giovedì 20 novembre 2014

La folle situazione mediorientale non dovrebbe essere una sorpresa per nessuno



Traduzione da Conflicts Forum.

Pare che il Medio Oriente stia andando in briciole in un'orgia di violenza e molti osservatori non credono ai loro occhi: com'è possibile che stia accadendo tutto questo? Come siamo arrivati a questo punto? Sembra che la situazione abbia lasciato tutti quanti attoniti per la sua imprevedibilità. Ci si chiede: non è che i servizi hanno sbagliato tutto un'altra volta?
Beh, no. Non è che "hanno sbagliato i servizi", è qualcosa di molto peggio. E' tutto il sistema ad aver fallito, sia cognitivamente che intellettualmente. Di fatto, i segnali di questa follia incombente sono stati in bella vista, sotto gli occhi di tutti, per tutti gli ultimi venticinque anni. Non c'era nessun bisogno di tanti servizi segreti per sapere dove si sarebbe andati a finire: bastava un po' di apertura mentale, giusto il necessario per capire in che direzione stavano andando gli eventi.
L'abbaglio preso dall'Occidente nasce direttamente dal fatto che esso ha provato a comprendere il Medio Oriente da una sola prospettiva. Una prospettiva che si è rivelata viziata. Era così sbilanciata in favore delle forze che si sono rivelate lo spettro dell'estremismo sunnita più acceso, aveva investito così tanto su questa specifica parte che gli occidentali non potevano neppure prendere in considerazione l'idea che questi decapitatori di apostati un giorno avrebbero morso le mani che li nutrivano, trattate da apostate anch'esse. Gli statunitensi -ed anche gli inglesi- hanno fatto affidamento su questo stato di cose per così tanto tempo, ed esso ha influenzato a tal punto le convinzioni statunitensi sulla leadership del mondo sunnita, che è stato tutto il quadro ad esserne distorto.
Persino adesso il sistema ha problemi nel capire con chi abbia a che fare esattamente. L'Occidente afferma di essere in guerra con lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante. Un concetto abbastanza semplice. Solo che in pratica l'AmeriKKKa è andata a mettersi in cima a diverse guerre. C'è la guerra contro lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante, che è wahabita, e c'è la guerra tra esso e l'altrettanto wahabita Jabhat al Nusra, così come c'è guerra tra la wahabita Arabia e lo wahabita Qatar. In pratica esiste una guerra per il predominio sull'isdlam wahabita -e questa è la dinamica fondamentale- e sull'islam sunnita nel uso complesso. Poi c'è la guerra che la Turchia sta portando avanti per diventare essa stessa l'"emiro" dell'islam Sunnita a spese dei sauditi, sia in Siria che nei territori ora controllati dallo Stato Islamico sia in Siria che in Iraq. Infine, Egitto Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno dichiarato guerra "a tutti gli estremisti islamici" e la stanno combattendo, in questo momento, in Libia.
Stati Uniti, Regno Unito e Francia vogliono andarsi ad infilare in queste dispute tra sunniti, in queste guerre teologiche e tra teocratici e laici?
Come siamo arrivati a questa confusione? In effetti non ci si sarebbe dovuti arrivare perché alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX era in corso un tentativo di concerto in tutto il mondo islamico per portare l'islam all'interno del mondo moderno; c'era il tentativo di arrivare ad esiti molto diversi da quelli di cui oggi lo Stato Islamico è il simbolo. Solo che questo rinascimento arabo è fallito e sono successe cose che hanno portato i nascenti movimenti islamici in una direzione molto differente. Sono stati gli eventi, non una qualche caratteristica intrinseca all'Islam.
Per capire, dobbiamo avere presente il fatto che per tutto il tempo compreso dalla metà del XIX secolo fino ai successivi anni Venti il mondo islamico è rimasto assediato da vari progetti secolarizzanti ed improntati al capitalismo e al libero mercato, tutti nati in Europa. Per essere chiari, l'irrompere del secolarismo sulla scena mediorientale non è mai stato un fenomeno neutrale o benevolo. In Turchia, Ataturk aveva nei confronti dell'Islam un atteggiamento semplicemente giacobino. Intendeva metterlo all'angolo: odiava l'Islam, che chiamava "carogna putrefatta". Anche la Persia e l'Egitto fecero le spese di questo secolarismo bellicoso.
L'Islam era sul baratro e si teneva appena con la punta delle dita, su cui arrivarono le martellate di Ataturk. La Umma, la "nazione" islamica, e il califfato furono smantellati.
Conseguenza di questo secolarizzante atto iconoclastico -così esso appare dal punto di vista musulmano- ad opera dei turchi fu la nascita dell'islamismo: i Fratelli Musulmani furono fondati nel 1929. La cosa essenziale è che l'islamismo all'epoca venne fondato come reazione contro il "rinascimento arabo", e specialmente come reazione al tipo di secolarismo di cui Ataturk era il rappresentante tipico; il suo orientamento era radicalmente difensivo, ed era concepito per competere e alla fine prevalere sul secolarismo e sul socialismo.
Il passo fondamentale fu che per competere con l'attrattiva della modernità secolare che arrivava dall'Occidente, l'islamismo sunnita diventò letterale. L'islamismo sunnita tagliò ogni legame con gli sviluppi storici dell'Islam, che letterali non erano, e con le sue tradizioni intellettuali. La sua religiosità divenne sempre più esteriore e visibile, divenne una sorta di proiezione all'esterno di tipo quasi secolare. Qualcosa che da una parte aveva a che fare con le buone opere sociali e dall'altra con l'enfasi sull'aspetto esteriore e letterale dei testi e sulla legge; diventò la messa in pratica di visibilissime manifestazioni di identità islamica, come l'uso dell'abito islamico o il mostrare in pubblico atteggiamenti devoti.
A questo insieme di cose si arrivò tenendo conto della sua attrattiva sul piano socioeconomico, e soprattutto perché lo si considerava il miglior modo per arrivare al potere. I Fratelli Musulmani sono stati il primo esempio di questo orientamento: durante la loro campagna elettorale nell'Egitto del 2012, per esempio, il loro movimento chiese di essere giudicato solo per i traguardi socioeconomici che avrebbe raggiunto.
Eppure, anche questa iniziativa si è arenata. Tayyip Erdogan ha fatto sue queste istanze, considerandole un modo per ripristinare la "missione storica" della Turchia, e l'influenza turca nel mondo sunnita; a farne le spese avrebbe dovuto essere l'Arabia. Il fatto che in Egitto sauditi ed Emirati Arabi abbiano spalleggiato il colpo di stato contro il Presidente Morsi e la guerra senza quartiere per la distruzione dei Fratelli Musulmani... e delle ambizioni turche, ha distrutto anche l'unico elemento dell'islamismo sunnita che non era completamente letterale. E che aveva a che fare con il concetto di sovranità popolare. 
L'unica corrente dell'islamismo sunnita ad essere rimasta in piedi dopo la caduta dei Fratelli Musulmani, al contrario di questi ultimi ormai stroncati, ha molto a che vedere su come indirizzare la "chiamata alla fede" a corpi sociali ormai in condizioni di sonno profondo, che nel loro torpore (e nelle loro preoccupazioni fatte di cose materiali e di come arrivare in fondo alla giornata) hanno completamente dimenticato l'Islam e sono diventati apostati senza accorgersene. Esempio principe di questa corrente è Abdallah Azzam, compagno di Bin Laden in Afghanistan; essa considera l'avanguardismo armato e lo jihad come necessari ed obbligatori per svegliare i musulmani che camminano come sonnambuli in mezzo alla modernità. Azzam di per sé non è wahabita, ma il letteralismo e l'avanguardismo armato che ha mutuato dal primo islamismo sunnita si sono incrociati in Afghanistan alla fine degli anni Ottanta da nozioni wahabite, come quella che sentenzia la morte contro i musulmani che hanno rifiutato l'invocazione al risveglio.
Questa ibridazione si è nutrita di una abbondante produzione letteraria wahabita e della fondazione di scuole e canali televisivi esclusivamente dediti a questo orientamento. In effetti si è trattato di un'autentica "rivoluzione culturale", finanziata dall'Arabia Saudita nel quadro dei suoi tentativi di fare dello wahabismo la corrente principale dell'Islam sunnita.
Questa ibridazione ha un significato importantissimo, che continua a sfuggire agli occhi occidentali: l'Afghanistan fu il capolavoro della politica estera del Presidente Reagan e di Margaret Tatcher. Nessuno ha mai voluto vedere se c'era qualcosa che non andava in questo "successo"; lo ricordo bene da mie esperienze personali di quel periodo. Invece di fermarsi un momento a riflettere, l'Occidente cavalcò l'onda con i suoi alleati sauditi, usando per i propri interessi le forze dell'Islam sunnita in piena deflagrazione.
Anche dopo l'Undici Settembre le cose non sono molto cambiate. Di fatto, alcuni dei più profondi pregiudizi dell'Arabia Saudita -alcuni dei quali risalgono ad antipatie del XVIII secolo, come l'orrore per l'Islam sciita che caratterizzava Abd al Wahhab- sono stati assorbiti dai paesi occidentali, che li hanno considerati qualche cosa di proprio. La concezione antisciita dei sauditi è diventata l'"Asse del male". Saddam Hussein, il colonnello Gheddafi, Hezbollah, il Presidente Assad, l'Iran -che è l'"Asse del Male" vero e proprio- non sono mai stati autentiche minacce per l'Occidente, ma sono stati dei destinatari delle antipatie del Golfo Persico che l'Occidente ha fatto propri.
Le cose sono andate avanti così fino ad oggi. Quando il Principe Bandar ha parlato delle istruzioni fornitegli da Re Abdullah quando lo aveva convocato per dargli l'ordine di liberarsi del Presidente Assad, ha detto che "avrebbe seguito le istruzioni del suo re, anche se questo avesse voluto dire schierare 'qualsiasi figlio di puttana jihadista' avesse potuto trovare". Anche stavolta l'Occidente ha guardato da un'altra parte, in un altro fallimento di sistema, e per anni ed anni ha di fatto aiutato a facilitare il passaggio di combattenti jihadisti in Siria.
Sembra che il Presidente Obama avesse capito qualcosa dei risvolti negativi di questo strabismo quando disse che era necessario ripristinare un equilibrio tra sunniti e sciiti, affermando anche che la cosa di per sé non avrebbe risolto i problemi del Medio Oriente, ma avrebbe potuto drenare un po' di miasmi velenosi. Purtroppo sembra che abbia prevalso l'abitudine a non lasciare la strada vecchia per la nuova, e che Obama si sia lasciato impelagare in una guerra dagli innumerevoli risvolti e che ha il suo centro nella natura dell'Islam sunnita di per sé, e che è esplosa in opposizione ad un'idea: l'idea del califfato sunnita.
Scott Ritter conosce bene il Medio Oriente, ed ha scritto:
"Il punto irrinunciabile, la premessa di [qualsiasi] vittoria [ameriKKKana] contro lo Stato Islamico... è il mettersi nell'ordine di idee che la realtà del califfato è più di un costrutto artificiale dei cosiddetti terroristi. La nozione di califfato è parte vivida del mondo arabo sunnita fin dalla dissoluzione del califfato ottomano dopo la prima guerra mondiale... Il concetto di califfato arabo non è un qualche cosa di nuovo, fabbricato dal nulla dagli jihadisti radicali dello Stato Islamico. Esso esiste invece, nella psicologia degli arabi sunniti della Mesopotamia e del Levante, da più di un secolo. I successi che lo Stato Islamico sta mietendo oggi non sono dovuti al fatto che la sua visione radicale sta diventando popolare su spazi sempre più ampi, ma al fatto che esso sta dando voce ad un sogno che le forze dell'Occidente e i loro alleati delle autocrazie mediorientali hanno affossato per lungo tempo. L'amministrazione Obama ha affermato che le recenti incursioni contro la Siria non sono altro che l'inizio di una campagna più estesa il cui scopo è la sconfitta dello Stato Islamico. Ma le bombe e i missili vanno bene per buttare all'aria i muri e per creare martiri, non sono mai andati bene per sradicare le idee...
Dal momento che non esistono ideologie in grado di competere, è difficile vedere se la nuova guerra contro lo Stato Islamico riuscirà ad affossare il sogno visionario di un califfato arabo sunnita che riempie i cuori e le menti di tanti arabi sunniti che vivono nella Siria e nell'Iraq di oggi. Anzi, il rischio è che questa campagna militare riuscirà soltanto ad alimentare le fiamme del radicalismo sunnita, rafforzandone le fazioni come null'altro potrebbe".
Ecco l'errore strategico fondamentale: pensare -a torto-  che un movimento "terrorista" sunnita possa essere sopraffatto solo dai sunniti. Gli Stati Uniti si sono di nuovo messi il paraocchi e guardano al loro "alleato insostituibile" -che non può far nulla per aiutarli perché ha investito troppo, e in troppi modi, nell'islam sunnita radicale- intanto che mettono i bastoni tra le ruote a coloro che in Siria ed in Iraq stanno combattendo sul serio lo Stato Islamico, e che per lo meno possono meglio prendergli le misure.
Ci vorrebbe un Bismarck ameriKKKano credibile, che prendesse il timone della politica statunitense in questa confusione. Come può pensare l'AmeriKKKa di fare da mediatore in qualche modo, in questo guazzabuglio senza speranza in cui si mescolano complessa teologia sunnita e spinte ideali per il califfato? La verità è che l'Islam sunnita è caduto dal suo muretto, e che a tutti i cavalli e ai soldati del re non sarà facile rimetterlo in pie' [*]. E poi, è un qualche cosa che ameriKKKani ed europei possono davvero fare, il cercare di rimettere insieme i cocci di un Islam sunnita tanto frammentato e disperso?


[*] Riferimenti intraducibili ad una filastrocca.


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