mercoledì 28 maggio 2014

Gli Stati Uniti e i miti della Guerra Fredda. La fine dell'unipolarismo yankee secondo Conflicts Forum



Traduzione da Conflicts Forum.

E' un'estate di rabbia quella che ci attende? Parrebbe di sì. La situazione geopolitica e strategica si mette al brutto, con tensioni che si inaspriscono e arrivano al limite di sicurezza su vari fronti. L'imprevedibilità della volatile e caotica crisi in Ucraina continuerà ad essere il fattore scatenante di un eventuale confronto tra Stati Uniti e Russia; sarebbe un conflitto "non voluto ed inutile", come il Primo Ministro russo Dimitri Medvedev ha notato con amarezza, da filoatlantista convinto.
L'AmeriKKKa vuole isolare e sanzionare la Russia e al tempo stesso sta mostrando ostilità passiva nei confronti della Repubblica Popolare Cinese; funzionari di quel paese sono stati accusati, fra le altre cose, di crimini informatici. Tutto questo alla fine ha fatto sì che Putin si rivolgesse strategicamente verso la Cina. Nonostante l'aprioristico scetticismo occidentale, sembra che le vicende di un'Ucraina in bancarotta, che di per sé sarebbero anche irrilevanti, si riveleranno la goccia che fa traboccare il vaso dell'ordine mondiale postbellico. D'un colpo solo potrebbero portare ad un asse Russia - Cina, ad un'alleanza che si oppone al monopolio statunitense sull'ordine mondiale e sul sistema finanziario; sarebbe la fine per le triangolazioni statunitensi con cui l'AmeriKKKa è stata in grado di mettere una potenza contro l'altra.
L'enorme contratto in materia di gas naturale siglato tra Russia e Cina non cambierà la situazione dell'energia in Europa; il gas per la Cina arriva per lo più dalla Russia orientale, mentre quello destinato all'Europa proviene dalle regioni occidentali del paese. Ad essere significativo per l'Europa è piuttosto il tipo di valuta utilizzata per i contratti, e se la Russia intenda o meno collegare il proprio nuovo ed ipotetico sistema di accordi finanziari al sistema cinese Union Pay che è già in essere. Il secondo istituto bancario della Federazione Russa ha già siglato un accordo con la Bank of China che comporta l'aggiramento del sistema internazionale oggi vigente. Il contratto sul gas stretto da Cina e Russia sembra concretizzare la volontà dei due paesi di allontanarsi da un sistema finanziario dominato dagli Stati Uniti; se così fosse, la portata delle implicazioni sarebe molto vasta.
Il Presidente Obama ha l'istinto e l'intelligenza necessarie ad avvertire il surriscaldamento dell'ordine geopolitico oggi dominante e comprende meglio di molti altri i rischi che questo comporta; il problema è che politicamente si trova sulla difensiva, a causa delle forti pressioni che subisce in patria. Di conseguenza deve mostrare ossequio verso la mitizzata vittoria ameriKKKana nella Guerra Fredda, e lo deve fare a fronte del fatto che le contromisure russe in Crimea ed in Ucraina hanno suscitato negli Stati Uniti reazioni emotivamente forti.
Scrivendo sulla più specifica questione dei negoziati con la Repubblica Islamica dell'Iran, Trita Parsi sottolinea fin dall'inizio che "in quello che è probabilmente il costrutto mitologico centrale della Guerra Fredda, il Presidente John  F. Kennedy si dice abbia rimesso al suo posto Nikita Khruschev durante la crisi dei missili a Cuba e che abbia rifiutato di cedere di un millimetro... costringendolo alla resa... [Nella visione ameriKKKana dei fatti] Khruschev cedette tutto, e Kennedy non cedette niente. In realtà, ovviamente, Kennedy arrivò ad un compromesso. Gli Stati Uniti poterono evitare un confronto nucleare con l'Unione Sovietica soltanto ritirando senza tanto chiasso i loro missili Jupiter dalla Turchia". La concessione fatta da Kennedy rimase segreta per decenni e al momento in cui fu resa nota il mito era diventato così forte e così imponente che la verità non poteva certo scalfirlo. Secondo Leslie Gelb del Council for Foreign Relation "questa falsità è diventata il sottinteso della prassi abituale degli Stati Uniti d'AmeriKKKa da quel momento in poi: non si fanno compromessi, si mettono gli avversari con le spalle al muro e li si costringe alla resa". Obama ed altri miscredenti come Dempsey possono anche prendere in considerazione una visione più sfumata delle potenzialità ameriKKKane, ma dal punto di vista politico sono per forza prigionieri di questa pervasiva mitologia.
Il popolo russo ha di questa fondamentale crisi dei missili a Cuba una visione tutta sua, e molto differente. I russi non credono affatto che l'URSS abbia capitolato, né all'epoca della crisi dei missili né in altre occasioni in tutto il tempo che è durata la Guerra Fredda. La maggior parte dei russi non crede di esser stata battuta dai superiori meriti dell'AmeriKKKa e del suo modello sociale (si veda questo nostro commento). Come nel primo dopoguerra i tedeschi incolparono di tutto gli accordi di Versailles, così i russi provano risentimento verso la situazione venutasi a creare dopo la Guerra Fredda e verso il fatto di esser stati trattati come un popolo sconfitto.
L'esperto francese Philippe Grasset ha correttamente notato che con i dovuti distinguo la stessa cosa si può dire della Cina. Secondo la sua opinione in Cina "si vive la sensazione di dover affrontare tensioni antagonistiche cui non è possibile resistere, e che né la Cina né la Russia siano in possesso di qualche soluzione che possa mitigarne gli effetti. Sa Iddio se cinesi e russi non farebbero di tutto pur di evitare il confronto. Ma nulla, assolutamente nulla pare aiutarli in questo".
Pare che le minacce che la Russia deve affrontare oggi abbiano spinto all'azione entrambi i paesi: da una parte siamo arrivati all'accordo trentennale sul gas, tante volte rinviato; dall'altra parte abbiamo il generale Fang, che in maniera del tutto inusuale per un funzionario cinese (per giunta spesso ospite a Washington) parla fuori dai denti per condannare il coinvolgimento statunitense nella mediazione sulle dispute territoriali nel Mar Cinese meridionale, dicendo con fermezza a Washington "Noi [cinesi] non combiniamo guai. Non siamo noi a crearne. Ma se del caso, non ci fanno neanche paura". Tutto questo ha indotto Forbes a citare alcune altre analisi condotte da fonti ben informate, e a scrivere che "Sta nascendo un'alleanza tra Russia e Cina; per l'Occidente sarà un disastro".
"Negli ultimi due decenni i liberali russi non hanno fatto che ripetere ai loro interlocutori occidentali che fare troppe pressioni sulla Russia o ignorare i suoi interessi vitali avrebbero spinto Mosca a stringere maggiormente le proprie relazioni con la Cina", scrive Dimitri Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, aggiungendo la constatazione che tutti questi avvertimenti sono stati ignorati. "[Adesso] alle prese con le pressioni geopolitiche a guida statunitense in Europa Orienale e nell'est asiatico, è probabile che Russia e Cina finiranno per cooperare ancora più strettamente... a trarne benefici sarà la Cina, ma anche la Russia avrà la possibilità di sottrarsi alla pressione geopolitica statunitense, compensare il mutato orientamento energetico europeo, sviluppare la Siberia e l'Estremo Oriente russo e costruire legami con la regione Asia-Pacifico. I liberali russi che sono sopravvissuti agli anni Novanta [i filoatlantisti] si faranno le ultime risate prima di declinare definitivamente."
I legami con la situazione in Medio Oriente stanno proprio qui, nelle ultime amare risate dei liberali in via di estinzione. Anche in Medio Oriente infatti l'estate si annuncia lunga. E calda. L'amministrazione statunitense consentirà l'invio in Siria di ancora più armi, anche se non crede che in questo modo raggiungerà l'obiettivo che si era prefissa, ovvero la sconfitta dei ribelli jihadisti takfiri. Il trovare una soluzione purchessia alla crisi siriana nel suo complesso è argomento di cui negli USA non si parla neanche più. E destinare altre armi a quel teatro è tutto quello che si intende fare per spuntare un po' le critiche di chi, dal fronte interno, accusa l'AmeriKKKa di essersi mostrata debole con la Siria. Questa "debolezza" mal si accorda con il mito dei tempi della Guerra Fredda, con l'AmeriKKKa che "pretendeva ed otteneva".
La corretta comprensione della situazione da parte delle alte sfere si riflette invece con maggiore chiarezza nell'impegno che essa dedica a quella che adesso è una priorità collaterale: far sì che l'esercito e le istituzioni siriane rimangano intatte e funzionanti.  Questo ci fa capire che i responsabili della linea politica statunitense sono dell'idea che solo l'Esercito Arabo Siriano possa sconfiggere gli jihadisti -cosa che sta effettivamente succedendo- e che mandare altre armi ai "moderati" serve soltanto ai fini della manfrina politica, nonostante la spettacolosa quantità di sofferenze autentiche che esse potranno causare al popolo siriano. I "moderati" della Siria avranno avuto tutte le ragioni di comportarsi con sempre maggiore cinismo, prima di esser fatti sparire come "perdite collaterali" all'interno del nuovo e più grande piano messo in piedi dagli USA per sconfiggere gli jihadisti.
Nel caso dei negoziati tra Iran e "cinque più uno" ci sono alcune similitudini con l'atteggiamento che Russia e Cina hanno adottato per affrontare la "prassi abituale" degli Stati Uniti, ma anche alcune differenze. Anche qui la maggior parte delle cose fa pensare all'approssimarsi di un'estate di rabbia, ed anche qui è verosimile che si arrivi ad un riallineamento strategico; anzi, ci sono riallineamenti già in atto, a volerla dire tutta. In Iran si pensa in linea generale che quanto più a lungo dureranno le tensioni in Ucraina, tanto più la crisi si rivelerà un vantaggio per l'Iran e per i suoi interessi.
A Washington, invece, in tanti invece leggono i fatti in modo opposto. Ed è anche ovvio. La crisi in Ucraina, ovvero l'isolamento della Russia, costituisce per l'Occidente l'occasione per allontanare l'Iran dall'orbita russa e quindi per ampliare e approfondire la condizione di "isolamento" della Russia.
Questo "isolamento" della Russia, dato per scontato, è più un desiderio che un dato di fatto; la concezione sbagliata che lo sottende, e che vede nell'Ucraina una "opportunità" di influire geostrategicamente sull'Iran rappresenta un'altra mina destinata a deflagrare in estate.
Quello che valeva per la Russia, nel mito in cui Khrushev capitolava senza alcuna contropartita, oggi vale per l'Iran. Come scrive Parsi, "al giorno d'oggi è stata messa in cantiere l'edificazione di un altro mito altrettanto distruttivo". Questo mito afferma che la morsa delle sanzioni ha messo in ginocchio l'Iran costringendolo ad accorrere al tavolo dei negoziati per mendicare un po' di misericordia. In questa narrativa i progressi compiuti nei colloqui sul nucleare vengono attribuiti alle pressioni economiche senza precedenti esercitate dall'amministrazione Obama, che di fatto hanno espulso l'Iran dal sistema finanziario internazionale. Come JFK prima di lui, Obama con l'Iran non è sceso a compromessi. Ed ecco nuovamente soddisfatto il mito [che caratterizza la prassi ameriKKKana]". Lo scritto di Parsi prosegue spiegando per esteso come mai il mito delle sanzioni che avrebbero costretto l'Iran alla trattativa è privo di fondamento.
La narrativa ameriKKKana non intende nulla che non sia l'aver "costretto alla resa" i politici iraniani, e aver ridotto gli iraniani al rango di "popolo sconfitto". E forse su questo punto è stata aiutata da certi iraniani in buona fede, che magari volevano rendersi utili ma che hanno finito per provocare in ultima analisi il fallimento dei colloqui ed anche della politica che volevano portare avanti.
Esiste una visione dei fatti portata avanti dai liberali iraniani, che ha avuto vasta eco negli Stati Uniti e soprattutto in Europa. Secondo questa prospettiva, a dispetto delle frodi elettorali subite nel 2009 il campo riformista sarebbe stato in grado di realizzare un nutrito ritorno sulla scena soprattutto grazie ad un inatteso colpo di fortuna. I conservatori si sarebbero impegnati in massa in un "voto strategico" malamente congegnato, una strategia di voti incrociati che avrebbe finito per ritorcersi contro di loro. In altre parole, i riformisti vengono presentati come "verdi", filooccidentali, pragmatici in campo economico... gente con cui l'Occidente deve per forza arrivare ad un accordo. A loro stesso modo di vedere è l'Occidente ad avere interesse ad accordarsi, perché un negoziato sul nucleare coronato da successo permetterebbe ai filoatlantisti di prendere il potere a Tehran e di rimanere insediati per una decina d'anni o giù di lì.
A dir la verità molti di quelli che avanzano simili pretese e che hanno di sicuro entrature a Tehran sono in buona fede, e credono che comportarsi secondo questa linea permetterà all'Iran di stringere quegli accordi che in ultimo porteranno alla fine delle sanzioni, e permetteranno a loro e ai loro colleghi di adottare stili di vita migliori e più cosmopoliti. Ma i difetti di questa narrativa sono evidenti: i dati su cui essa fa affidamento per difendere la propria tesi di una "riscossa strategica dei riformisti" (i sondaggi dell'Università di Tehran) arrivano dallo stesso affidabile istituto di sondaggistica che aveva a suo tempo dimostrato che Ahmadinejad aveva vinto le elezioni a buon diritto e senza frodi.
Soprattutto, cosa ben più grave, questa narrativa sta in piedi perché polarizza a forza la politica iraniana in due campi contrapposti, confondendo i Verdi (gravemente screditati dopo il 2009) con i Riformisti. I Riformisti di oggi, per la maggior parte, non sono Verdi. I Riformisti comprendono uno spettro molto più ampio di orientamenti politici e di correnti diverse, e non sono affatto di inclinazione filoatlantista, come potrebbe suggerire la visione dei fatti che considera Rohani come il frutto del "compimento del percorso iniziato nel 2009". In concreto gli stessi sondaggi che si usano per mostrare la vittoria di Rohani sui conservatori mostrano anche -in modo più significativo- il suo ottenere sostegno dai Principalisti, in misura sempre più ampia man mano che la data delle elezioni si avvicinava. Il Presidente Rohani non è un riformista; ha ottenuto un sincero ed ampio sostegno da ogni parte. L'affermazione che la sua ascesa nasce dall'operato della dissidenza verde del 2009 come se ne fosse una conseguenza ha alla base un'idea troppo polarizzata delle forze politiche in campo, rischia di causare mala informazione, e dunque di suscitare mal riposta fiducia. Gli osservatori ben informati possono notare per conto proprio che il governo attualmente in carica in Iran non nasce dal movimento Verde: sostenerlo significa soltanto esacerbare i sospetti di doppiezza.
La narrativa "liberale", in poche parole, è quella del "per favore, aiutateci ad aiutarvi"; proprio come quella che Al Fatah ha usato per tanto tempo con i sionisti. A preoccupare maggiormente dovrebbe essere il fatto che a dispetto delle buone intenzioni che la animano essa finisce col dare agli interlocutori occidentali l'impressione che i negoziatori iraniani stiano disperatamente cercando di arrivare ad uno straccio di accordo. Il pericolo in questo caso sta nel mito che sostiene che "aver messo gli iraniani con le spalle al muro" fino a costringerli a negoziare possa trarre ulteriore vantaggio dal considerarli deboli e disperati. Da questo punto di vista non c'è da meravigliarsi del fatto che gli ameriKKKani stiano irrigidendo le loro posizioni.  In realtà è più facile che ulteriore intransigenza verso l'Iran si riveli un segno di debolezza più di quanto non lo sarebbe qualche "comprensiva" concessione da parte degli Stati Uniti. In questo modo, la questione del "non consentire all'Iran di raggiungere in breve tempo la potenzialità di fabbricare un ordigno nucleare" cambierà gradatamente, come sostengono al New York Times, fino a diventare una posizione in cui si concede all'Iran solo un arricchimento di portata simbolica, sufficiente perché i negoziatori possano accampare il (falso) merito di aver tutelato il diritto dell'Iran all'energia nucleare, ma non sufficiente a far sì che la produzione energetica corrisponda alle necessità del sistema industriale del paese.
Tutto questo non funzionerà, punto e basta. Non porterà ad una soluzione perché tutto questo è incompatibile con l'arricchimento su scala industriale di cui l'Iran ha bisogno per la produzione di elettricità, dunque i colloqui non falliranno perché ci sono i conservatori che si oppongono per principio a qualsiasi negoziato con gli USA. Chi si oppone ai negoziati in corso non rifiuta di principio le trattative con l'AmeriKKKa, ma rifiuta di trattare sulla base dei termini e dell'orientamento di fondo che i colloqui hanno avuto fino ad oggi (cfr. qui).
Da questa ricostruzione manca un elemento. La cosa non stupisce, perché esso resta nascosto dalla visione che abbiamo analizzato nei dettagli. Come i russi che invocavano migliori relazioni con l'AmeriKKKa e l'Europa hanno visto man mano mancarsi la terra sotto i piedi, fino a trovarsi ai margini della scena politica russa con il trascorrere degli anni, anche in Iran (e in Cina) qualcosa di paragonabile sta spingendo gli iraniani in generale a vedere di buon occhio il fatto di avere legami strategici più stretti con la Russia e con la Cina. Comune ai tre paesi è l'incapacità di trovare il modo di evitare di fare da bersaglio ad un'AmeriKKKa che sta tentando senza soste di riattualizzare i miti della Guerra Fredda, man mano che diventa sempre più chiaro come i filoatlantisti e i liberali stiano venendo indeboliti e marginalizzati in tutto il mondo non occidentale e nella stessa Russia.
Ai russi non interessa più coltivare migliori rapporti con gli Stati Uniti. Ecco per quale motivo la maggior parte degli iraniani pensa che la situazione in Ucraina torni favorevole ai loro interessi: sanno che le conseguenze di questa crisi si tradurranno in un più solido sostegno ed in legami  strategici più stretti con la Russia e con la Cina. Esiste già qualche segnale che indica come gli eventi stiano già spingendo Russia e Cina a sostenere in misura maggiore l'Iran e le sue posizioni: RIA Novosti ad esempio scrive che in Russia si ha in progetto la costruzione di altri otto reattori nucleari in Iran.
E se i colloqui dovessero fallire, sarà l'Iran ad esserne incolpato? Le sanzioni rimarranno in vigore così come sono? La risposta, quasi certa, è "no" in entrambi i casi anche se ovviamente Stati Uniti ed Europa incolperanno l'Iran di tutto. In ogni caso, un completo fallimento dei colloqui influenzerà profondamente l'atteggiamento del Medio Oriente nei confronti dell'AmeriKKKa e del "cinque più uno" e contribuirà ad ancorare l'Iran, la Siria ed anche altri paesi a qualunque polo emergente che sia in grado di guidare la lotta contro l'unipolarismo AmeriKKKano che sta cercando di ripetere all'infinito i miti della Guerra Fredda. 

martedì 27 maggio 2014

Firenze, maggio 2014: i risultati elettorali consegnano la città a i'ddegrado e all'insihurézza.


La famosa immagine che ritrae Francesco Torselli nella stazione di St. Pancras della metro londinese.
Bobby Sands si sta rivoltando nella tomba.

I risultati elettorali hanno segnato una débacle completa per l'occidentalame cittadino. Negli organi elettivi è ridotto ad una presenza vessillare e gli apologeti di Codreanu sono stati riconsegnati ai sottoscala di rispettiva competenza. Per fortuna esiste un limite anche all'impietosità dei numeri e gli "occidentalisti" non dovranno peregrinare per la città alla ricerca di un sottoscala sufficientemente capiente da consentire un'ospitalità confortevole per Achille Totaro, che è grasso e di Scandicci e che tornerà, non si sa da quanti rimpianto, a scaldare uno scranno del consiglio comunale.
Un altro elegantone specializzato nel cambio di casacche ha inaugurato il mandato rimediando una querela prima ancora che la sua elezione venisse formalizzata. Nihil sub sole novum.

lunedì 26 maggio 2014

Firenze: una domenica di maggio n'i'ddegrado e nell'insihurézza


Via Guelfa.
Non imbrattate i muri!
Il degrado è lavorare una vita.
Vernice spray in colori primari e scritte dotate di senso, senza tag da scimmie yankee.
Nel paese dove mangiano maccheroni il raziocinio va cercato sui muri.

sabato 24 maggio 2014

Achille Totaro, che è grasso e di Scandicci, ha chiuso in piazza Strozzi la sua campagna elettorale


Il Libro dei Ceffi assolve eccezionalmente bene al proprio compito di autoschedatura per mediocri, consentendo alle persone normali di trarre conclusioni ora sprezzanti, ora salaci.
Gronda letteralmente di roba come questa, pubblicatavi nel caso specifico da qualcuno che si credeva di fare un favore ad Achille Totaro intento a fare il giro dell'isolato "senza scorta" la notte del 24 maggio 2014. Le "idee" dei partiti in cui Totaro ha fatto carriera hanno sempre goduto a Firenze di una violenta impopolarità, tale da non consigliare ai loro attivisti di esporsi oltre le due o tre mescite costose, l'albergo tagliato a misura delle necessità "occidentaliste" e la centralissima piazza Strozzi, ricca di vie di fuga e all'occorrenza difendibile dalla gendarmeria con pochi cordoni.
A dargli una mano a far gente un altro tizio anche lui di Scandicci, che però non è grasso; la foto deve essere stata scattata poco prima o poco dopo l'iniziativa, che stavolta non ha contemplato l'utilizzo di angurie e probabilmente -almeno coram populo- nemmeno di femmine con pochi vestiti addosso.

Tempo fa Achille Totaro, già in carica nella camera bassa, si è candidato ad una carica amministrativa e contemporaneamente, già che c'era, ad una carica europea.
Lo abbiamo sempre punzecchiato evidenziando le uniche caratteristiche notevoli del personaggio, che sono quella di essere grasso e quella di essere di Scandicci: a quanto pare, abbiamo sempre trascurato la sua capacità di bilocazione.

Achille Totaro, si diceva, è grasso e di Scandicci.
La foto rende piena giustizia soltanto alla prima caratteristica.
Per rimediare, qualcuno ha pensato di mettere in mano a questo profondo conoscitore della storia contemporanea un ridicolo arnese fatto di palloncini.
Oltretutto il 24 maggio non è una data qualsiasi, almeno nella storia dello stato che occupa la penisola italana. Probabilmente troppo occupato con i palloncini, Achille Totaro può aver dimenticato di fornire ai presenti un ulteriore saggio della propria competenza storiografica.

mercoledì 21 maggio 2014

Barack Obama e Vladimir Putin sulla scacchiera ucraina



Traduzione da Conflicts Forum.

In un suo recente scritto il prof. Stephen Walt notava dispiaciuto che forse una delle peggiori previsioni mai fatte da Bill Clinton è in una sua osservazione del 1992, in cui affermava che "in un mondo in cui prevale la libertà, e non la tirannia, il calcolo cinico basato su politiche di pura potenza non funziona; si adatta male ai tempi nuovi".
Walt dice che stabilire che non è più tempo di fare politiche di potenza e che si sta avviando l'istituzionalizzazione di un generoso ordine mondiale globalizzato e guidato dal libero mercato in cui sarà sempre maggiore la partecipazione dal basso negli USA è stato per molto tempo una specie di dogma. Per trovarne le origini bisogna risalire agli anni precedenti la seconda guerra mondiale, all'epoca in cui un gruppetto di esperti del Conuncil for Foreign Relations iniziò a sostenere che questo assunto avrebbe costituito il leitmotiv che avrebbe fatto la differenza tra l'ascesa dell'AmeriKKKa al ruolo di potenza egemone (qualcosa di fermamente voluto anche all'epoca) rispetto al concetto abituale di imperialismo ottocentesco, incarnato dalla metafora della corazzata. L'idea si rifaceva al retaggio dei Padri Pellegrini (che erano protestanti), l'idea di un'AmeriKKKa come "Nuova Gerusalemme" che avrebbe redento il mondo. Come scrive Walt, più pragmaticamente si sosteneva che "il dominio degli Stati Uniti aveva reso impossibili per definizione rivalità geopolitiche di una qualche rilevanza: come potevamo mettere in atto una politica di potenza quando di grandi potenze ne era rimasta solo una?"
Questa concezione poneva gli Stati Uniti al centro di un ordine mondiale scontatamente quieto e metteva in un'ottica alquanto positiva il ruolo mondiale dell'AmeriKKKa. Permetteva di fare propria una visione ottimistica delle questioni internazionali, in cui una cooperazione da cui tutti traevano beneficio e che tutti conduceva verso "la fine della Storia" non rappresentava soltanto un obbligo per tutti gli styati sovrani, ma imponeva anche a chi vi aderiva di far proprio un concetto del "Bene" limitato e polarizzato culturalmente, che aveva al centro il concetto di "Assoluto" inteso come "Verità". In fin dei conti, proprio quest'ultimo aspetto ha portato allo sfascio tutta la concezione, perché ha messo in mano ai sostenitori liberali dell'interventismo dei pretesti per colpire i meno potenti "stati canaglia" ed i loro capi politici, che ai loro occhi erano diventati "nemici del Bene". Secondo Walt, "anche l'ascesa della Repubblica Popolare Cinese non avrebbe costituito un problema; in questo nuovo mondo globalizzato, un'AmeriKKKa potente ma benevola ne avrebbe sostenuto la crescita, e poco per volta avrebbe introdotto Pechino ad un ordine mondiale regolato da istituzioni progettate e il più delle volte nate in AmeriKKKa" (il corsivo è di Conflicts Forum).
Dopo i recenti avvenimenti in Ucraina questa concezione, profondamente radicata in AmeriKKKa, si è senza dubbio andata a schiantare contro un ostacolo inamovibile: la constatazione del fatto puro e semplice che delle politiche di potenza non si è mai fatto davvero a meno e che esse sono sempre presenti, appena sotto la superficie. Il risultato della guerra in Iraq, la determinazione della Repubblica Islamica dell'Iran ad opporre resistenza sulla questione del nucleare, il fallimento in Afghanistan, la sfida della Cina hanno rappresentato tutti segnali del fatto che la situazione geopolitica era cambiata, perché gli stati sovrani hanno rivolto le loro politiche di potenza contro gli USA. Proprio l'Ucraina infine ha finito per spiccare come il simbolo personificato di uno scontro fra concezioni diverse.
Una delle conseguenze più ovvie è stato il fatto che due narrative diverse su ciò che l'Ucraina rappresenta ( quella degli USA e quella della Russia) non concordano in nessun punto. Nel primo caso, abbiamo una concezione in cui gli eventi storici convergono progressivamente su determinati valori; l'altra invece è centrata sulla riconquista della sovranità e sul diretto corollario di questa, ovvero l'insistenza sul diritto che ogni nazione ha di vivere secondo la propria strada, e in fin dei conti di difendere il proprio "modo di essere" ad oltranza. Non c'è dubbio che ci troviamo oggi in un periodo in cui sempre più persone vogliono vivere, ed essere governate, all'interno di istituzioni che riflettono il loro modo di intendere la vita.
Cosa significa questo per la crisi in Ucraina, e quale politica estera possiamo attenderci che gli Stati Uniti adotteranno in Medio Oriente?
Il punto maggiormente dibattuto, e la causa verosimile della deriva e del cattivo funzionamento della politica estera degli Stati Uniti, è dato dal fatto che il Presidente Obama pare capire anche troppo bene il significato delle crude parole che va diffondendo: vede con i suoi occhi, e capisce perfettamente, che l'idea di una "AmeriKKKa come benevola potenza egemone del mondo" sta incontrando reazioni ostili e limiti sempre più stringenti. Obama è consapevole di questo, ma resta intrappolato alla concezione di fondo, come risulta evidente dal discorso che ha pronunciato a Bruxelles quando è esplosa la crisi in Ucraina, in cui si è rifatto all'idea di un mondo in cammino verso un ordine mondiale positivo.
Obama stesso però manda anche qualche segnale che fa intendere come egli stesso non ci creda veramente perché in altri contesti ha contraddetto quanto sostenuto a Bruxelles; in alcune interviste ha detto chiaramente che, come vertice politico dell'AmeriKKKa, egli non dispone di alcun joystick che gli permetta di controllare gli eventi. Detto in altri termini, questo famoso "ordine positivo" non può essere instaurato a comando in nessun modo e la miglior cosa che si possa fare per quanto riguarda il Medio Oriente è lasciarsi portare dalla corrente, sperando che essa imbocchi prima o poi una direzione più favorevole. Il suo consigliere per la comunicazione strategica nel campo della sicurezza nazionale ha detto che il vero obiettivo di Obama in politica estera è quello di riuscire a spogliare la politica estera statunitense dalle sue "narrative sclerotizzate".
Il Presidente Obama è anche a conoscenza del fatto, suggerito da tutti i sondaggi, che il pubblico ameriKKKano è istintivamente consapevole di questo, e che è d'accordo con lui nell'opporsi a politiche interventiste.Invece gli interventisti repubblicani e dell'ala liberale del partito democratico, quelli dei think tank e i lobbysti di tutti i generi, da quelli dell'industria bellica a quelli di Wall Street, per tacere dei neo-con, questa consapevolezza non ce l'hanno, e tanto basti. Stanno mettendo l'assedio al Presidente da ogni lato, perché si dimostri più intransigente e più aggressivo, specialmente verso la Russia e verso il Presidente Putin che è il "nemico del bene" per antonomasia.
Pare che il Presidente Obama abbia reagito a queste forti pressioni e agli attacchi sui fallimenti della sua politica estera (Siria, palestinesi e stato sionista, la sua "mal diretta" iniziativa verso l'Iran) cedendo ai falchi un po' di terreno tattico, mentre al tempo stesso stabiliva come propria linea rossa (senza mai dirlo apertamente) l'evitare l'intervento militare diretto in ognuna di queste circostanze.
In questo modo, ha potuto rispondere ai detrattori: "Bene, cosa volete che faccia? Volete che mi mostri più intransigente e più aggressivo?  Pare che dall'Iraq non abbiate imparato nulla; visto che anche voi come me siete contrari all'intervento diretto in queste aree di crisi, cosa pensate che debba fare, che già non stia facendo?".
In poche parole, Obama sta dicendo ai suoi detrattori che il problema è proprio il fatto che loro siano rimasti attaccati alla propensione per politiche di potrenza da XIX secolo, come se esse potessero rappresentare una soluzione per le complesse questioni di oggi. In Medio Oriente, assistiamo oggi alle conseguenze della tattica presidenziale basata sul cedere terreno, messa in atto per tutelare il fine strategico ultimo, che è quello di non dare il via a qualche nuova guerra: si ha una escalation su tutti i fronti, dal momento che Obama lascia perdere le questioni che per i falchi degli ambienti governativi hanno la massima importanza in modo da poter sopravvivere alle pressioni che vengono di momento in momento esercitate su di lui.
Obama sa anche che il suo defilarsi tatticamente in modo da tutelare l'obiettivo strategico del non intraprendere gli interventi militari diretti invocati dai suoi oppositori sta comunque lasciando campo libero agli attori regionali (lo stato sionista, l'Arabia Saudita...) e che determinati elementi interni al sistema ameriKKKano stanno cercando di ampliare questi "spazi limitati" estendendone di volta in volta i limiti, il che significa ad esempio armi per gli insorti siriani e loro maggior riconoscimento a Washington.
Quest'anno ci sono le elezioni di metà mandato, e per i democratici il senato è a rischio. I repubblicani stanno bersagliando il Presidente per quella che considerano una politica estera remissiva, e con loro ci sono la signora Clinton come probabile candidato democratico per il 2016, e anche paesi alleati degli Stati Uniti come lo stato sionista e l'Arabia Saudita.
Sembrerebbe che tutti gli iniziali obiettivi politici di Obama (uno stato palestinese, ripartire da zero con i rapporti con la Russia, l'accordo per il nucleare iraniano) adesso siano per lui politicamente irraggiungibili e che la conclusione più probabile sia che il Presidente si trovi costretto a cedere ancora più terreno a chi lo attacca; Obama deve stare sulla difensiva mentre i falchi continuano a pretendere ancora più sostegno per gli insorti siriani e ad insistere sul fatto che per l'Iran deve essere fisicamente impossibile arrivare a disporre del materiale necessario ad un ordigno nucleare.  In breve, per i prossimi mesi il violento conflitto siriano continuerà ad essere alimentato anziché no. E il fatto che negli Stati Uniti si insista in misura sempre maggiore sul fatto che l'Iran non deve essere fisicamente in grado di arrivare a tanto si dimostrerà probabilmente incompatibile con il desiderio iraniano di alimentare le industrie nazionali con il nucleare.
Mercoledi Obama ha detto ai suoi sostenitori nel corso di un pranzo per la raccolta di fondi a favore del partito democraticoche l'inquietudine e la frustrazione che serpeggiano per il paese stanno alimentando atteggiamenti cinici nei confronti del governo; la cosa potrebbe avere ripercussioni negative sul risultato elettorale del partito democratico alle elezioni del Congresso previste per novembre. Secondo Politico, "Obama ha detto ai suoi sostenitori ricchi che è preoccupato per le elezioni, e che gli serve che il senato resti a maggioranza democratica". Non c'è dubbio che mlti ameriKKKani stiano provando la sensazione di trovarsi alla deriva, e che la posizione dell'AmeriKKKa nel mondo sia divenuta evanescente. Obama mette in guardia sul fatto che questo senso di frustrazione, montato dai mass media e dai suoi oppositori (compresi quelli che si trovano all'interno della sua stessa compagine governativa) stanno diventando una minaccia per le elezioni di metà mandato.
Ed è questo il punto in cui la questione dell'Ucraina si rivela  importante. James Traub in un articolo intitolato Il nemico che stavamo aspettando scrive: "...Insomma, Putin ha riagguantato indietro il governo [rispetto alla prassi di impegno seguita da Obama] ricacciandolo nel mondo dove le aggressioni esistono... Putin, questo è vero, ha stabilito lui i termini della contesa... Nondimeno, io sospetto che né l'autocompiacimento di Putin né l'arruffar di penne del senatore John McCain durerranno a lungo. Putin è proprio l'impiccio che Obama stava aspettando".
Il fatto è che chi detta la linea politica a Mosca comprende bene il modo di pensare ameriKKKano, nonostante le rispettive visioni non abbiano alcun punto in comune, e probabilmente lo comprende assai meglio di quanto non si verifichi a ruoli rovesciati. Il Presidente Putin non sta facendo la voce grossa a tu per tu con gli USA secondo schemi ormai datati. Putin si sta muovendo in uno scenario multidimensionale, su una scacchiera che è quella del mondo multipolare. Putin ha in mente la Cina, ha in mente i BRICS, ha in mente i paesi non allineati, il Medio Oriente e l'Eurasia.
Le priorità di Obama forse sono cambiate in considerazione dei suoi timori sul senso di frustrazione degli ameriKKKani e per l'impatto che potrebbe avere per i democratici alle elezioni di metà mandato.
Dapprincipio l'aiuto di Putin, sotto traccia e non riconosciuto, era importante perché le politiche mediorientali di Obama potessero funzionare: ci sono stati l'accordo per le armi chimiche siriane, i negoziati con l'Iran, eccetera. Ora però sembra che tutto sia passato in secondo piano rispetto alle preoccupazioni di Obama per gli affari interni e per le elezioni statunitensi ormai prossime, dato che secondo il vecchio adagio la politica estera degli Stati Uniti è per loro una questione di politica interna. Putin oggi potrebbe davvero diventare "l'impiccio che Obama stava aspettando", inteso come occasione per salvare i democratici da un'ignominiosa sconfitta alle elezioni di metà mandato e per dare in pasto agli elettori ameriKKKani una di quelle faccende all'antica fatte di bianco e di nero in cui c'è di mezzo un nemico storico. Almeno momentaneamente, puntellerebbe il loro orgoglio nazionale.
La nuova iniziativa del Presidente Putin sui colloqui per l'Ucraina, volta a posticipare i referendum, viene da uno che ha capito alla perfezione in quale nassa  Obama vorrebbe rinchiuderlo (Il nemico che stavamo aspettando, secondo Traub) e che ne sta cercando l'uscita? Sembra probabile che la crisi Ucraina sarà ancora lunga, almeno fino a quando le elezioni di metà mandato -come dicono gli ameriKKKani tra loro- non avranno fatto luce su come si schiera l'AmeriKKKa in questi tempi nuovi. I dividendi politici della questione Ucraina, e non è affatto detto che ve ne saranno, andranno a vantaggio di chi si rivelerà lo scacchista migliore tra Obama e Putin. In Medio Oriente la partita sarà seguita con attenzione, ma quanto a scommettere si scommetterà probabilmente su Putin.

martedì 20 maggio 2014

Rosticceria Pizzeria Mare e Monti, Firenze.


Con la diffusione delle comunicazioni telematiche le cassette della posta sono state per lo più declassate a ricettacoli di pubblicità in cui può capitare di trovare, al massimo, qualche ingiunzione di pagamento.
La Rosticceria Pizzeria Mare e Monti si trova da qualche parte a Firenze e ha fatto cacciare -non richiesta- nelle altrui cassette postali un volantino in cui si presenta con lo slogan "chi mangia toscano mangia sano".
Il menu si basa su hamburger, pizza, kebab e sedicente cibo indiano.

sabato 17 maggio 2014

Emma Marrone, vero orgoglio nazionale.



"Com'è che si chiama quella lì...? Marrone?! Oh poveraccia... qui a Firenze, quando si pensa al marrone si pensa a una cosa soltanto..."

Considerazione di un realista.

Dunque: pare incredibile, ma esistono persone che hanno la televisione, la tengono accesa e prestano persino attenzione a quello che ne cola[1].
Poi ne parlano in giro.
E ascoltandole si viene a sapere dell'esistenza di intraprese curiosissime, come varie specie di spettacolini itineranti dove gente che fa finta di suonare si fa riprendere mentre circonda gente che fa finta di cantare.
La candidatura non è soggetta alla dimostrazione di competenze particolari perché pare esista una torma di "professionisti" che va dalle maestre di canto ai parrucchieri (per maggiore chiarezza si fanno chiamare coach e hair stylist) capace di mettere chicchessia in condizioni di soddisfare le pretese della committenza.
Si viene anche a sapere che nel maggio del 2014 in uno di questi spettacolini con pretese internazionali lo stato che occupa la penisola italiana sarebbe stato rappresentato -in modo che riteniamo assolutamente degno e del tutto confacente- da una sedicente patriota crivellata di tatuaggi.
Costei avrebbe more solito cercato di recuperare in epidermide esposta e spaghettismo nazionalmaccheronesco il terreno franato in altri campi, come la padronanza delle lingue o la pura mancanza di risposte ad interrogativi che chiunque dovrebbe porsi e soprattutto risolvere prima e ancora di alzarsi dal letto ogni mattina.
Si racconta che in capo a un quarto d'ora le abbiano fatto sapere che del suo orgoglio "nazionale", fettuccine e tutto il resto, nessuno aveva voglia di sentir parlare nemmeno in un contesto come quello.
Di Emma Marrone internet restituisce una caterva di foto che non abbiamo alcuna intenzione di utilizzare qui.
Fra i meriti di questa poco vestita ci sarebbe un disco intero lungo una quarantina di minuti.
Si intitola Schiena.
Idiocracy è un film amriki in cui si mostra una distopia futuribile per mostrare l'attualità contemporanea. Ad un certo punto, la voce narrante spiega che
Il film più visto in assoluto si intitolava Culo. E non vi si vedeva altro per novanta minuti. Aveva vinto tutti i premi Oscar quell'anno, incluso quello per la miglior sceneggiatura.

La strada è tracciata, e da un bel po': si tratta solo di aspettare.
Non sarà un'attesa lunga.



[1] Lo stato che occupa la penisola italiana vorrebbe gli si pagassero più di cento euro l'anno per il solo fatto di avere in giro per casa uno di quei cosi.

domenica 11 maggio 2014

Visti da Mosca. Atteggiamento e politica della Russia su Ucraina e Medio Oriente secondo Conflicts Forum



Traduzione da Conflicts Forum.

Dopo cinque giorni passati a Mosca, ecco qualche considerazione sulle prospettive per la Russia. Tanto per cominciare, la Crimea è un discorso chiuso. Ed è chiuso anche il discorso sul federalismo lasco per l'Ucraina, perché politicamente non si pensa sia più una strada praticabile. Sembra che sia fuori questione anche l'idea di una Ucraina intesa nella sua integrità territoriale. Non si discute neanche più sul fatto se Kiev o Mosca abbiano un qualche controllo sugli eventi, nel senso più ampio del termine: entrambe sono ora ostaggio degli eventi, al pare dell'Europa e dell'AmeriKKKa, e di qualsiasi provocazione una moltitudine di attivisti incontrollabili e violenti riuscirà a realizzare.
In sostanza, si pensa che il risultato quasi inevitabile di quanto sta succedendo sarà una specie di secessione dell'Ucraina orientale, una secessione parziale o per incrementi successivi. I meglio informati, a Mosca, si chiedono se a questo si arriverà in modo più o meno violento, sempre relativamente parlando, e se le volenze raggiungeranno o no il livello -il massacro di quanti sono etnicamente russi, o della parte filorussa della società- oltre il quale Putin penserà di non avere altra scelta che intervenire direttamente. Al momento in cui scriviamo, siamo ad un niente da tutto questo: le "iniziative per la sicurezza" intraprese da Kiev sono state dei plateali fallimenti e le perdite sorprendentemente poche, viste le tensioni che ci sono. Sembra che l'esercito ucraino non voglia, non sia in grado, oppure ambo le cose, di soffocare una rivolta fatta da qualche centinaio di uomini armati sostenuti da qualche migliaio di civili senza armi; in questo, però, le cose possono cambiare da un momento all'altro. In giro per i siti internet dell'utenza russa si va sostenendo che insorti filorussi e soldati di leva ucraini non si spareranno addosso a vicenda, nemmeno se venisse loro ordinato di farlo. Sembra inoltre che le due parti abbiano tra loro contatti diretti e regolari, e che sia informalmente sottinteso che nessuno sparerà addosso all'altro. A questo proposito, va detto che abbiamo assistito di persona a qualcosa del genere nell'Afghanistan degli anni Ottanta, tra forze armate sovietiche e Mujaheddin.
Il punto è questo. La maggior parte di quelli con cui abbiamo parlato ha il sospetto che sia interesse di certi soggetti appartenenti agli ambienti in cui si decide la politica estera ameriKKKana (ma non per forza agli ambienti vicini alla presidenza) far sì che si arrivi a costringere la Russia ad intervenire nell'est dell'Ucraina per proteggere i russi dalla violenza, dai disordini o da ambo le cose. Si pensa anche che un intervento russo avvantaggerebbe politicamente il governo di Kiev, assediato e inconcludente. Inoltre, si pensa che certe ex repubbliceh sovietiche che adesso fanno da stati cuscinetto lungo la linea che separa la UE dalla Russia farebbero volentieri qualche dispetto a Mosca, come per rivalersi di antichi torti e per rimarcare una volta di più il loro essersi schierati con Bruxelles e Washington, i portatori della "democrazia" in Europa Orientale.
Pare che a Mosca nessuno abbia davvero voglia di intervenire in Ucraina. Su questo, sono tutti d'accordo a prescindere dall'orientamento politico. Tutti sanno che l'Ucraina è un nido di vipere consapevole di costituire, economicamente perlando, un colossale buco nero. Solo che... è difficile, a Mosca, incontrare qualcuno che non abbia parenti in Ucraina. L'Ucraina non è la Libia: Ucraina significa la famiglia. Se si supera un certo punto e se gli eventi continuano a portare verso la secessione, se la situazione sul terreno dovesse diventare davvero difficile, può darsi che un qualche intervento russo si riveli inevitabile. Allo stesso modo, la signora Tatcher trovò impossibile resistere alle pressioni favorevoli ad un intervento in sostegno dei figli di Sua Maestà nelle Falkland. Mosca sa bene che una mossa del genere si tradurrà in Occidente in un'altra bordata di sdegno.
Ci troviamo ormai decisamente sulla strada di un assetto globale post guerra fredda, col superamento del mondo unipolare. Almeno dal punto di vista russo, per quanto se ne può concludere, non siamo ancora ad una riedizione della guerra fredda; siamo però entrati in un periodo in cui la Russia reagisce con crescente decisione a qualsiasi mossa occidentale che essa ritenga ostile ai suoi interessi fondamentali, con particolare riguardo a quelle interpretabili come minacce ai suoi interessi nel campo della sicurezza. In questo senso, una guerra fredda non è per forza inevitabile. Per esempio, la Russia non ha intrapreso contromosse in Iran, in Siria o in Afghanistan. Putin anzi ha avuto qualche riluttanza a mettere in chiaro il fatto che d'ora in poi, se la Russia tutelerà senz'altro i propri interessi vitali senza alcun riguardo per le pressioni occidentali, per quanto riguarda ogni altra questione rimarrà come d'uso aperta ad ogni iniziativa diplomatica.
Questo significa, tanto per essere chiari, che la diplomazia europea ed ameriKKKana a Mosca viene considerata come una grossa delusione. Nessuno pensa che ci sia posto per la diplomazia perché gli ultimi eventi in Ucraina sono una storia di infrangimenti alla parola data e di rottura degli accordi presi. Nessun dubbio che questo atteggiamento abbia un suo corrispettivo nelle capitali occidentali, ma a Mosca l'atmosfera si sta sensibilmente incupendo, e si sta incupendo velocemente. Persino le frange filoatlantiste, in Russia, sentono che l'Europa non riuscirà a raffreddare le tensioni. I filoatlantisti moscoviti si vedono finire in minoranza con delusione ed amarezza, nel nuovo clima della Russia contemporanea dominato da quanti sono d'accordo con il "recupero della sovranità" in atto.
L'epoca della speranza gorbacioviana di arrivare ad una sorta di pari dignità -o addirittura di partnership- tra Russia e potenze occidentali, iniziata all'indomani della fine della guerra fredda, è definitivamente tramontata. Capire questo significa riflettere sull'esito della guerra fredda, e di come questo esito e le sue conseguenze sono stati diretti. Se ci volgiamo indietro possiamo concludere che il dopo guerra fredda non è stato ben gestito dagli Stati Uniti, che esistono narrative inconciliabili sulla natura della "sconfitta" nella guerra fredda in sé, e se essa sia stata davvero una sconfitta per la Russia.
Sia come sia, il popolo russo è sempre stato trattaco come se fosse uscito dalla guerra fredda sconfitto e psicologicamente a pezzi; come se fossero stati i giapponesi all'indomani delle atomiche statunitensi del 1945. Alla fine della guerra fredda alla Russia fu accordato un brandello di considerazione; i russi, invece, percepirono su di sé la tracotanza del vincitore nei confronti del vinto. Ci furono pochi o punti tentativi di includere la Russia in un consesso di nazioni dotate di pari dignità, quando erano molti i russi che ci speravano. Pochi oserebbero contestare il fatto che le misure economiche cui la Russia fu costretta dopo la guerra fredda non produssero altro che miseria per la maggior parte dei russi. Non era il 1945: la maggior parte dei russi non si è mai sentita sconfitta; alcuni -anzi- non soltanto non si sentirono sconfitti, ma si sentirono e continuano a sentirsi traditi. Al di là del verdetto della storia sulla portata della sconfitta nella guerra fredda, l'esito di essa, l'ordine mondiale che ne è stato conseguenza e il trionfalismo unipolare privo di qualunque freno (visto dalla prospettiva russa) hanno generato un risentimento popolare dello stesso tipo di quello che seguì il trattato di Versailles.
In questo senso, siamo giunti alla fine di un'epoca. E' finito quel post guerra fredda che aveva portato al dominio unipolare ameriKKKano. Oggi sta emergendo la sfida russa all'ordine unipolare, quell'ordine unipolare che a molti occidentali pareva indiscutibile. Versailles fu psicologicamente rifiutata dai tedeschi: i russi stanno rifiutando lo stato di cose presente, almeno per quanto riguarda i loro interessi fondamentali. Il problema è se questo porterà anche alla fine dei rapporti a tre fra Stati Uniti, Russia e Cina che avevano il loro pregio nella complementarità dei tre attori, perché da questi rapporti dipende fortemente la politica estera degli Stati Uniti. Dobbiamo attendere le mosse della Cina perché la risposta a questo problema potrebbe essere centrata sul quanto all'antagonismo tra Russia ed Occidente è consentito spingersi, o fino a che punto esso sarà incoraggiato a farlo. Solo a quel punto potrebbe diventare più chiaro in quanti stanno pensando di chiamarsi da parte rispetto all'ordine mondiale vigente, e di chi si tratti. QUesto vale anche per il sistema finanziario, controllato dalla Federal Reserve.
Ora come ora il tempo e vli eventi impongono alla Russia di fare poco altro in Ucraina, oltre all'assistere e all'attendere. L'idea prevalente in Russia è che in Ucraina ci si debba aspettare qualche provocazione, da parte di uno qualsiasi degli attori presenti che ha interesse a provocare un intervento russo da cui scaturirebbe una "guerra limitata" politicamente utile da molti punti di vista: restituire agli Stati Uniti il loro ruolo di guida in Europa, fornire alla NATO una nuova ragione di esistere ed un nuovo obiettivo, e allo stesso modo rafforzare la posizione di alcuni paesi freschi membri della UE, come la Polonia. La Russia è arrivata alla conclusione che la seconda tornata di sanzioni econmiche ha rivelato più che altro la scarsa volontà politica e finanziaria -o forse anche la vulnerabilità- di un certo numero di alleati europei degli Stati uniti. In Russia nessuno ha dubbi sul fatto che gli Stati Uniti siano legati mani e piedi alla logica della escalation: il governo ameriKKKano non fa che parlare di una "nuova strategia di contenimento" e del come demonizzare la Russia dipingendola come uno stato-paria, checché faccia intendere il Presidente Obama attraverso gli scritti di David Ignatius. Il momento è grave: tutti a Mosca lo capiscono, e le posizioni vanno indurendosi da ambo le parti.
In Russia le sanzioni non destano alcuna preoccupazione: anzi, tra chi a Mosca riveste posizioni di potere c'è chi le considererebbe una buona occasione per evidenziare come gli Stati Uniti utilizzino il sistema internazionale dei pagamenti interbancari a propri esclusivi fini. E neppure ci si preoccupa che oggi gli Stati Uniti possano ordire un crollo nel prezzo del petrolio per indebolire economicamente il paese, come fecero ai tempi dell'URSS. La Russia, se mai, risente in misura maggiore dal fatto che gli occidentali abbiano fatto causa comune con i sunniti radicali, diventati la nuova arma geostrategica dell'Occidente.
Abbiamo dunque assistito ad iniziative diplomatiche russe nei confronti dell'Arabia Saudita e dell'Egitto: il Presidente Putin ha recentemente lodato la "saggezza" di Re Abdallah. Abbiamo anche motivo di pensare che la politica estera degli Stati Uniti sfugga in una certa misura al controllo presidenziale e che i Paesi del Golfo, rendendosi conto che la politica statunitense è alla deriva, abbiano aperto alle mene di altri interessi interni al sistema politico statunitense traendo vantaggi dall'inasprimento della guerra jihadista contro Assad e dal minare la politica di Obama nei confronti della Repubblica Islamica dell'Iran, il tutto magari agendo di concerto con figure che si oppongono al presidente in carica. Ci si può aspettare che i russi cerchino di limitare il pericolo per la popolazione musulmana, in Russia e nelle repubbliche ex sovietiche confinanti. Ora come ora, in questo la Russia sta seguendo un profilo basso. Stare alla finestra, guardare in che direzione portano gli eventi, e poi ridefinire questo o quello dei principi della sua politica mediorientale. In ogni caso, nel medio termine il distacco della Russia dall'ordine mondiale unipolare avrà un impatto considerevole su un Medio Oriente in cui l'Arabia Saudita, per non dire dell'Iran e della Siria, ha già praticamente fatto la stessa scelta.
  

venerdì 9 maggio 2014

Restituire ad Izmir il mandato per Expo 2015 (seconda parte)


Expo2015 : straordinario evento universale, occasione irripetibile e straordinaria.
Tutte cose straordinarie.
Solo che il paese dove mangiano maccheroni è ovviamente riuscito a dare uno spettacolo che di straordinario non ha nulla, e che a malapena fa notizia per una mezz'ora, come soli fanno gli eventi talmente prevedibili da rientrare -gazzettisticamente parlando- nella categoria del cane che morde l'uomo.
Sarebbe a maggior ragione il caso di restituire ad Izmir il mandato per Expo 2015, come da noi fondatamente suggerito in questa sede quattro anni fa.
ll tempo è poco, ma nulla vieta di sperare che la Repubblica di Turchia saprà cavarsela in tempo.

giovedì 8 maggio 2014

Militant Blog: il cambio di paradigma spiegato in un grafico


Nel maggio 2014 si tengono nella penisola italiana consultazioni elettorali di vario genere. Ripetersi non sempre è un male, quindi si ripeterà che l'offerta politica non presenta variazioni sostanziali col mutare degli offerenti, e si compendia di "più mercato" e "più galera" col giustificativo che "non ci sono alternative", il tutto mentre è alle ultime battute la ridanciana distruzione del democratismo residuale, in un contesto in cui la repressione è ubiqua e capillare. In questo, l'utilizzo della tecnologia ha permesso un controllo assoluto di ogni ambiente a costi ridicoli, al punto che da una parte le telecamere sorvegliano i singoli cassonetti per i rifiuti e dall'altra il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin può sensatamente rimarcare il fatto che gli è impossibile affrontare questioni sostanziali dialogando con gli "occidentali", costretti a sussurrare persino a casa loro nel timore che gli statunitensi li stiano spiando.
Naturalmente Vladimir Putin è noto  solo per la vera o presunta repressione degli omosessuali che spadroneggerebbe nella Federazione Russa: secondo la "libera informazione" non si occupa praticamente di altro. Ma questo è un altro discorso.
Militant Blog  ha pubblicato alcune riflessioni interessanti sull'ambiente economico e sociale in cui tutto questo si sviluppa, e che riportiamo per intero. La cosa che dà da pensare è che l'articolo di cui si parla compare sulla stessa gazzetta che, intanto che si arrivava a questo, ha edotto per anni i sudditi del "paese" dove mangiano spaghetti in merito all'imminente invasione islamica.


Può un semplice grafico sintetizzare meglio di lunghi ragionamenti il senso politico della crisi economica e del nuovo modello produttivo globale? In questo caso, crediamo di si. Sfogliando il Corriere della Sera di ieri, domenica 4 maggio, ci siamo imbattuti in un’analisi prodotta dal Boureau of Labor Statistics, ufficio statistico governativo del governo nordamericano. La fonte è quella che è, la voce statistica del liberismo statunitense. Eppure, nella sua semplicità, e forse non cogliendo in pieno le implicazioni politiche di tale ricerca, il grafico mostra brillantemente il segno politico dei nostri tempi. Segno d’altronde colto anche dal giornalista del Corriere, che non ha potuto far altro che esternare delle riflessioni che potremmo serenamente far nostre.

In sintesi, il grafico mostra l’andamento dei prezzi di alcuni beni e servizi del mercato statunitense, ma che possono tranquillamente essere condivisi dal mercato europeo. L’andamento dei prezzi è stato sostanzialmente in pareggio, e infatti anche in Europa, così come negli USA, l’inflazione è ai minimi termini e si sta discutendo di come incentivare un po’ di sana inflazione che possa favorire il ritorno al consumo. Eppure, questa apparente palude economica nasconde una verità politica poco discussa. Mentre infatti si sono abbattuti i prezzi di tutti i generi voluttuari, secondari e di consumo, sono aumentati a dismisura tutti quei beni e servizi legati al concetto di Stato sociale e di intervento pubblico nell’economia. A fronte di una diminuzione del 40 o anche dell’80% del valore economico di televisori, computer, automobili, cellulari, giocattoli o anche servizi inerenti alla “cura per la persona”, sono aumentati specularmente (dunque anche con punte dell’80%) le spese di scuole e università, degli asili nido, delle spese sanitarie e del cibo salutare, dei trasporti, ecc… Insomma, se la media statistica continua ad aggirarsi intorno all’1,5%, la realtà fotografa al contrario un’inflazione gestita come strumento di classe, per scaricare, sulle spalle di chi ha necessità dell’intervento statale per uscire da condizioni di povertà, il prezzo di una contrazione dei consumi che altrimenti avrebbe determinato una caduta più che tendenziale del profitto privato.

Questo fenomeno inoltre è alla base della falsa percezione del proprio status socio-economico di parte importante della popolazione. Senza una casa, senza accesso a sanità e istruzione garantita pubblicamente, senza possibilità di accedere ai servizi essenziali e necessari, ma in possesso dell’ultimo ritrovato tecnologico o del paio di scarpe alla moda, la percezione comune è quella di appartenere comunque ad un ceto medio diffuso, ad una condizione economica in fin dei conti invidiabile e privilegiata. Trasformare i beni superflui in prima necessità, e di converso combattere ideologicamente la natura di “servizio pubblico” e di bene di prima necessità, ha prodotto dunque anche un problema culturale per cui larga parte della popolazione difficilmente si penserà parte di una classe subalterna, quanto piuttosto la propaggine impoverita di una classe al comando e solo temporaneamente in difficoltà economica. I danni di questo processo culturale-ideologico sono sotto gli occhi di tutti, e sicuramente sono parte in causa della difficoltà, per le sinistre, di organizzare attorno a proposte comuni rilevanti pezzi di società effettivamente proletarizzata.

mercoledì 7 maggio 2014

Firenze. Ritratto di banca co i'ddegrado. Ah, e coll'insihurézza.


Lui è un blogger, non è paziente e sarà un motociclista.
Parola di uno che si è fatto appiccicare alla vetrina di una banca di Firenze.
Si noti lo squallore del contesto, tra cassonetti e materassi da buttare. Proprio roba che i'ddegrado e l'insihurézza.
L'impazienza costa spesso cara, sicché il signore barbuto appiccicato al vetro dovrebbe più correttamente dire che è un blogger, non è paziente, sarà un motociclista e sarà indebitato.
E siccome le moto hanno manutenzioni onerose e vite non lunghissime, si può pensare che tra non molto il nostro amico potrà dire di essere un blogger, di non essere stato paziente, di essere stato un motociclista e di essere indebitato.

giovedì 1 maggio 2014

Foto di un Primo Maggio a Firenze. Con i'ddegrado e l'insihurézza.


Primo maggio 2014 a Firenze. La foto è stata scattata in un posto che nessuno ha ancora schedato sul Libro dei Ceffi, che di questi tempi è un fatto che restituisce un po' di normalita alle cose.
Insihurézza e degrado sono simpaticamente presenti.
Bandiera No Tav, ritratto di Hugo Rafael Chávez Frías, e cartello per la festa scritto a mano, a pennarello rosso.
1 Maggio. La festa di chi vive del proprio lavoro. C'è chi invece vive del lavoro e sul lavoro degli altri. A questi bisognerebbe fargli la "festa" di ora basta.