere i nostri problemi in Afghanistan? Io gli dissi: dovete riuscire a favorire l'ascesa di politici che non siano fantocci, che sappiano anche dirvi 'no'.
Fino a quando gli Usa penseranno di poter risolvere problemi installando fantocci e riducendo paesi liberi a servi e clienti non riusciranno mai a ottenere niente. Se gli Stati Uniti vogliono essere la maggiore potenza del mondo dovrebbero farlo disseminando nel mondo: conoscenza, innovazione, anche tramite l'informatica con le sue positive ripercussioni...come é possibile che gli Usa siano così evoluti in questi campi avanzati e invece siano così arretrati nel campo politico e diplomatico, agendo come una vecchia potenza coloniale? Questa é una dolorosa contraddizione e io penso che il popolo americano dovrebbe analizzare questo punto e farsi delle domande. Come é possibile che tutte le loro ultime guerre si siano risolte in smacchi nonostante l'enorme sproprzione di forze sul campo? Gli Usa possono far scoppiare guerre, creare instabilità, caos, ma con questi mezzi non risolveranno mai nessun problema. Dopo vent'anni di trattative il 'processo di pace' tra Palestinesi e 'israeliani' non é arrivato a nulla, come mai?
FA: Ma nel contesto siriano, quale sarebbe una politica più produttiva?
BA: Una che miri a preservare la stabilità, non solamente in Siria ma in tutto il Medio Oriente, penso che sia ovvio. Il Medio Oriente, se é instabile, fa diventare instabile tutto il mondo. Nel 1991, con l'inizio di quello che poteva essere un 'processo di pace', tutti avevamo molte speranze. Ora, dopo quasi un quarto di secolo, non siamo nemmeno al punto di partenza, anzi, siamo andati indietro rispetto al punto di partenza. La politica dovrebbe aiutare la pace nella regione, combattere l'estremismo, promuovere il secolarismo e la tolleranza, aiutare la crescita economica e lo sviluppo sociale. Questa dovrebbe essere la missione storica degli Usa, non lo scatenare guerre.

   

giovedì 22 gennaio 2015

Messaggio della Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran, Ayatollah Ali Khamenei, ai giovani d'Europa e Stati Uniti



Da Islamshia.org.


Col Nome d’Iddio Clemente e Misericordioso.

A tutti i giovani in Europa e negli Stati Uniti d’America,

gli avvenimenti accaduti recentemente in Francia e altri simili avvenuti in alcune nazioni occidentali mi hanno convinto a parlarvi direttamente al riguardo. Mi rivolgo a voi giovani non perchè trascuri i vostri genitori, ma piuttosto perchè il futuro delle vostre nazioni e paesi sarà nelle vostre mani, e perchè ritengo che il senso di ricerca della verità sia più vivo e vigoroso nei vostri cuori.
In questo scritto non mi rivolgo ai vostri politici e uomini di Stato, perché credo che essi abbiano consapevolmente separato il percorso della politica da quello della sincerità e verità.
Vorrei parlarvi dell’Islam, ed in particolar modo dell’immagine che vi viene presentata come Islam. Negli ultimi due decenni sono stati fatti innumerevoli tentativi – dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica - per collocare questa grande religione nella posizione di "nemico spaventoso". Suscitare un sentimento di orrore e odio e poi utilizzarlo è qualcosa che ha sfortunatamente una lunga storia nella politica dell’Occidente.
Qui non voglio affrontare le diverse fobie inculcate alle nazioni occidentali. Con un rapido sguardo agli studi critici di storia vedrete che il comportamento mendace e ingannatore con le altre nazioni e culture da parte dei governi occidentali è stato criticato nella nuova storiografia.
La storia dell’Europa e degli Stati Uniti si vergogna dello schiavismo, si imbarazza del periodo coloniale ed è a disagio per l’oppressione della gente di colore e non-cristiana. I vostri ricercatori e storici si vergognano profondamente delle stragi compiute in nome della religione tra Cattolici e Protestanti o delle rivalità nazionali ed etniche durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Questo approccio è ammirevole.
Nel menzionare una parte di questa lunga lista, il mio obiettivo non è quello di rimproverare la storia; vorrei piuttosto che voi chiediate ai vostri intellettuali perchè la coscienza pubblica in Occidente si deve svegliare sempre con un ritardo di decenni e a volte di secoli. Perchè la revisione della coscienza collettiva deve applicarsi al passato remoto e non ai problemi correnti? Perchè in una questione importante come il confronto con la cultura e il pensiero islamico si cerca di prevenire la formazione di una consapevolezza pubblica?
Voi sapete bene che l’umiliazione e la diffusione di odio e paura illusoria dell’”altro” sono stati la base comune di ogni sfruttamento oppressivo. Vorrei che vi chiedeste ora perchè stavolta la vecchia politica della diffusione di fobia e odio ha colpito l’Islam e i musulmani con un’intensità senza precedenti. Perchè la struttura del potere nel mondo di oggi vuole emarginare il pensiero islamico e disattivarlo? Quali concetti e principi nell’Islam disturbano i programmi delle superpotenze e quali interessi vengono salvaguardati all’ombra della distorsione dell’immagine dell’Islam? La mia prima richiesta è quindi: studiate e cercate i motivi dietro questo offuscamento dell’immagine dell’Islam.
La mia seconda richiesta è che, in reazione alla marea di pregiudizi e campagne propagandistiche, cerchiate di ottenere una conoscenza diretta e di prima mano di questa religione. La logica corretta richiede che almeno sappiate quale è l’essenza e natura di ciò da cui vi fanno fuggire e spaventare.
Io non insisto che voi accettiate la mia, o di chiunque altro, lettura dell’Islam. Quello che voglio dirvi è di non permettere che questa realtà dinamica ed efficace nel mondo di oggi venga presentata a voi attraverso intenzioni e scopi loschi. Non permettetegli di presentare ipocriticamente i terroristi da loro reclutati come rappresentanti dell’Islam.
Ricavate la conoscenza dell’Islam dalle sue fonti prime e originali. Ottenere informazioni sull’Islam attraverso il Corano e la vita del suo grande Profeta. Vorrei chiedervi se avete letto direttamente il Corano dei musulmani. Avete studiato gli insegnamenti del Profeta dell’Islam e le sue dottrine umane ed etiche? Avete ricevuto il messaggio dell’Islam da altra fonte oltre quella dei mass-media?
Vi siete chiesti come e sulla base di quali valori l’Islam ha stabilito la più grande civiltà scientifica e intellettuale del mondo ed elevato i più eminenti scienziati e intellettuali nel corso dei secoli?
Vorrei che non permettiate che, con la creazione di immagini false e odiose, sii crei un ostacolo emotivo e sensibile tra voi e la realtà, privandovi della possibilità di un giudizio imparziale. Oggi i mezzi di comunicazione hanno rimosso i confini geografici, non permettete quindi loro di assediarvi all’interno di confini fabbricati e virtuali.
Sebbene nessuno possa individualmente colmare i vuoti creati, ognuno di voi può costruire un ponte di pensiero ed equità sulle lacune per illuminare voi stessi e l’ambiente circostante. Anche se questa tensione pre-pianificata tra l’Islam e voi giovani è sgradevole, può sollevare nuove questioni nelle vostre menti curiose ed esploratrici. Cercare di trovare risposte a queste domande vi fornirà un’opportunità per scoprire nuove verità.
Non perdete quindi l’occasione di ottenere una comprensione appropriata, corretta e imparziale dell’Islam, in modo che forse, grazie al vostro senso di responsabilità verso la verità, le future generazioni possano scrivere la storia di questa corrente interazione tra Islam e Occidente con una coscienza chiara e minore disagio.

Seyyed Ali Khamenei

21 Gennaio 2015

mercoledì 21 gennaio 2015

M. K. Bhadrakumar - Per l'Arabia Saudita, venire a patti con la Repubblica Islamica dell'Iran è ormai inevitabile.



Traduzione da Indian Punchline.

L'attacco terroristico della scorsa settimana contro un posto di frontiera situato al confine con la provincia irachena di Al Anbar è stato il primo attacco dello Stato Islamico contro il Regno dell'Arabia Saudita. Potrebbe trattarsi della proverbiale goccia che fa traboccare il vaso e che costringe Riyadh a mettere radicalmente in discussione le strategie politiche seguite a livello regionale, tutte improntate alla rivalità con l'Iran.
Tehran ha efficacemente contrastato le mene saudite in Siria ed in Iraq ed in questo momento sembra avere il coltello dalla parte del manico. Il tentativo estremo dei sauditi di andare a colpire l'economia iraniana forzando un drastico calo dei prezzi del greggio non soltanto non sta avendo l'effetto sperato, ma, come ha detto esplicitamente a metà gennaio il Presidente Hassan Rohani, è possibile che Riyadh e il suo compagno Kuwait finiscano col danneggiarsi da soli.
Nell'attacco al posto di frontiera condotto dallo Stato Islamico sono morte due guardie di confine ed il loro comandante. Si tratta di un momento che segna una svolta: il fatto che lo Stato Islamico abbia ucciso tre soldati di nazionalità saudita deve suonare come un brusco risveglio: è arrivato il momento di tirare le somme. I sauditi sperano di erigere un muro di confine, e di isolare il paese da quelli dello Stato Islamico, i barbari della porta accanto. Ma si tratta di plateali fanfaronate.
Le condizioni della provincia di al Anbar, che è controllata dallo Stato Islamico, stanno precipitando. Le dispute tribali e i limiti dell'esecito iracheno hanno fatto sì che lo Stato Islamico avesse la meglio, che ha instaurato un esteso regno del terrore per eliminare sistematicamente la resistenza. Per creare una resistenza tribale organizzata contro lo Stato Islamico serve moltissimo lavoro sul terreno, sulla falsa riga di quello condotto nel decennio passato nelle regioni sunnite sotto controllo statunitense che portò alla creazione dei "Consigli del Risveglio". Questo può in parte spiegare la decisione dell'Arabia Saudita di riaptrire la propria ambasciata a Baghdad, dopo venticinque anni di chiusura.
In ultima analisi, solo unendo i propri sforzi a quelli della Repubblica Islamica dell'Iran l'Arabia Saudita potrà allontanare la minaccia che lo Stato Islamico rappresenta per la sua sicurezza nazionale. Riyadh e Tehran per adesso comunicano tra loro con ammiccamenti, come estranei nell'oscurità che non fanno che scambiarsi sguardi. In uno dei suoi deditoriali lo Iran Daily, vicino a posizioni governative, ha scritto che "tra Iran ed Arabia Saudita non ci sono contrasti tanto gravi da non poter trovare soluzione" ed ha ammonito del fatto che "lo Stato Islamico può mettere a rischio l'intero sistema governativo saudita" perché "le sue parole d'ordine possono fornire motivazione" al popolo perché si sollevi contro il governo. L'editoriale prende nota del fatto che la cooperazione tra Iran ed Arabia Saudita "portererbbe sicurezza e stabilità a tutto il Medio Oriente".
Certo, nei termini dell'accordo si dovrà considerare anche la questione del prezzo del petrolio. L'Iran Daily ha ammesso il fatto che la decisione dei sauditi di aumentare la produzione di greggio, che ha portato alla caduta dei prezzi, si inquadra nel contesto che vuole "l'utilizzo del petrolio come strumento per mettere in difficoltà il proprio rivale, in questo caso l'Iran" e che questo "ha creato a Tehran qualche problema economico". Ammesso questo, lo scritto ricorda però che oggi comem oggi l'Arabia Saudita non si trova certo nella posizione adatta a dettare condizioni. "Si dice che le condizioni di salute di Re Abdullah stiano peggiorando di giorno in giorno, e si riferisce anche di una lotta per il potere in corso tra i principi sauditi. Prendere in considerazione un'altra forma di governo, per i sauditi potrebbe essere una via d'uscita".
Nello scenario che si prepara, diventa inevitabile per l'Arabia Saudita riconsiderare le strategie politiche fin qui seguite a livello regionale. Il 16 gennaio lo Asharq al Awsat, quotidiano saudita interno allo establishment, scrive in un editoriale che il principe Turki, ex capo dei servizi, si è espresso in modo molto ruvido nei confronti dello Stato Islamico, arrivando a ribattezzare il Da'ish Fahish, vale a dire "osceno", e paragonandolo ai kharigiti del diciassettesimo secolo, conosciuti nella storia muslmana ed araba per la loro efferatezza. Una così aspra condanna nei confronti della propria antica progenie fa capire soltanto che i sauditi possono aver capito che l'idea di giocare la carta del settarismo contro l'Iran per ottenere la supremazia nella regione si è rivelata una mosa costosa, controproducente e foriera di conseguenze negative per i loro stessi interessi vitali. La miglior cosa da fare, per l'Arabia Saudita, è evitare di rovesciare il tavolo, e riconsiderare la propria politica nei confronti dell'Iran. L'accordo sul nucleare tra Iran e Stati Uniti non farà altro che spostare ancora di più la bilancia degli equilibri regionali in favore di Tehran.

 

martedì 20 gennaio 2015

Brian Cloughley - Un Lebensraum in Palestina



Traduzione da Asia Times.


Il Consiglio di Sicurezza afferma che la politica generale e i singoli atti di cui è responsabile lo stato sionista nella fondazione di insediamenti in Palestina ed in altri territori arabi occupati dal 1967 non hanno alcuna validità legale e rappresentano un serio ostacolo al raggiungimento di una pace complessiva, equa e durevole in Medio Oriente.
Risoluzione n. 446 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, 1979.

Un convoglio diplomatico statunitense è stato attaccato venerdi scorso nella West Bank da coloni ebrei che tiravano sassi, riferiscono mass media sionisti.
Los Angeles Times, 2 gennaio 2015.

Immaginatevi il putiferio, lo starnazzare di tutti i gazzettini, la Casa Bianca indignata di ben riposta indignazione e le minacce di tremenda vendetta del Congresso se un gruppo di personale diplomatico statunitense fosse stato attaccato in Russia o in Venezuela. Anche se una cosa simile fosse successa in Australia, in Canada o nel Regno Unito sarebbe saltato fuori un casino, ad ampia copertura mediatica.
Invece, l'Associated Press ha riferito che "coloni ebrei hanno aggredito personale diplomatico ameriKKKano venerdi scorso [il 2 gennaio] nel corso di un'ispezione nella West Bank, che rientrava in un'indagine che seguiva la richiesta di verifiche di danneggiamenti subiti dal patrimonio agricolo palestinese" e la cosa è stata seguita da qualche tiepido ed asettico commento, e dall'espressione di "profonda preoccupazione" emessa dal Dipartimento di Stato. In fin dei conti, il personale diplomatico è stato solamente raggiunto da una pioggia di sassi, e le loro macchine solo da qualche bastonata.
E' interessante considerare il perché di un'ispezione sotto i sassi che volavano, e che i diplomatici hanno dovuto eseguire nel villaggio palestinese di  Turmus Ayya, perché non si tratta di una cosa che si può squalificare a "danneggiamenti di colture" puri e semplici. Il personale diplomatico era lì per esaminare una zona in cui cinquemila piante di olivo erano state sradicate, ed era stato abbattuto anche un certo numero di olivi molto vecchi. Appartenevano tutti a palestinesi, che erano proprietari della terra su cui gli olivi erano cresciuti. A distruggere gli oliveti, che sono mezzo di sostentamento per centinaia di palestinesi, erano stati coloni sionisti privi di alcun titolo, che avevano tolto con la forza i terreni ai loro proprietari palestinesi. Il comportamento di questi coloni viene sostenuto in ogni modo dal governo dello stato sionista e dal Congresso statunitense.
Non sorprende il fatto che il primo veto posto dall'amministrazione Obama al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, quattro anni fa esatti, abbia fermato una risoluzione che avrebbe altrimenti avuto l'unanimità, e che imponeva "allo stato sionista, in qualità di potenza occupante, di interrompere immediatamente e completamente tutte le attività di colonizzazione nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est, e di rispettare gli obblighi legali a riguardo".
Lo stato sionista non smetterà mai di impossessarsi di terreni palestinesi e di distruggere gli oliveti, perché gli Stati Uniti lo sostengono nel Consiglio di Sicurezza con il loro veto. A volte non c'è nemmeno bisogno di arrivare ad esercitare il diritto di veto, se in Consiglio ci sono abbaastanza burattini da garantire con sicurezza che al voto uscirà sconfitta qualsiasi proposta che miri alla restituzione dei terreni agricoli palestinesi ai loro legittimi proprietari. Lo scorso dicembre, ad esempio, il Consiglio ha respinto una risoluzione che imponeva la fine dell'occupazione sionista delle terre palestinesi entro tre anni.
Allo scopo si sono mossi gli Stati Uniti e il Presidente nigeriano Goodluk Johnatan, che è pappa e ciccia con lo stato sionista: il Segretario di Stato e il primo ministro sionista lo hanno contattato e gli hanno ordinato di assicurarsi che la Nigeria si astenesse dal votare. In mezzo a tutti gli altri intrighi, questo squallido episodietto mostra fino a che punto gli Stati Uniti sono pronti ad arrivare per essere sicuri che lo stato sionista andrà avanti nel suo massiccio programma di costruzioni sui terreni palestinesi occupati illegalmente, e che potrà continuare con la distruzione degli oliveti.
Suona ironico che un antico simbolo di pace venga oggi usato dallo stato sionista come un moderno mezzo di persecuzione. Lo sradicamento e l'abbattimento degli olivi è simbolo dell'atteggiamento sionista nei confronti del popolo palestinese. Questi alberi preziosi vengono distrutti in nome del Lebensraum, dello spazio vitale sionista.
Lo spazio vitale necessario ad un crescente numero di coloni sionisti viene acquisito con sistemi che avrebbero destato l'ammirazione dello psicotico Adolf Hitler, che scriveva "...Dobbiamo eliminare la sproporzione che esiste tra la nostra popolazione e il nostro spazio... Dobbiamo assicurare al popolo tedesco la terra ed il suolo cui esso ha diritto". Una corrispondenza orribile.
Le olive sono deliziose e se ne ricava un olio meraviglioso. L'olivo è originario della Siria, della Palestina e di Creta, e si sa che alcune piante ancora oggi esistenti hanno più di duemila anni: una cosa eccitante. Solo che nella Palestina di oggi non ci sono olivi bimillenari. Nei territori palestinesi che lo stato sionista occupa illegalmente fin dal 1967 ne sono rimasti ben pochi. Dal 1967 ad oggi i sionisti hanno distrutto più di ottocentomila piante: l'undici gennaio scorso, coloni sionisti ne hanno sradicati altri centosettanta in un villaggio a sud di Nablus; la terza operazione del genere in una settimana di campagna tesa alla distruzione dei mezzi di sussistenza dei palestinesi musulmani, per costringerli ad abbandonare le loro case e a lasciare spazio ai coloni ebrei.
Un anno fa, allo World Economic Forum di Davos, il primo ministro Netanyahu affermò seccamente di "non avere alcuna intenzione di sgomberare alcun insediamento o di cacciare alcun sionista". A gennaio, come riferito dal quotidiano sionista Haaretz, ha messo un'altra volta in chiaro di non aver nessuna intenzione di cambiare politica. Ha detto ancora una volta che se il diciassette marzo verrà rieletto sulla questione degli insediamenti non si farà alcun passo indietro. "Non succederà, finché rimarrò in carica". Il governo sionista continuerà a promuovere il Lebensraum, proprio con i sistemi prospettati da Hitler, in quella "terra e suolo cui esso ha diritto".Netanyahu non sradicherà alcun sionista e continuerà a sradicare olivi e palestinesi.
Raramente è dato sentir arrivare, da parte dei paesi occidentali, qualche mormorio di protesta per gli odiosi eccessi dello stato sionista; meno che mai dagli Stati Uniti, il cui sistema legislativo è per intero controllato dalla lobby sionista rappresentata dallo AIPAC, il Comitato per gli Affari Pubblici AmeriKKKano-Sionista. E l'AIPAC a fare il bello e il cattivo tempo a Washington, ed ha fornito denaro quasi ad ogni senatore, quasi ad ogni eletto alla Camera dei Rappresentanti.
Tutte le persone perbene sono favorevoli alle erogazioni liberali a scopi caritatevoli. Solo che l'azione dei legislatori del Congresso non rientra fra le opere di carità. Quando ricevono del denaro, quale che sia l'organizzazione che glielo fornisce, ci si attende che producano risultati favorevoli ai loro benefattori, e nel caso dell'AIPAC è sicuro che questi risultati ci sono. Nel 2011 Netanyahu si è rivolto ad entrambi gli organismi parlamentari in una trionfalistica diatriba che negava i diritti dei palestinesi, ricevendone per questo attestati di adulazione di un'ampiezza pari a quella che si riserva a personaggi di rilievo internazionale che hanno raggiunto traguardi di prestigio.
Il Congresso per sette volte ha ospitato politici sionisti; in queste passerelle, Netanyahu ha figurato per due volte, con un lustro da imperatore. Dopo la sua ultima e trionfale comparsata, si disse che "il Presidente Obama, nel 2011, è stato applaudito in piedi dal Congresso per venticinque volte durante il discorso sullo stato dell'Unione. Oggi, il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato applaudito ventinove volte".
Si riesce a malapena a crederci, ma questo primo ministro dal razzismo brutale ha potuto essere adulato in questa misura dai rappresentati riuniti di una nazione la cui Dichiarazione di Indipendenza afferma che "i diritti inalienabili" comprendono "la vita, la libertà e il perseguimento della felicità".
Per i palestinesi, nel loro paese, c'è poca libertà e nessuna felicità; quasi tutte le terre arabe se le sono prese i "coloni" ebrei. Eppure, la persecuzione dei palestinesi da parte dello stato sionista incontra a tutt'oggi il pieno sostegno del governo ameriKKKano. E i cittadini che pagano le tasse dànno ogni anno allo stato sionista qualcosa come tremila miliardi di dollari.
Non esiste nulla che riferisca di un solo senatore o di un solo deputato che abbia protestato per l'aggressione del due gennaio contro i diplomatici statunitensi, cui hanno dato vita coloni sionisti che lanciavano sassi ed ammaccavano automobili.
Senatori e deputati ignorano anche il fatto che gli Stati Uniti hanno sostenuto la risoluzione 446 del Consiglio di Sicurezza, che
Invita ancora una volta lo stato sionista, in qualità di potenza occupante, ad aderire scrupolosamente alla IV Convenzione di Ginevra del 1949, a dichiarare decadute le misure fino ad oggi adottate e ad interrompere qualsivoglia azione che possa portare a mutamenti nello status legale e nelle condizioni geografiche, andando ad influire sulla composizione demografica dei territori arabi occupati dal 1967 Gerusalemme inclusa, e in particolare a non trasferire gruppi della propria popolazione civile all'interno dei territori arabi occupati.
Nel 2014, a colloqui tra stato sionista e Palestina in pieno corso, lo stato sionista ha approvato la costruzione illegale di altre tredicimilaottocentocinquantuno nuove abitazioni per i coloni su terre palestinesi. I colloqui, ovviamente, sono finiti con un nulla di fatto. Né c'era intenzione, a Washington e a Tel Aviv, di far sì che avessro un qualche successo.
I sionisti non arriveranno mai a qualcosa che assomigli ad un accordo equo con i palestinesi. Il sostegno incondizionato di Washington permette allo stato sionista di continuare a respingere il ramoscello d'olivo della pace, e di continuare a distruggere gli oliveti della Palestina.
Tutto in nome dello spazio vitale.

lunedì 19 gennaio 2015

Essere alla canna del gas


La necessità aguzza davvero l'ingegno e non sempre la cosa si ferma a gente che, in attesa di traslocare, insegna a chiacchierare con gli angeli.
L'espressione essere alla canna del gas è entrata nel linguaggio comune per indicare la situazione di qualcuno che non ha altra possibilità di sottrarsi all'incombere di un rovescio colossale (di solito di natura economica) se non il suicidarsi, sia pure in modo poco cruento e nell'intimità della propria abitazione. Una delle conseguenze del progresso sta nel fatto che corde e rasoi hanno perso attrattiva agli occhi degli autolesionisti.
Per noi norma è e resta un'opera di Vincenzo Bellini. Grazie a dei signori di Brescia si viene a sapere che riguarderebbe anche i tubi flessibili non metallici e di questa precisazione siamo pronti a ringraziarli.
A sentire il signor Google, non tutti nutrono la stessa gratitudine.

domenica 18 gennaio 2015

M. K. Bhadrakumar - La Repubblica Islamica dell'Iran affossa i progetti dell'Arabia Saudita in Siria ed in Iraq.



Traduzione da Indian Punchline.

Il quotidiano filogovernativo Asharq al Awsat riporta lo scritto di un editorialista affidabile, che sembra essere un'ammissione a mezza voce del fatto che l'Arabia Saudita ha perso la battaglia per l'egemonia regionale, a favore della Repubblica Islamica dell'Iran. L'idea azzardata che col denaro a Washington si possa comprare chiunque e qualunque cosa, i toni roboanti con cui si è indicato nello Stato Islamico la nemesi dell'Iran, l'aver fatto completo affidamento sul fatto che le divisioni tra sunniti e sciiti siano un qualcosa che va al di là della politica mediorientale sono tutti assunti che si sono rivelati dei tremendi errori. Oggi come oggi, il 2014 appare come l'anno in cui i sauditi sono usciti sconfitti dal gioco.
Con la fine del 2014 è risultato chiaro che gli iraniani hanno battuto i sauditi sia in Iraq che in Siria. Dieci anni fa l'Iran riuscì a volgere a proprio favore l'invasione statunitense dell'Iraq, e il rafforzamento degli sciiti che ne fu conseguenza. Oggi, l'Iran si è impossessato dello spauracchio dello Stato Islamico, che per l'Occidente è diventato un'ossessione, per elevarsi al rango di fattore insostituibile per la sicurezza e la stabilità della regione.
E' appena il caso di ricordare che l'influenza iraniana in Iraq, nel 2014, è vistosamente aumentata e che oggi Tehran non ha più un ruolo influente soltanto presso gli sciiti, ma lo ha anche presso i sunniti iracheni e presso i curdi (qui). Il considerevole intervento militare di Tehran in Iraq ha ridimensionato lo Stato Islamico oltre ogni aspettativa. In definitiva, l'Iran si è affermato come tutore della sicurezza in Iraq, e lo testimonia la visita a Tehran del ministro della difesa iracheno, avvenuta nell'ultima settimana di dicembre.
La questione essenziale è il fatto che oggi come oggi la forza dello Stato Islamico è molto diminuita e ci sono seri dubbi non solo sul fatto che esso riuscirà ad acquisire nuovi territori, ma anche sul fatto che riuscirà a mantenere la maggior parte di quelli che controlla; questo, grazie all'efficacia dell'intervento militare iraniano in Iraq. D'altro canto lo spettro dello Stato Islamico ha condotto gli occidentali a capire che il governo siriano, sostenuto da Tehran, è un baluardo contro il terrorismo di matrice islamica che minaccia l'Europa.
I sauditi pensavano che Tehran sarebbe rimasta impelagata nel pantano iracheno e che l'intervento militare statunitense contro lo Stato Islamico avrebbe riaperto la questione del rovesciamento del governo siriano, e costretto l'amministrazione Obama a schierarsi con tutto il suo peso dalla parte del progetto saudita. Entrambe le aspettative sono andate deluse.
Il più grave errore di calcolo dei sauditi però è stato quello sui motivi dell'impegno statunitense in Iran. I sauditi hanno pensato che il Presidente Obama sarebbe stato costretto ad assecondare la massiccia pressione che le lobby filosaudite negli USA hanno esercitato nel corso degli ultimi mesi, assieme alla formidabile lobby che opera per conto dello stato sionista.
Obama, invece, ha mantenuto la propria linea, fondata sulla convinzione che la cooperazione con l'Iran moltiplicherà l'effetto delle strategie statunitensi per la pacificazione del Medio Oriente e per il ripristino del prestigio e dell'influenza dell'AmeriKKKa sulla regione, oltre a permettergli di concentrarsi maggiormente sul pieno recupero dell'economia ameriKKKana e sulla strategia complessiva degli USA.
Obama ha parlato con chiarezza di tutto questo in una lunga, recente intervista con NPR News. Obama ha schernito i critici interni: "A volte qui a Washington ci sono dei sapientoni... che pensano sia come muovere pezzi su una scacchiera. E quando si arriva a questo genere di comportamenti faciloni, si corre il rischio di rimanere bruciati". Obama ha respinto l'idea di "destinare altri mille miliardi di dollari" per mettere piede sul terreno nel combattere lo Stato Islamico in Iraq. "I mille miliardi li dobbiamo spendere per ricostruire le nostre scuole, le nostre strade, le nostre istituzioni scientifiche di base e i centri di ricerca da noi, negli Stati Uniti", ha detto Obama.
Questo è il punto in cui i sauditi non hanno capito nulla di Obama. I sauditi sono ancora invischiati nel fango di un'epoca ormai trascorsa, con gli Stati Uniti che praticavano la diplomazia delle cannoniere e gli "inteventi umanitari" in Medio Oriente. E' significativo il fatto che nell'intervista Obama abbia dato atto del fatto che l'Iran diventerebbe "una potenza regionale di ampio successo" se solo cogliesse "la possibilità di rimettere a posto le cose con il resto del mondo" e a giungere ad un accordo sul nucleare, accordo che è "possibile". Secondo Obama, "Esistono talenti e risorse incredibili e raffinati in Iran; se [gli iraniani] chiudono quella questione, l'Iran potrebbe avere molto successo nel diventare una potenza regionale, al tempo stesso rispettosa delle leggi internazionali; questa sarebbe una cosa buona per tutti".
Obama si è spinto anche oltre, fino a riconoscere che l'Iran ha "giustificate preoccupazioni per la propria difesa" e che "ha sofferto di una guerra terribile con l'Iraq" negli anni Ottanta del passato secolo. A domanda su un ripristino delle relazioni diplomatiche con l'Iran, ha detto "Risponderei 'mai dire mai'".
L'Iran Daily è un influente quotidiano, portavoce del pensiero dei massimi livelli della politica nazionale; ha risposto con una editoriale intitolata "I suggerimenti di Obama meritano un esame più attento". L'editoriale mostra apprezzamento verso il fatto che Obama ha ammesso che per un Medio Oriente stabile c'è bisogno di cooperare con l'Iran, e considera che un riavvicinamento agli Stati Uniti "non stimolerà soltanto l'attività degli investitori ameriKKKani, ma ne attrarrà anche di europei" e farà rifiorire l'economia iraniana; questo, a sua volta, "farà crescere l'importanza dei legami bilaterali [con gli USA]".
In conclusione, l'editoriale afferma che "relazioni amichevoli" con Tehran consentiranno a Washington di "proseguire con politiche volte allo scopo di alleviare le tensioni in Medio Oriente" e aiuteranno gli Stati Uniti "a rendere meno pressanti le sfide che a tutt'oggi la regione presenta".
I sauditi vorranno rendersi conto del fatto che la situazione è cambiata? Oggi come oggi, sono rimasti piuttosto isolati. L'Egitto del presidente Abdel Fattah al Sissi, che si oppone all'ascesa dell'islamismo sia in Siria che in altri paesi vicini, così come la Turchia, che sta brigando per rovesciare il governo siriano ma vede la questione nell'ottica della Primavera Araba ed è in prima fila nel sostenere i Fratelli Musulmani -cosa che ovviamente viene vista come il fumo negli occhi dai governi del Golfo- non sostengono le posizioni saudite sulla Siria. L'Occidente guarda con terrore all'instabilità siriana. I colloqui per la pace in Siria d'iniziativa russa si avvicinano: l'Arabia Saudita deve per forza rivedere una politica che l'ha condotta in un vicolo cieco. Un buon punto di partenza potrà essere il ritornare sulla decisione di utilizzare il petrolio come un'arma per mettere l'Iran in ginocchio.

sabato 17 gennaio 2015

L'imam di Firenze dà prova di generosità ed altruismo a Jacopo Cellai e Tommaso Villa.


Moschea di Nasir al Molq, Shiraz, Repubblica Islamica dell'Iran.

Il sette gennaio 2015 un centro mediatico situato in una metropoli è stato colpito e pressoché cancellato tramite attacco con armi leggere. L'operazione è stata portata a compimento da un nucleo ristretto che ha operato in modo da ridurre assolutamente al minimo il numero delle vittime collaterali. L'attacco è stato accompagnato da alcune operazioni di contorno molto meno coordinate, e totalmente fallimentare è stata la fase di disimpegno.
Il tutto si è svolto nella Repubblica Francese e non c'è niente, più che una descrizione così asettica, che possa levare le ire di ben nutriti e ben vestiti di varia obbedienza. Gli elementi dissonanti sono l'ambientazione ed i protagonisti: se invece di provenire dal milieu qui ben descritto gli attaccanti avessero fatto capo allo stato sionista o ad un corpo speciale "occidentale" e gli eventi si fossero svolti a Tehran, nessuno avrebbe trovato alcunché da ridire e le listature a lutto sulle gazzette non avrebbero certo riguardato le vittime.
Ben nutriti e ben vestiti hanno approfittato della cosa per togliere dal ripostiglio toni ed argomenti caratteristici dell'islamofobia da pescivendole che ha occupato per lustri e lustri le gazzette e l'agenda politica.
Stante la totale assenza di minacce concrete, nel "paese" dove mangiano spaghetti l'operato gazzettiero e politico degli "occidentalisti" si è ad oggi tradotto in monumentali sperperi di denaro pubblico. La sua funzione autentica e sostanziale è stata quella di influire sui meccanismi del democratismo rappresentativo in modo da portare ai vertici della macchina amministrativa e statale una torma di corrotti, di mangiaspaghetti, di falliti, di disturbati, di scarti di lavorazione, di perdenti, di frequentatori di prostitute, di mandolinisti, di furfantelli, di bulli di quartiere e di vere e proprie nullità, che hanno ed hanno avuto l'unico pregio di essere fedelmente rappresentativi dei "valori" e delle competenze del proprio elettorato.
L'esame, la confutazione e lo scherno della pratica politica "occidentalista" e della propaganda con particolare riferimento alla città di Firenze sono obiettivo degli scritti raccolti in questa sede, ed alle ripercussioni fiorentine degli eventi francesi si è già fatto cenno. Dopo aver ricordato che gli elementi portanti dell'"occidentalismo" sono l'incompetenza e la malafede, passiamo ad esaminare un caso concreto di comunicazione propagandistica.
Il 16 gennaio 2015 due ben nutriti di cui abbiamo già avuto occasione di occuparci e che si chiamano Jacopo Cellai e Tommaso Villa mandano a prendere polvere nell'ufficio stampa del Comune di Firenze un comunicato in cui lamentano l'intolleranza altrui.
Izzedin Elzir, che li deve sopportare da anni e la cui pazienza dev'esser stata più volte messa alla prova, li avrebbe definiti "due poveracci che vogliono strumentalizzare anche dodici morti", in questo mostrandosi assennato e conciliante ai limiti dell'autolesionistico, come avremo modo di vedere.
Non ci offendiamo certo per l’espressione poveracci. Siamo abituati a coloro che salutano cordialmente e fanno finta di portare rispetto finché in qualche modo non si intralciano i loro piani e le loro ambizioni.
Un'ottima descrizione degli ambienti "occidentali" e dei comportamenti che vi costituiscono la norma.
Ci viene da sorridere semmai, dato che noi abbiamo sempre riconosciuto la preparazione di Izzedin.
L'imam fiorentino è da molti anni al centro di una campagna mediatica che ha perso visbilità perché ha dovuto fare a meno di molti amplificatori, per lo più a causa di reati comuni e non certo perché bombardati dallo Stato Islamico. Va notato che dai curricula di Villa e Cellai non risulta alcuna competenza in orientalistica e che nel caso di Tommaso Villa non compare neppure alcun accenno ad attività lavorative.
Sulla base di quali elementi questi due signori abbiano riconosciuto la preparazione dell'imam, ed in quali campi, è di fatto un mistero.
Ancora una volta però proprio colui che dovrebbe rappresentare il volto di quell’Islam moderato cui guardare e col quale dialogare non riesce ad evitare, alla prova dei fatti, di esprimersi alla stregua di un intollerante. Perché solo un intollerante può qualificare con quell’aggettivo “poveracci” l’opinione di persone che rappresentano centinaia e migliaia di cittadini nelle Istituzioni sapendo perfettamente che la nostra posizione sul referendum non nasce, come dimostrano i fatti, da quanto accaduto in Francia.
 Jacopo Cellai rappresenta 554 (cinquecentocinquantaquattro) sudditi su 377021 (trecentosettantasettemilaventuno) ed ha dovuto farsi aiutare da un "consigliere regionale" per dare un minimo di concretezza alla propria azione. L'idea di un referendum sulla costruzione di una moschea a Firenze ha costituito per molti anni un'arma propagandistica "occidentalista" che sulla città non ha avuto alcuna presa. Il motivo è semplice: a Firenze, chi vuol fare politica "occidentalista" si iscrive al Partito Democratico.
Del resto Izzedin non è nuovo a trattare da “poveracci” coloro che si esprimono in termini che non gli sono avvezzi. Nel 2011 l’on. Souad Sbai intervenendo a Firenze ad un convegno sulla libertà di culto mise in evidenza una serie di questioni che riguardavano l’Ucoii, l’unità delle comunità islamiche di cui Izzedin è presidente, in relazione all’esclusione della stessa dalla consulta islamica e ai suoi rapporti con i Fratelli Musulmani e l’unica risposta di Izzedin fu la seguente : “Discorsi inutili. Non abbiamo certo bisogno del lasciapassare di persone che con Firenze non c’entrano nulla’.
Torna l'obiettiva constatazione del realismo e del senso di tranquilla responsabilità con cui l'imam di Firenze tratta le proprie controparti. Di solito, gli "occidentalisti" utilizzano per i loro detrattori epiteti ben più pesanti e nell'ambiente la delazione e la denuncia sostituiscono abitualmente l'assoluta mancanza di argomenti. Souad Sbai fu definita all'epoca da chi ne caldeggiava le cause un individuo di "alto spessore intellettuale". Qui presentiamo alcuni stralci che rendono chiaro di quali esperti di Islam -pardon, d'islàmme- si stia parlando. E rendono chiaro anche in che senso l'imam di Firenze sia stato estremamente generoso nei confronti di Cellai e Villa.
La netta sensazione è che a Izzedin vada bene dialogare con chi è d’accordo con la realizzazione della moschea. Gli altri, i poveracci come noi, sarebbero quelli che strumentalizzano le vicende tragiche di Parigi per far passare l’idea che tutti i musulmani siano terroristi.
Traduzione dall'"occidentalese": la netta sensazione è che non ci sia modo di far abboccare Izzedin all'amo della propaganda. Sono anni che usiamo gli stessi argomenti e non sappiamo letteralmente cosa inventare, anche perchè tra qualche mese la ruota gira di nuovo, i sondaggi sono roba da stare svegli la notte, e il rischio è quello di ritrovarsi all'ufficio circoscrizionale per l'impiego fianco a fianco con qualche Ahmed e qualche Ibrahim che potrebbero anche chiederci un supplemento di spiegazioni, magari usando sistemi meno educati di quelli usati dall'imam.
Siamo davvero noi quelli che strumentalizzano? Perché va bene un percorso partecipativo pagato dalla Regione, non sappiamo bene destinato a chi e a quanti, ma non può andare bene un referendum?
Senza propaganda "occidentalista" a cercare di capitalizzare sull'Islam non ci sarebbe stato alcun bisogno di percorsi partecipativi, peraltro apertissimi a tutti, e tanto meno di referendum.
La libertà di culto non è mai stata messa in discussione, non a caso in borgo Allegri i musulmani si ritrovano e pregano. E certo il sovraffollamento non può essere il motivo per fare una Moschea altrimenti basterebbe individuare uno spazio più grande.
L'"occidentalismo" mette in discussione l'esistenza stessa della società come tale, altro che libertà di culto. Ad infastidire gli "occidentalisti" è proprio la componente sociale dell'Islam, assieme alle sue inconcepibili pretese di giustizia e di equità. Al centro islamico di Borgo Allegri sono state mosse per anni critiche quotidiane, ovviamente cadute nella gelida indifferenza generale. Nel caso di Tommaso Villa si può parlare di sfrontatezza, ed anche di peggio.
Come scriveva Padre Lanzetta, il dialogo con l’Islam, auspicabile e nobile, non può però principiare dal permettere la costruzione di una moschea. Deve invece iniziare da valori condivisibili a livello naturale (che è ciò che veramente ci unisce, mentre le fedi ci separano), dai diritti naturali dell’uomo, dalla libertà religiosa, dalla pari dignità tra uomo e donna, dalla necessità di distinguere la sfera religiosa da quella politica, per non rischiare di scadere facilmente in un fondamentalismo politico ammantato di religiosità. Partire invece dalla moschea è come iniziare la costruzione di una casa dal tetto anziché dalle fondamenta”.
Serafino Lanzetta viene definito da Domenico del Nero come "giovane superiore della comunità fiorentina, docente di teologia, scrittore di profondità straordinaria e di dottrina vertiginosa... un sacerdote capace di illuminarti l’anima con un sorriso  che non era bolsa piacenteria, ma riflesso di autentica fede; e che con poche, dolci ma ferme parole poteva scuotere dal profondo una coscienza in confessionale o un gruppo di fedeli dal pulpito". Lanzetta, che avrebbe fatto le spese del recente cambio di pontificato e del radicalissimo riorientamento che ne è seguito, viene sporadicamente citato da un occidentalame che ha nel campo dell'esegesi e della dottrina cattolica le stesse competenze che ha nei rimanenti campi dello scibile, ed i cui rappresentanti più in vista non perdono occasione per mostrarsi attratti da tutt'altro.
Da parte nostra, non ci stancheremo di ripetere che la moschea si deve fare, si deve fare a spese pubbliche sottraendo esplicitamente risorse ai capitoli "sicurezza" e "gendarmeria" e si deve costruire con materiali di pregio, avendo in mente un edificio che deve essere degno della città di Firenze secondo le stesse linee di pensiero seguite a suo tempo per la sinagoga di via Farini. La miglior collocazione per l'edificio sarebbe a nostro avviso il lato orientale di piazza Ghiberti, una volta sgomberati e demoliti, possibilmente con gli stessi sistemi che gli "occidentalisti" vorrebbero usare contro i centri sociali e le case occupate, gli edifici che vi sorgono e che da troppo tempo ospitano attività e macchinazioni alla base di un degrado e di una insicurezza tanto autentici quanto invisibili ad occhi "occidentalisti".