mercoledì 29 gennaio 2014

Carne di infedele per il vostro cane? A Firenze si trova a prezzi di realizzo.


La Lega Nord per l'Indipendenza della Padania è un partito politico fittamente rappresentato nel nord della penisola italiana.
Il suo modo di mantenere fede al programma elettorale, che prevede la distruzione dello stato nato nel 1861, è stato sicuramente innovativo. Invece di distribuire armi al popolo e di assaltare prefetture e caserme, di sabotare le linee ferroviarie, di indire lo sciopero generale e di impadronirsi delle centrali telefoniche come si fa di solito in questi casi, la Lega Nord ha pensato bene di limitarsi ad infarcire tutti i ranghi e tutte le istituzioni dello stato che aveva giurato di spazzare via con una congerie di personaggi aristofaneschi, abietti o semplicemente inetti. In questo modo ha assicurato un reddito cospicuo a parecchi soggetti che in contesti normali sarebbero stati estromessi con le brutte da qualsiasi organizzazione economica dopo poche ore di messa alla prova.
Dal momento che esistono limiti anche alla credulità dei sudditi e che prima charitas incipit ab ego, l'identificazione di un nemico esterno è l'elemento cardine di questa strategia; nella comunicazione politica della Lega Nord, l'Islam ha rappresentato per anni il nemico esterno per eccellenza.
Oltre alla presenza aristofanesca, abietta o semplicemente inetta nelle istituzioni, il "partito" ha potuto contare per questo anche su una presenza aristofanesca, abietta o semplicemente inetta nei mass media. Il signor Roberto Fiorentini sarebbe  ex direttore di Tele Padania e attuale vicedirettore dell’ufficio stampa della giunta lombarda.
Neanche direttore, vicedirettore. [*]
E cosa fa un vicedirettore di ufficio stampa di comprovate simpatie "occidentaliste", nel secondo decennio del XXI secolo? Par di capire che passi a redigere querele tutto il tempo che non passa sul Libro dei Ceffi e sul Cinguettatore.
Nel primo decennio dello stesso secolo, invece, almeno un po' di tempo lo passava a scribacchiare libelli "occidentalisti", presentati poi come uniche interpretazioni lecite del reale da un sistema mediatico che non conosceva incrinature. "Ai cani la carne degli infedeli - Alle radici del terrorismo islamico in Italia. Le cellule della Lombardia" è un esempio quasi perfetto di queste produzioni e del vertiginoso imbarazzo che provocherebbero lette a distanza di qualche anno in chiunque avesse un minimo di rispetto per se stesso perché la carne degli infedeli da ammannire a torme di cani famelici si compendia qui di centoventotto pagine di roba presa dalle gazzette. Mentre su un piano più concreto la produzione di carne di infedele nella penisola italiana ha conosciuto un solo, maldestro ed improduttivo tentativo. Uno yorkshire o un pechinese qualsiasi avrebbero avuto problemi a cavarne uno spuntino di metà giornata.
Con molta calma, con il debito tempo e con un pizzico di impegno, e soprattutto dopo che il rovinoso andamento delle guerre d'aggressione decise dagli yankee aveva imposto anche alla marmaglia gazzettiera più involuta un radicale cambio di agenda e palinsesti, l'avvocato Carlo Corbucci ha ricostruito gran parte delle vicende citate nel libello, avvalendosi ovviamente di ben altra competenza.
In conclusione i foglietti di Roberto Fiorentini sono ancora a prendere polvere insieme ad altra cellulosa sottratta a più degni utilizzi, nonostante il prezzo da sottocosto indichi con chiarezza la volontà del bravo libraio di Firenze in cui abbiamo fatto questa foto di liberarsene il prima possibile.


[*] "...Neanche cuoco; sottocuoco..." (cit.)

domenica 26 gennaio 2014

Matteo il Conquistatore, di Silvia Ognibene e Alberto Ferrarese


Matteo Renzi è l'attuale borgomastro di Firenze ed è un versatile e redditizio boiscàut del quale abbiamo più volte parlato, e non certo per dirne bene.
La cesura nelle fortune politiche di un "occidentalismo" che sembrava inarrestabile ha recentemente aperto di nuovo i giochi; è sufficiente che chi aspira alle massime cariche nello stato che occupa la penisola italiana riesca a far propria la maggior parte delle istanze "occidentaliste" così da risultare appetibile ai sudditi e indistinguibile dai sedicenti avversari.
Matteo Renzi può avere buone possibilità di successo. L'autorevolezza e i trascorsi di certi suoi sostenitori costituiscono la più eloquente delle garanzie.
Nelle librerie si trova da tempo qualche libello agiografico sul boiscàut. Nella foto ne compare uno che si intitola Matteo il Conquistatore. Nonostante il sottotitolo prometta addirittura delle rivelazioni, nessuno dei suoi due autori si chiama Giovanni. Su internet la ricerca di Silvia Ognibene conduce innanzitutto ad un sito che si presenta come laboratorio di finzioni (una garanzia anche questa) che la qualifica come animata da "un amore viscerale per i cani". 
Alberto Ferrarese invece è "sposato, con due figli e un cane". Prima di occuparsi di segretari di partito si è occupato proprio di cani.
A questo punto è chiaro che nulla avviene per caso e che era difficile trovare agiografi meglio confacenti.
Sullo stesso scaffale della libreria del centro di Firenze in cui abbiamo trovato il libro ce n'erano alcuni altri: il modesto Memorie di un giovane re, il realistico La testa vuota, e soprattutto un seriamente profetico L'Assunzione di farabutti e mascalzoni.
Il risultato è quello della foto.

sabato 25 gennaio 2014

Pochi e mal d'accordo. I partecipanti alla conferenza di Ginevra II secondo Conflicts Forum.


Combattenti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante, settembre 2013.

Traduzione da Conflicts Forum.


Intanto che si attendono i risultati di Ginevra II, la situazione in Medio Oriente rimane complessa; contraddittorie restano le mosse delle varie correnti politiche.
In Libano per la prima volta ci sono segnali di un ammorbidirsi delle istanze dell'Arabia Saudita, arrivata al punto da accettare, senza tanto chiasso, di collaborare in qualche modo con l'Iran (si legga in basso). In Siria invece la politica dell'Arabia Saudita è quella di prestarsi senza ombra di dubbio al dialogo, anche se i sauditi sarebbero contenti di vedere la conferenza di Ginevra finire con un nulla di fatto grazie all'abbandono del tavolo da parte della coalizione di "opposizione" in cui predomina il Consiglio Nazionale Siriano. Oggi come oggi, Qatar e Arabia Saudita si stanno accusando l'un l'altro delle spaccature che dividono la cosiddetta "opposizione" siriana  ed il suo ridimensionamento ad una specie di piccolo e per nulla rappresentativo nucleo di esiliati che alla vigilia della conferenza era privo di qualunque strategia politica. L'inizio dei colloqui è previsto per il 22 gennaio (si noti che questo scritto è stato redatto prima che fosse noto il risultato dell'incontro delle forze di "opposizione" fissato per venerdi in cui deve essere decisa la linea da tenere alla conferenza di Ginevra).
In generale stiamo assistendo ad un parziale ammorbidirsi della posizione dell'Arabia Saudita in Libano (si veda sotto) mentre alcune voci non confermate asseriscono che il principe Bandar avrebbe cercato un contatto con Adnan Khashoggi per aprire un canale diretto con Tehran. Dall'altra parte nulla fa pensare che i sauditi intendano mollare su Siria, Iraq o Fratelli Musulmani. Negli ultimi tempi abbiamo anche notato alcune evidenze concrete di come gli alti gradi dell'esercito iracheno stiano reagendo con crescente insofferenza alle mene saudite dirette ad indebolire il governo del primo ministro Al Maliki.
Al Quds al Arabi trattando della Siria ha riferito delle recenti elezioni per il comando del Congresso Nazionale Siriano; un evento considerato cruciale per la linea che l'"opposizione" sceglierà di adottare alla conferenza di Ginevra; intenso ed amaro è stato il confronto fra i candidati; alla fine Ahmad al Jarba (uomo di Bandar) ha conservato la sua carica, e a farne le spese è stato Riyad Hijab, più vicino al Qatar. Il tutto si è svolto "in mezzo alla polarizzazione delle posizioni e alle accuse di compravendita dei voti". Alla riunione hanno prevalso tensioni aspre, che hanno spinto quarantuno dei centoventuno appartenenti al Consiglio Nazionale Siriano a minacciare le dimissioni; tra loro figure importanti come Mustafa al Sayigh, ex segretario generale del Consiglio, Luayy al Miqdad, portavoce del comando supremo del "Libero" Esercito Siriano, Nizar al Hiraki, rappresentante in Qatar del Consiglio, e Khalid Khuja, rappresentante in Turchia.
Kamal al Labwani, altra eminenza della "opposizione" siriana e membro del Consiglio Politico della Coalizione dell'Opposizione Siriana, ha poi tirato una bomba verbale in mezzo ai litiganti, riferendo ad Al Watan che il ritiro di gruppi e di costituenti della coalizione rappresenta "una operazione tattica preparata in anticipo" per far abortire il tentativo di partecipare a Ginevra II. "Abbiamo impedito che la Coalizione dell'Opposizione Siriana partecipasse alla conferenza grazie ad una manovra preparata in anticipo.  Abbiamo messo in piedi tutta la faccenda proprio per non andare alla conferenza. Noi non vogliamo dialogare con il criminale governo di Assad. Nella coalizione c'è qualcuno che accetta il dialogo con il governo, ma a questi si oppongono coloro che il dialogo non lo vogliono e che sono quelli che si sono ritirati dalla coalizione. La coalizione pare abbia cominciato ad affogare nei suoi stessi errori. In pratica ci siamo suicidati politicamente nel tentativo di impedire che si dialoghi con questo governo, che ha ucciso più di centotrentamila figli dell'onorato popolo siriano". Al Labwani ha aggiunto: "Abbiamo messo la Coalizione nell'ordine di idee di evitare la partecipazione alla conferenza di Ginevra" (corsivo di Conflicts Forum). Va anche detto che Al Watan appartiene alla famiglia reale del Qatar.
Sembra che la conferenza di Ginevra si dovrà svolgere senza che vi siano rappresentati importanti gruppi dell'opposizione interna al paese. Haytam al Manna, uno dei più influenti leader del Comitato Nazionale di Coordinamento per il Cambiamento Democratico avrebbe riferito ad Al Mayadin che il suo gruppo non avrebbe partecipato a Ginevra II. Il NCC, un'organizzazione che raggruppa i partiti di opposizione di sinistra e nazionalisti, sperava di poter collaborare con il Consiglio Nazionale Siriano per mettere insieme una delegazione unificata che partecipasse ai colloqui. "Siamo andati noi a cercarli per vedere di collaborare", ha riferito ad Al Monitor Ahmad al Esrawi, che appartiene all'esecutivo dello NCC; ha aggiunto poi che il Consiglio Nazionale Siriano doveva ancora dar loro risposta. Ancora, è un funzionario superiore del Partito Socialnazionalista Siriano (SSNP) [1] come Ali Haidar, che è ministro della riconciliazione nazionale e capo dello stesso SSNP, ad affermare che non parteciperà alla conferenza a causa di divergenze con la coalizione. "Haidar non farà parte della delegazione governativa, questo è certo. Se deve esserci una delegazione capeggiata dalla coalizione, noi non ci saremo. Sicuramente no", ha detto Elia Samaan. L'opposizione politica, fin dall'inizio, è sempre stata osteggiata sia dai gruppi di opposizione in esilio sia da sostenitori nel Golfo e in Occidente a causa della propria posizione contraria ad un intervento esterno e al sostegno espresso a favore del dialogo e del negoziato col governo siriano.
Sembra che l'Arabia Saudita abbia reagito per diverso tempo in modo schivo ai tentativi occidentali di blandirne un atteggiamento favorevole per la Ginevra II. L'Arabia Saudita ha preferito cullare il proprio risentimento e il proprio rancore a fronte del rifiuto degli ameriKKKani di intraprendere un'azione militare contro il presidente Assad. I sauditi hanno detto chiaramente che non avrebbero in nessun modo sostenuto un'iniziativa in cui l'Iran avesse avuto la parola; e l'Iran a Ginevra II non è stato invitato, nonostante le pressioni di Mosca, mentre sono stati invitati paesi tutto sommato di minore coinvolgimento come l'Algeria e l'Indonesia. L'Arabia Saudita ha anche fatto sapre ai russi che se una Ginevra II doveva esserci, a parteciparvi sarebbe stata una delegazione composta da quelli che davvero agiscono come intermediari dell'Arabia Saudita, ovvero il Consiglio Nazionale Siriano. L'ultimo incontro del Consiglio Nazionale Siriano è servito proprio a mettere in chiaro questo aspetto. Tuttavia è già evidente il fallimento dell'iniziativa: così com'è fatta, la delegazione della "opposizione" non rappresenta altro che una ristretta cricca di esiliati; le altre componenti dell'opposizione hanno preso questi maneggi così male da aver deciso di far crollare Ginevra II e di farli rimanere sotto le macerie. Il Consiglio dell'Opposizione Siriana ha già redatto una dichiarazione scritta in cui afferma di aver rifiutato di partecipare a Ginevra II. C'è anche la possibilità che questo rientri negli obiettivi dei sauditi, che alla conferenza vorrebbero una delegazione di oppositori limitata e scarsamente rappresentativa, l'assenza di un protagonista di primo piano come l'Iran e il disconoscimento dei gruppi dell'opposizione politica interna alla Siria, il tutto accompagnato dall'assoluta opposizione di tutti i gruppi jihadisti. Una Ginevra II -se mai ci sarà- con queste premesse non potrà che essere l'inizio di "un lungo processo", come ha detto Kerry.
L'Occidente continua comunque a fare pressioni sul Consiglio Nazionale Siriano affinché partecipi alla conferenza, che alla fine è stata convocata ed ha avuto inizio a Montreux, e può essere che la cosa produca qualche cambiamento. E' interessante notare, come riferito da Hurriyet, che secondo un funzionario del Consiglio Nazionale Siriano intervistato a Londra altri sostenitori dell'opposizione non stanno facendo lo stesso con la Gran Bretagna e con gli Stati Uniti: "La Francia [che sta cercando di sostituirsi agli USA come faccendiere dell'Arabia Saudita] ci chiede di partecipare, ma ci dice anche che sarà d'accordo con noi qualsiasi cosa decideremo di fare. La Turchia e l'Arabia Saudita sono sulla stessa linea". In altre parole ci sono divergenze all'interno del Consiglio Nazionale Siriano, ma anche divergenze anche più chiare all'interno degli "Amici della Siria", di cui solo alcuni caldeggiano la conferenza di Ginevra II, perché si teme che il presidente Assad ne uscirà senza aver fatto alcuna concessione.
L'Arabia Saudita, e in una certa misura anche buona parte del panorama politico ameriKKKano (si veda sotto) stanno facendo capire che ci possono essere occasioni diverse da Ginevra, al contrario di Kerry che va dicendo che Ginevra rappresenta un'occasione unica. A dirigere gli eventi sul terreno oggi sono i sanguinosi combattimenti in corso adesso tra gruppi jihadisti nel nord della Siria; le cose hanno preso una piega orribile, con un mucchio di morti, jihadisti che uccidono altri jihadisti ed un caso in cui un gruppo di jihadisti ha violentato la moglie e la madre del capo di una fazione rivale. Dapprincipio Da'ish, lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante, ha barcollato sotto il colpo ma negli ultimi giorni ha reagito e si è ripreso. L'Esercito Arabo Siriano ha approfittato della situazione riprendendo il controllo delle aree rimaste senza presidi man mano che le lotte intestine infuriavano e passavano. Come abbiamo già notato in questa sede, la situazione militare nel complesso è cambiata a vantaggio del presidente Assad.
Edward Dark è il nome di guerra di un abitante di Aleppo che fino a qualche tempo fa era un attivista dell'opposizione. Scrive che "Tutti sanno che il Fronte Islamico che sta cercando di cacciare lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante è generosamente sostenuto e finanziato dall'Arabia Saudita; tenendo presente questo, possiamo capire le vere ragioni e la tempistica che stanno dietro questa improvvisa guerra senza esclusione di colpi. Negli ultimi mesi il Fronte Islamico ha praticamente distrutto il Consiglo Supremo Militare del "Libero" Esercito Siriano guidato dal generale Salim Idris, di orientamento moderato; questo rende i colloqui di Ginevra privi di qualsiasi significato, e sostanzialmente ininfluenti i loro risultati... Ora il Fronte cercherà di far fuori il babau di al Qaeda e di imporre la propria e meno estrema versione. Ironicamente Jabhat al Nusra, un altro gruppo affiliato ad al Qaeda sostenuto da Ayman al Zawahri e definito organizzazione terroristica dagli Stati Uniti si è unito alla lotta contro lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante. Toccherà a loro, la prossima volta? O verranno assimilati, cambieranno bandiera e verranno venduti all'opinione pubblica mondiale come gruppo jihadista sì, ma del tipo presentabile, come quelli del Fronte Islamico"? Dark lancia un avvertimento: "occhio a non sbagliarvi. Non è che stiamo assistendo ad una rinascita della rivoluzione siriana, né ci troviamo davanti ad un'altra insurrezione popolare contro un diverso tiranno. Il popolo siriano oggi è troppo diviso, troppo demoralizzato e troppo stanco della guerra per tentare qualche cosa di simile. Qui si tratta solo di una lotta a coltello per il potere tra gruppi jihadisti mossi da ideologie simili, diversi soltanto per il loro nome e per l'identità di chi sta alle loro spalle. I sistemi con cui impongono sul terreno il loro modo di pensare sono poco diversi l'uno dall'altro". (il corsivo è nostro).
L'Arabia Saudita pare dunque si muova con molta prudenza sulla conferenza di Ginevra II e che pensi ancora di poter presentare i propri jihadisti del Fronte Islamico (e magari anche Jahbat al Nusra, con il tacito sostegno occidentale) come jihadisti "moderati" o come la componente maggioritaria dei "ribelli", lasciando così aperta la possibilità di collimare con la cangiante visione dei neocon statunitensi, degli interventisti che agiscono in Medio Oriente o in patria, degli esperti da think tank, compresi i gruppi lobbystici di Washington, che vanno ancora dicendo che bisogna indebolire il presidente Assad con ogni mezzo, anche sostenendo i moderati jihadisti takfiri dell'Arabia Saudita, perché questa è la condizione necessaria e ineludibile per costringerlo a dei seri negoziati con l'opposizione. In breve, l'Arabia Saudita sta tirando la corda in due diverse direzioni, sostenendo con poco entusiasmo Kerry e al tempo stesso preparandosi alla prospettiva di un fallimento della conferenza, che potrebbe portare ad un rafforzamento degli interventisti ameriKKKani. Siamo appena all'inizio e non è dato sapere se il Fronte Islamico del principe Bandar riuscirà a sconfiggere Da'ish. Ora come ora, sta solo riuscendo a indebolire e a dividere l'opposizione jihadista armata.
I russi cercano di differenziarsi molto da questa "opzione dei takfiri moderati" che piace ai neo-con e agli interventisti. Vitaly Naumkin, facendo propri il pensiero del ministro degli esteri Lavrov, scrive: "i responsabili russi e i diplomatici non condividono le illusioni degli Stati Uniti sul fatto che esistano differenze tra i terroristi che combatono in Siria secondo gli scopi di paesi esteri e quelli che combattono per obiettivi propri [ovvero, tra jihadisti che agiscono a livello mondiale e jihadisti che confinano alla Siria il proprio impegno]. Secondo i russi, la differenza tra loro non è tanto marcata da far sì che si possa considerare il Fronte Islamico con cui i funzionari statunitensi hanno contatti come un gruppo moderato, mentre lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante farebbe la parte del gruppo estremista e terroristico. Gli Appartenenti ai Fratelli Musulmani in Egitto, la cui organizzazione è stata dichiarata terroristica dal governo egiziano, sono quasi degli agnellini se paragonati ai membri del Fronte Islamico".

In Libano, invece, l'intransigente opposizione dell'Arabia Saudita nei confronti di un governo di unità nazionale sembra si sia ammorbidita. Dopo la visita di due giorni del ministro degli esteri irianiano Zarif avvenuta la scorsa settimana, e nel corso della quale il ministro ha incontrato esponenti di partiti politici libanesi che stanno cercando di realizzare un governo di unità nazionale, Zarif è riuscito a convincere Walid Jumblatt, i cui voti in parlamento sono determinanti in un senso o nell'altro, che c'è la possibilità concreta di arrivare a formare un governo e che l'unica cosa da fare è persuaderne l'Arabia Saudita. Jumblatt ha contattato Riyadh, e ne ha ottenuto il benestare.
Non è facile capire il perché di questa virata di centoottanta gradi. il Fronte del 14 marzo non ha certo messo la sordina alle proprie pretese di un governo senza Hezbollah. E' possibile che Stati Uniti ed Europa si siano svegliati in seguito alla crescita della presenza e delle attività terroristiche dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante sul territorio libanese, che abbiano capito che anche il Libano può cadere vittima dei movimenti jihadisti come la Siria, e che abbiano intensificato i propri sforzi e le proprie pressioni perché si stabilizzi la situazione nel paese attraverso la formazione di un governo di unità nazionale. Se l'iniziativa iraniana avrà successo e se i sauditi non si metteranno di traverso, ne scaturirà la soluzione per molti dei problemi della politica libanese, paralizzata da un anno e mezzo.
Uno degli aspetti di questa paralisi riguarda le prospezioni geologiche su petrolio e gas. Un corrispondente di Conflicts Forum ci ha scritto: "Il lungo iato nelle decisioni pratiche di cui il Libano ha sofferto ha influito anche sui piani per le prospezioni geologiche nelle acque territoriali e in quelle della zona economica esclusiva. Il governo in carica non può e non deve occuparsi altro che degli affari ordinari e non ha potuto approvare i due decreti necessari a definire il numero di zone di prospezione eper il gas e le ripartizioni di ciascuna zona. Il ministro ad intermi per le acque e l'energia Gebran Bassil ha cercato di far passare i provvedimenti in una seduta straordinaria dell'esecutivo, ma il primo ministro ad interim Mikati gli ha fatto presente che la costituzione non permette che il consiglio dei ministri si riunisca per motivi come questo. Bassil ha dovuto rinviare il bando per le concessioni sulle prospezioni offshore dal 10 gennaio al 10 aprile del 2014.
Nonostante le divisioni politiche, i vari raggruppamenti politici in Libano con la sola eccezione di Bassil e del suo gruppo, che è uk Movimento Libero Patriottico, sono d'accordo per il rinvio. Il blocco del 14 marzo è all'opposizione, ma anche alcuni appartenenti alla compagine governativa cui appartiene lo stesso Movimento Libero Patriottico non vogliono che Gerbal Bassil e i suoi si prendano tutto il merito politico agli occhi dell'opinione pubblica per aver dato il via alle prospezioni. In tutta la facenda ci sono anche preoccupazioni piuttosto serie perché è mancata la trasparenza e non esiste alcun piano strategico per collegarsi al più ampio potenziale di produzione di gas che si trova nel Mediterraneo Orientale. Stando così le cose nessun partito politico ha voluto imbarcarsi in una partnership a lungo termine con compagnie petrolifere straniere, tutti hanno preferito lasciarsi aperta ogni possibilità. In un contesto come questo non c'è stata altra scelta che rinviare il bando.
Sul piano politico c'è chi vorrebbe che si legasse la data del bando a quella dell'approvazione dei due dereti, cosicché il bando potrebbe aver luogo sei settimane o tre mesi dopo la firma dei decreti, qualunque sia la data in cui ciò avviene. Si è tuttavia preoccupati che questa mancanza di certezza sui tempi finisca per mandare segnali poco incoraggianti alle compagnie petrolifere, e che esse finiscano comunque per perdere interesse alla cosa e per ritirarsi tutte. Ecco il perché di questi tre mesi di "ritardo tecnico" e del dieci aprile come data. Questo ritardo non è causato da divergenze sui due decreti, né sul rilascio delle licenze per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e di petrolio. Il problema è nella divisione politica dei poteri. E' difficile pretendere che ci si muova su questo versante prima che esista un accordo politico per un nuovo governo. Una volta che un governo ci sarà, le cose si muoveranno velocemente perché il lavoro preparatorio è tutto fatto e l'authority petrolifera non è toccata da questi problemi".


[1] Partito laico e nazionalista di opposizione, rappresentato nel parlamento di Damasco, N.d.T.

mercoledì 22 gennaio 2014

A dieci anni dalla distruzione di Falluja



Nel gennaio 2014 i combattenti dello Stato Islamico nell'Iraq e nel Levante avrebbero preso il controllo della città irachena di Falluja.
Nel 2004 la città pagò un costo eccezionalmente alto all'imperialismo yankee; si riporta in traduzione un articolo sulla politica statunitense in Iraq e sui suoi costruttivi risultati.


Traduzione da Asia Times.

Nick Alexandrov - Ecco quello che gli USA lasciano in Iraq

La stampa statunitense ha deplorato la caduta di Falluja. La città irachena ha fatto le spese, all'inizio di gennaio, di una "recrudescenza della guerriglia islamica in Iraq occidentale", ha scritto Peter Baker sul New York Times, come a ricordare che "la guerra è tutto, meno che finita". I suoi colleghi Yasri Ghazi e Tim Arango hanno descritto Falluja come "una città assediata, con l'obitorio strapieno di morti e la popolazione a corto di cibo, acqua e combustibile per i gruppi elettrogeni";  altre fonti ed esperti statunitensi si sono affrettati a ricordare ai loro lettori che Falluja è stata in passato la scena di massacrti perpetrati dagli ameriKKKani.
Una città "di notevole rilevanza simbolica", secondo Liz Sly dello Washington Post, in  cui "gli Stati Uniti hanno combattuto la loro battaglia più sanguinosa dai tempi della guerra in Vietnam"; "il prezzo è stato alto, per i soldati ameriKKKani" fa eco lo Wall Street Journal, mentre l'editorialista liberal del Post David Ignatius ha aggiunto che a Falluja "migliaia di ameriKKKani sono stati uccisi o feriti nel corso degli ultimi dieci anni, mentre lottavano contro gli jihadisti". E chi altri all'infuori di loro potrebbe costituire il bersaglio più appropriato per il governo degli Stati Uniti?
Chi altri? Come qualcuno ancora ricorda, è stato il popolo iracheno in generale a fare da bersaglio. Negli ultimi decenni il governo statunitense lo ha trattato come un bersaglio generico, mietendo centinaia di migliaia di vite.
Per tornare a Falluja, possiamo notare che gli attacchi condotti da Washington ad aprile e novembre del 2004 hanno ridotto in macerie una città in cui un censimento delle Nazioni Unite svolto prima dell'occupazione registrava quattrocentotrentacinquemila abitanti, e si tratta di dati prudenziali. Un gruppo di lavoro di emergenza dell'ONU ha stimato un "quaranta per cento degli edifici e delle case" rimasti a cose fatte "significativamente danneggiati", mentre un altro venti per cento avrebbe "riportato danni ingenti". Il rimanente quaranta per cento è stato "completamente distrutto", secondo quanto scrive la scienziata politica Neda Crawford. Facendo propria una citazione da No true glory di Bing West, la Crawford riferisce di come un generale statunitense, giunto a Falluja dopo gli attacchi del novembre 2004, "abbracciò con lo sguardo le strade, i pali storti per i cavi telefonici, le botteghe sventrate, i mucchi di calcinacci, le carcasse contorte delle auto bruciate, i tetti distrutti, i muri sforacchiati, e disse 'Oh, cazzo'".
I tentativi degli statunitensi di "liberare" gli abitanti di Falluja -liberarli dall'abbraccio mortale della loro stessa vita, si presume- hanno messo insieme "una caterva di violazioni alla Convenzione di Ginevra", sostengono le studiose Elaine A. Hills e Dahlia S. Wasfi, tra le quali non ultime "la distruzione dei presidi sanitari e degli acquedotti", secondo quanto riferito dai membri del Congresso Jim McDermott e il dr. Richard Rapport.
Hills e Wasfi considerano l'assedio di aprile 2004 e scrivono che gli statunitensi bloccarono gli accessi all'ospedale intanto che i cecchini dei Marines "si sistemavano sui tetti, bersagliando le ambulanze e gli ingressi dell'ospedale" ed altri soldati pattugliavano la zona sparando sui civili pressoché a casaccio" finendo per ucciderne tra i seicento egli ottocento.
Azioni molto brutali, che non sono altro che un anticipo dei massacri oltremodo selvaggi che si verificarono nel novembre sucessivo, quando furono uccise tra le seimila e le ottomila persone e "l'ospedale di primo soccorso Nazzal venne raso al suolo" due giorni prima che i soldati statunitensi assalissero l'ospedale principale di Falluja; qui, ricordarono in seguito i medici, >"ci appesero e ci pestarono nonostante non avessimo armi e disponessimo solo di strumenti medici". Tanto per andare sul sicuro, gli statunitensi impedirono alla Mezzaluna Rossa irachena di accedere a Fallujia per un'intera settimana. Il giornalista iracheno Burhan Fasa'a riferì di come i cecchini, appostati sul tetto dell'ospedale, sparassero a qualsiasi cosa si muovesse.
Nicholas J.S. Davies, a proposito della distruzione di Falluja, ha scritto che "la natura pervasiva e sistematica di questi crimini rende evidente che la responsabilità penale di tutto questo appartiene innanzitutto alle massime autorità militari e civili, che si sono servite di queste tattiche come parte integrante della strategia adottata". Una conclusione cui l'autore è giunto dopo aver preso in esame le politiche statunitensi messe in atto in precedenza.
Lo scienziato politico Ole R. Holsti ha preso in considerazione questa miserabile rassegna, notando che "nel corso degli anni Ottanta", per esempio, "la DIA sapeva che l'Iraq era andato 'acquisendo attivamente la capacità di utilizzare armamenti chimici sin dalla metà del decennio precedente" e che l'unica reazione che Washington -un attore di primissimo piano della scena internazionale- aveva saputo mettere in atto era stato cancellare l'Iraq dalla "lista dei terroristi" tenuta dal Dipartimento di Stato; era il 1982, sotto la presidenza di Ronald Reagan. In seguito, Washington fece in modo che Saddam Hussein avesse facile accesso ad una vasta gamma di tecnologie militari, come gli elicotteri Hughes e Bell. Gli elicotteri gli furono venduti "ufficialmente per irrorare i campi", scrive Holsti, mentre "potevano essere utilizzati, e di fatto lo furono, per spargere gas tossici contro i soldati iraniani e contro i curdi nelle zone a nord del paese". Negli anni seguenti "le prove del fatto che gli iracheni avessero usato armamenti chimici" presero concretezza proprio mentre le relazioni tra Stati Uniti ed Iraq si intensificavano.
Il fatto che "i servizi ameriKKKani, tra agosto 1983 e marzo 1988" fossero giunti alla conclusione che "c'erano stati almeno dieci casi documentati in cui gli iracheni avevano usato armi chimiche contro gli iraniani e tre casi in cui le avevano usate contro i curdi, ed in ogni caso c'erano state fino a diecimila vittime" non impedì a Washington di fornire il proprio consistente sostegno. Saddam, negli anni Ottanta, non doveva stare attento a non superare alcuna "linea rossa".
Questi sforzi per diffondere la disperazione in Iraq continuarono nel decennio successivo sotto le presidenze di George Diabolus Bush senior e di Bill Clinton: un accorato esempio di accordo bipartisan, in un epoca in cui il governo statunitense -si diceva- era "spaccato"...
Dopo la prima guerra in Iraq, per esempio, il sottosegretario generale dell'ONU Martti Ahtisaari si recò con una missione a Baghdad. I partecipanti si erano documentati con cura, ebbe a scrivere a marzo del 1991, tramite "approfondita consultazione di quanto i media avevano riferito sulla situazione in Iraq", ma dovettero accorgersi subito dopo il loro arrivo che "nulla di quanto avevamo visto o letto ci aveva minimamente preparato alla devastazione, pressoché apocalittica, in cui era precipitato il paese"; qualcosa che lo condannava, per il futuro che era possibile prevedere, "a precipitare in un'epoca preindustriale".
E questa era la situazione quando il Consiglio di Sicurezza dell'ONU impose le sanzioni; il filosofo della politica Joy Gordon scrive che le sanzioni, delle Nazioni Unite portavano soltanto il nome. In realtà esse "furono in tutto determinate dagli Stati Uniti", la cui "linea politica inflessibile" fu quella di "infliggere all'Iraq i danni economici più gravi che fosse possibile".
Nel 1995, l'ONU stimò che questa politica avesse finito per uccidere più di mezzo milione di bambini. L'ex segretario di stato Madeleine Allbright, nella sua vergognosa dichiarazione a 60 minutes, affermò che ne era valsa la pena. Denis Halliday e Hans von Sponeck, due coordinatori umanitari dell'ONU in Iraq, si dimisero uno dopo l'altro.
Halliday aveva concluso che "gli stati membri del Consiglio di Sicurezza portano la colpa di aver consapevolmente prestato il proprio sostegno ad una situazione in cui si sta verificando un genocidio"; Von Sponeck ebbe a rincarare la dose, affermando che era "appropriato" dire che il regime di sanzioni applicato violava quanto stabilito dalle convenzioni sui genocidi. Pochi anni dopo, nel giugno del 2003, il corrispondente del New York Times David Rohde ebbe la faccia tosta di scrivere che "il concetto di demokratiya si è fatto strada nell'immaginario iracheno... proprio come i neo-con di Washington avevano sperato che succedesse", a seguito dell'aggressione illegale verificatasi dopo un genocidio che aveva di per sé costituito una mezza apocalisse, e dopo i primi attacchi.
Una valutazione delle conseguenze degli attacchi statunitensi contro Falluja non è neppure cominciata. In una intervista del marzo 2013 a Democracy now! il coraggioso giornalista d'inchiesta Dahr Jamail ha spiegato ad Amu Goodman quali sono state le conseguenze dell'utilizzo indiscriminato di uranio impoverito e fosforo bianco da parte di Washington.
"C'è una dottoressa, una pediatra che si chiama Samira Alani, che lavora a Falluja. Dopo aver fatto ricerche in Giappone, la Alani è arrivata alla conclusione che 'i casi di malformazioni congenite a Falluja sono quattordici volte più alti di quelli riscontrati a Hiroshima e Nagasaki dopo le esplosioni nucleari'".
Molti casi presentano deformità mai viste: parlando di alcune delle vittime della politica estera di Washington, Jamail parla di "problemi di rilevante portata al sistema nervoso centrale" e di "bambini che nascono con metà degli organi interni fuori dal corpo". Un fatto troppo rivelatore per poter finire sui nostri quotidiani più autorevoli.

sabato 18 gennaio 2014

Egitto. Il referendum sulla costituzione e la repressione dei Fratelli Musulmani secondo Conflicts Forum



Traduzione da Conflicts Forum.

Egitto. Anche prima del colpo di stato dei militari che ha rovesciato il presidente Morsi, era chiaro che la società egiziana si stava spaccando. Si stava spaccando in profondità, e forse in modo irrimediabile. Conflicts Forum ha assistito ad un incontro tra le principali correnti politiche del paese, quella islamica e quella laica e liberale; in quell'occasione le parti si dimostrarono semplicemente incapaci di comunicare. Attraverso la stanza volavano, da un settore all'altro della società egiziana, bordate di artiglieria verbale sparate ad alzo zero. L'emozione affannava i petti, le condizioni psicologiche erano come cristalli scheggiati e le perorazioni insistentemente urlate non avevano significato e non contenevano un solo granello di buon senso.
Di compromessi non si parlava neppure, né poteva esserci posto per la democrazia in quel bailamme di passioni. Ad un certo punto i laici liberali e i cristiani dettero fiato alla tremenda paura per la propria stessa esistenza: pensavano e temevano che gli islamici li stessero politicamente e culturalmente sopraffacendo, che il loro modo laico di vivere sarebbe stato messo fuori legge e la loro rilevanza politica stroncata. A mostrarsi particolarmente risentiti erano i cristiani. L'Occidente cristiano aveva fatto un errore storico: maniacalmente attento com'era alla sicurezza dello stato sionista, l'Occidente aveva finito per allearsi con i gruppi sunniti radicali nell'intento di indebolire quelle che venivano considerate le minacce contro i sionisti, Hezbollah e la Repubblica Islamica dell'Iran. I cristiani lamentavano il fatto che a pagare il conto di questo sconsiderato soffiare sul fuoco dell'Islam sunnita sarebbero stati i cristiani di tutto il Medio Oriente, e sciorinavano dati sull'esodo dei cristiani dalla regione. A spargere sale sulla piaga c'era il fatto che cristiani e laico-liberali non edevano in prospettiva l'intervento di alcuna forza capace di liberarli dall'assedio islamico. Né la Francia, né il Regno Unito, né l'AmeriKKKa, per la prima volta dopo tanti secoli, sarebbero intervenute in loro soccorso. Sarebbero stati lasciati in balia della sopraffazione islamica, o all'esodo.
Si immagini dunque il loro sollievo quando all'ultimissimo istante, quando tutto sembrava perduto, è arrivato un deus ex machina: i paesi del Golfo hanno messo in piedi un colpo di stato militare per "distruggere ed eliminare" dal paese (detto con i vocaboli del linguaggio bellico) i Fratelli Musulmani. La situazione si è capovolta e gli attivisti secolari e laici ora camminano estatici a svariati palmi da terra. Il generale Sissi viene acclamato senza il minimo spirito critico come il nuovo Saladino, il nuovo Nasser, il nuovo Sadat.
Immediatamente dopo il colpo di stato il generale Sissi ha adoperato tutti i vocaboli della correttezza politica: "transizione", "democrazia civica" e "inclusione". Solo che le parole sono una cosa, il comportamento dell'esecutivo un'altra, sia allora che dopo. Piuttosto che una "transizione" verso la democrazia, pare che "il popolo" vorrà che Sissi diventi presidente per acclamazione, piuttosto che abbracciare la "democrazia civica". Sembra anche che promulgando due leggi, quella sulle manifestazioni e quella sull'antiterrorismo, Sissi riuscirà a prendere due piccioni con una fava: il suo principale intento, l'eliminazione dei Fratelli Musulmani, e la potenziale criminalizzazione di tutti i loro sostenitori. In secondo luogo, questo rappresenta a tutti gli effetti la reincarnazione del detestato "stato di emergenza" sotto nuove vesti, fatto per consentire all'apparato securitario di eliminare ogni resistenza alla junta. Anche in questo caso, tutto viene fatto attraverso il mandato "popolare": come ha scritto la scorsa settimana il quotidiano nazionalista Al Watan, "Dal popolo ad El Sissi [capo delle forze armate]: Ti garantiamo il mandato... e taglieremo la gola ai terroristi". Su un altro quotidiano, Al Youma Al Sabaa, spiccava un titolo dello stesso genere: "Il popolo vuole che i Fratelli Musulmani siano messi a morte". I due provvedimenti di legge riguardano innanzitutto i Fratelli Musulmani, ma il loro effetto combinato ha una portata sufficientemente vasta da prevedere e soffocare il minimo segno di dissenso dovesse venire da parte dei laici e dei liberali. Molti laici, anche se sono molto pochi rispetto al numero di Fratelli Musulmani arrestati, sono finiti recentemente in carcere per aver criticato la junta per esser venuta meno ai propri intenti rivoluzionari. C'è da aspettarsi che col crescere della disillusione dei liberali nei confronti del regime che Sissi sta mettendo in piedi seguiranno ulteriori arresti di simpatizzanti laico-liberali.
Insomma, in Egittto la controrivoluzione orchestrata dagli stati del Golfo contro le sollevazioni arabe del 2011, condotta con mano d'acciaio dal generale Sissi, sta arrivando ai limiti della repressione indiscriminata. Come ha detto Khalil al Anani, la messa al bando dei Fratelli Musulmani rafforza "l'idea che esista un nemico comune, una minaccia all'esistenza stessa dello stato e della società". Un'altra ragione alla base dei provvedimenti, afferma, "è che essi servono a mobilitare l'opinione pubblica affinché essa approvi la costituzione; il governo ad interim considera l'approvazione della costituzione un modo per trovare la legittimità che adesso gli manca... La chiusura di ogni spazio pubblico ad ogni manifestazione di protesta la si giustifica affermando che si tratta di misure antiterrorismo... e definire i Fratelli Musulmani come un'organizzazione terroristica chiude definitivamente la porta ad ogni futuro riavvicinamento tra i Fratelli e i gruppi rivoluzionari".
In gioco non c'è soltanto la potenziale criminalizzazione di una parte significativa del popolo egiziano (fare apologia dei Fratelli Musulmani o fornire loro qualsiasi sostegno indiretto costituiscono reati punibili con cinque anni di carcere). Alcuni personaggi mediatici in Egitto stanno incoraggiando i vigilantes ad incendiare abitazioni in cui si sa che abitano aderenti ai Fratelli Musulmani e a distruggere i loro negozi. Sono state aperte delle linee telefoniche, tramite le quali il pubblico può denunciare chiunque si sospetti appartenga ai Fratelli. Le incitazioni dei mass media contro i "terroristi" sono dappertutto. In alcuni casi si è dato di individui ritenuti appartenenti ai Fratelli Musulmani che sono stati prelevati, torturati ed uccisi. Quella che era una spaccatura nella società, e ne abbiamo fatto cenno sopra, sta diventando una voragine.
Quali saranno le reazioni? In Egitto ogni cosa scorre con lentezza, ma ci sono alcuni punti chiari. I Fratelli Musulmani sono passati alla clandestinità. I vertici del movimento (la Shura e l'Ufficio della Guida) si sono nascosti o sono stati arrestati. Il movimento sopravvive perché è ritornato alla compartimentazione, con nuclei di sette od otto persone che si incontrano a casa del capo cellula. Il punto debole di questo sistema, che ha garantito la sopravvivenza del movimento attraverso i momenti repressivi del passato, è rappresentato dalla difficoltà che i capi delle cellule incontrano nel comunicare tra di loro, e lungo la scala gerarchica con quello che costituisce ciò che rimane della direzione.
La generazione più vecchia tra i Fratelli Musulmani non vuole che si arrivi alla guerra aperta con Sissi; sanno che perderebbero. La loro strategia è invece quella di mantenere la resistenza nei limiti di manifestazioni improvvise ("Non abbiamo altra scelta, Sissi ci ha messo all'angolo") e di aspettare che la junta screditi se stessa e che le condizioni dell'economia precipitino. I Fratelli Musulmani sanno che dal punto di vista economico si preparano tempi duri e credono in linea di principio che non avranno bisogno di fare nient'altro che aspettare che la junta cada in disgrazia agli occhi dell'opinione pubblica, cosa che secondo loro sarebbe inevitabile. Intanto, i Fratelli stanno anche lavorando tra i loro sostenitori nell'esercito, per rinfocolare l'insoddisfazione dei militari nei confronti dei quadri superiori. Un esperto politico russo afferma che secondo i russi il 70% dei bassi gradi nell'esercito sono contrari alla direzione presa dagli alti ufficiali.
Questa posizione "di sicurezza", tuttavia, non funziona e non soddisfa i giovani appartenenti al movimento. La politica di non violenza dei Fratelli Musulmani non li fa crescere, contrariamente a quanto sperato. La bomba di Mansour, che qualche settimana fa è costata la vita a sedici poliziotti, con ogni probabilità non è stata opera dei Fratelli Musulmani: un gruppo salafita del Sinai ne ha rivendicato la responsabilità. Nonostante questo, i Fratelli ne sono stati ritenuti immediatamente colpevoli e i mass media che spalleggiano il governo sono riusciti a convincere la maggioranza degli egiziani che i "terroristi" responsabili del fatto erano proprio i Fratelli. 
I giovani, che nelle manifestazioni più nutrite hanno perso degli amici sotto il tiro della polizia, non ci staranno. La lezione che hanno tratto dal colpo di stato è che i Fratelli si sono comportati da ingenui. Pensano che i Fratelli Musulmani avrebbero dovuto abbattere il sistema, quando hanno avuto il sopravvento. L'esercito avrebbe dovuto essere purgato, e lo "stato profondo" completamente distrutto. Questa, pensano, è la lezione imparata in Algeria, da quello che è successo a Hamas nel 2006 ed al presidente Morsi oggi. Alcuni tra loro -non si può dire quanti- si rivolgeranno ai movimenti islamici rivoluzionari dediti alla violenza, che hanno fatto proprie le concezioni di Al Qaeda. Il fenomeno non esploderà all'improvviso ma si rafforzerà col tempo, probabilmente attirando armi e combattenti dalla Libia, e diffondendosi ulteriormente in tutto il Nord Africa.
Il caso dei salafiti è più complesso. Finanziata dall'Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti e dal Kuwait, la leadership salafita ha largamente assecondato la junta, mostrandosi molto "flessibile" sulle questioni costituzionali inerenti l'Islam. Anch'essa però ha perso i giovani per strada. Molti nella gioventù salafita non considerano gli attacchi delle forze di sicurezza ai Fratelli Musulmani e la defenestrazione del Presidente Morsi come un attacco ai Fratelli Musulmani in quanto tali, ma come un attacco all'Islam stesso. I giovani salafiti sono contro Sissi così come sono contro l'Arabia Saudita.
Infine ci sono zone in Egitto, come il Sinai o certi quartieri di Alessandria o di Suez, che stanno diventando una Idlib egiziana sotto il "controllo" -non esiste una parola adatta a descrivere l'ambigua rete di intimidazioni messe in opera- di gruppi jihadisti di varie tendenze, tutti apertamente ostili ai Fratelli Musulmani che vengono considerati degli apostati.
Dove condurrà l'Egitto una situazione del genere? Il problema è che Sissi ha avuto successo nel procurarsi un folto numero di adoratori tra importanti settori della popolazione grazie ai colpi assestati ai cosiddetti "terroristi" (ovvero i Fratelli Musulmani) ma questo non rappresenta una soluzione per i gravi problemi economici che il paese deve affrontare. I paesi del Golfo hanno fatto arrivare -e non sempre si tratta di donazioni- qualcosa come dodici miliardi di dollari; la maggior parte degli esperti ritiene tuttavia che l'Egitto abbia bisogno di almeno cinquanta miliardi solamente per non andare a fondo. Il 43% della popolazione vive in condizioni di disperata povertà perché guadagna meno di due dollari al giorno per famiglia; molta parte di essa beneficiava delle opere caritatevoli dei Fratelli Musulmani, un sostegno che adesso non esiste più.
Quale visione avrà da offrire Sissi? Riforme economiche "liberali" nello stile del Fondo Monetario Internazionale, con mezzo paese che tira avanti con meno di due dollari al giorno? Il nazionalismo arabo stile neo-Nasser è praticabile al giorno d'oggi? Difficile pensarlo: non ci sono soldi, e il nazionalismo arabo è entrato in una lunga fase di declino dopo la guerra del 1973, da cui deve ancora riprendersi.
E i Fratelli Musulmani da parte loro, che progetti possono presentare? Un ritorno al Da'wa e alle opere di carità? Anche queste cose sono cadute in discredito, né la passiva attesa dei Fratelli che l'economia egiziana collassi costituisce una risposta agli affamati che cercano una qualche soluzione alle loro molte miserie, né una visione incoraggiante per il futuro. L'unico programma che si sente per le strade è il rosario salafita di semplici "certezze", alle quali la gente in questi tempi di tumulti e di disordine si aggrappa disperatamente. A questo livello, paradossalmente, la gioventù salafita e quella dei Fratelli Musulmani convergono sulla weltanschauung salafita e risultano essere forse l'unico vero beneficiario di questo stato di cose.
L'Occidente ha adottato una visione a breve termine: "Abbiamo poca influenza; consideriamo la questione un mero affare interno (a differenza della situazione in Siria) e sosteniamo Sissi perché ha in mano l'unico strumento -l'esercito e i servizi- in grado di garantire (una malintesa) sicurezza". La repressione brutale sarà in grado di portare, nel lungo periodo, la "sicurezza" per l'Occidente? La lezione da trarre dal collasso dei Sykes-Picot cui stiamo assistendo in tutto il Medio Oriente non insegna esattamente il contrario? L'avvertimento è quello di fare attenzione a non creare nuove Al Qaeda; l'Egitto pare vicino a nuove fratture sociali e a diventare sempre più violento man mano che deve confrontarsi con una reviviscenza del "sistema arabo" come esso viene inteso dal generale -e probabile presidente- Sissi.

martedì 14 gennaio 2014

L'alta moda da Chiomonte ad Avetrana


Distruggere, sradicare e delegittimare con tutti i mezzi a disposizione quelli della Val di Susa.
Un imperativo che i gazzettieri hanno tra i primi in agenda.
Sicché a gennaio 2014 parecchi gazzettini sono andati a cercare un certo Stefano Esposito, e hanno fatto giornata facendogli raccontare quanto sia ingrato il suo mestiere.
Il blog Ekbloggethi si è espresso su tutto questo in uno scritto in cui abbondano ipotesi, illazioni e considerazioni di una certa eloquenza.
Le righe che seguono costituiscono un esplicito rincaro della dose.
Nelle foto sulle gazzette Esposito è ritratto con una sigaretta in mano, cosa che in AmeriKKKa gli avrebbe attirato invettive tali da rendere ancor più controproducente la sua esposizione mediatica.
Ed è ritratto soprattutto con un ridicolo accessorio d'abbigliamento che lo accomuna ad un altro personaggio mediatico, alla cui sorte le gazzette hanno contribuito in non piccola misura.

Ridicolizzare, deridere, disprezzare con tutti i mezzi a disposizione quei cialtroni dei gazzettieri, dei loro padroni e soprattutto di chi si presta al loro gioco.
Un imperativo che gli individui consapevoli hanno tra i primi in agenda.

domenica 12 gennaio 2014

Firenze: il Nuovo Pignone assume duemila animatori


La crisi dell'editoria ha drasticamente ridotto il numero di foglietti "occidentalisti" in circolazione ed è stato molto istruttivo vedere torme di gazzettieri da sempre fautori di "liberismo" e di "libero mercato" pietire misericordia affinché la politica -vale a dire i soldi dei sudditi- evitasse loro di provare de visu gli effetti di quel darwinismo economico che li entusiasmava tanto.
A Firenze è sopravvissuta "La Nazione", della cui "autorevolezza" come fogliettino "occidentalista" nessuno ha mai seriamente dubitato; messi fuori gioco i concorrenti, ha potuto proseguire su una linea editoriale fatta di ciance, inviti alla delazione, editoriali forcaioli, delazioni vere e proprie e soprattutto pallonate, palloneggi, pallonerie e pallonieri.
Il tutto, infarcito da una tale incompetenza ciarliera che i casi di umorismo involontario come quello della foto sono impossibili da contare.
Il Pignone -meglio, il Nuovo Pignone- è un grosso stabilimento industriale ed in un contesto normale attirerebbe la candidatura di metalmeccanici, tecnici e ingegneri; dalla locandina de "La Nazione" pare invece di capire che si prospetti a breve l'assunzione di duemila animatori.
Mica male, come effetto della deindustrializzazione.

sabato 11 gennaio 2014

Chi vuole la guerra civile in Libano? Conflicts Forum sulla sconfitta della strategia saudita in Medio Oriente



In Libano sono successe cose inquietanti ed allarmanti: un presidente (Suleiman) che sta affannosamente cercando di farsi rieleggere nelle elezioni previste a maggio; re Abdallah che lo ammonisce affinché rivolga contro Hezbollah l'esercito libanese, come ritorsione per l'intervento di Hezbollah in Siria; lo stesso re che"dona" tre miliardi di dollari alla Francia, per rifornire di armi francesi l'esercito libanese, e alla fine lo stesso presidente Suleiman che avalla pubblicamente tutta la faccenda, cantando "viva l'esercito (di cui è stato il comandante in capo), viva l'Arabia Saudita e viva il Libano". A tutto questo si accompagnano gli allarmi su un prossimo deteriorarsi delle condizioni di sicurezza avanzati dalla leadership di Hezbollah (allarmi che nascono con ogni probabilità dai servizi dell'organizzazione), l'assassinio di un esponente moderato del 14 marzo, ex ministro delle finanze, l'aggressione fuori della moschea al mufti sunnita del Libano che cercava di portare le proprie condoglianze al funerale di una giovane vittima della bomba al ministero ad opera di sostenitori del 14 marzo e di sunniti radicali che lo accusavano di tradimento per aver sostenuto il dialogo; accuse prive di fondamento alla Siria e a Hezbollah di essere coinvolti negli omicidi di personaggi mediatici e politici legati al 14 marzo, la pretesa del 14 marzo di andare al governo, e infine una dichiarazione presidenziale secondo cui il presidente intende formare un governo di fatto senza esponenti dell'8 marzo, nonostante quest'ultimo abbia la maggioranza nel parlamento uscente, perché questo è quello che vogliono i sauditi in cambio dei tre miliardi di dollari donati. E ancora autobombe.
Il linguaggio settario è qualcosa di esplosivo, la polarizzazione è il minimo che possa succedere. Il Libano sta per deflagrare, come già successo alla Siria? Che cosa possiamo pensare di quello che sta succedendo? I fautori della guerra di prossimità tra sauditi ed Islam sciita sono tutto d'un tratto arrivati al punto di innescare un conflitto settario che coinvolga tutto il Medio Oriente, un conflitto in cui si inquadrano la caduta di Falluja e Anbar nelle mani di movimenti che hanno fatto propria l'idea di AlQaeda e l'abbandono del parlamento iracheno da parte di quarantacinque deputati sunniti?
In Medio Oriente sarebbero in pochi a dire che i timori di un conflitto settario vero e proprio sono esagerati, ma quello che sta succedendo in Libano va comunque contestualizzato. Hussein Mousavian è un ex negoziatore per il nucleare iraniano ed ha guidato il comitato per gli esteri del consiglio per la sicurezza nazionale; adesso insegna a Princeton. Alla recente conferenza di Manama, durante un confronto con il principe saudita Turki, ha detto senza mezzi termini che il tentativo dei paesi del Golfo di strangolare la rinascita iraniana è fallito. Parecchi tra gli astanti sono rimasti basiti. Le sue parole significavano che il giro di boa, per quello che riguarda il futuro della regione, è già avvenuto. Il principe Turki non si è certo detto d'accordo.
Certo, se vediamo il Medio Oriente nel suo complesso, notiamo che il governo siriano nel corso delle ultime settimane ha consolidato con rapidità le proprie posizioni sul terreno. La Damasco di oggi è molto diversa da com'era anche solo qualche settimana fa, ce lo hanno confermato testimoni diretti, che sono stati in città negli ultimi giorni. E' vero che gli attriti settari sono cresciuti ovunque, specialmente ad opera dei sauditi; tuttavia c'è anche un altro dato di fatto, di cui spesso non si tiene conto: i sunniti sono ben lontani da costituire una fazione unita. Sono in parecchi a temere e a provare repulsione per i salafiti e gli jihadisti spuntati dappertutto in medio Oriente grazie al sostegno ufficiale dei paesi del Golfo e di diverse personalità che hanno agito in proprio. Colpisce abbastanza il fatto che il Presidente Assad, in un incontro con i leader sunniti della Siria, li chiami con successo a raccolta per combattere direttamente contro lo wahabismo e l'Islam salafita, affermando che sono entrambi due distorsioni dell'Islam... Solo un anno fa, sarebbe stata una cosa impensabile: l'intero mondo sunnita avrebbe reagito con sdegno. Solo che il vento è cambiato, e la maggioranza silenziosa degli ambienti sunniti ne ha abbastanza degli estremisti e degli ideologi di tutte le sfumature; vuole soltanto che si torni alla "normalità" e ad un minimo di sicurezza elementare. E lo stesso vale per il Libano e per l'Iraq, in cui i sunniti sono profondamente divisi, temendo l'ascesa dei tribunali volanti che giudicano secondo la sha'ria, l'arbitrio capriccioso degli imam jihadisti del quartiere, le mutilazioni e le decapitazioni eseguite da gente per lo più ignorante in materia di legge sacra. La gente è stanca di tutto questo. Gli sciiti sanno che in Arabia Saudita c'è chi agita lo spettro di un conflitto generale tra sunniti e sciiti, ma non credono che l'Arabia Saudita abbia la capacità o la ferrea determinazione necessarie a imbarcarsi in una simile impresa.
 Non è soltanto il professor Musavian a dire che la contesa è arrivata ad un punto di svolta. In una riunione tenutasi di recente, cui hanno partecipato politici ameriKKKani e funzionari, l'ex capo della CIA Michael Mullen ha affermato recisamente che i sauditi hanno seriamente mal interpretato la posizione ameriKKKana quando hanno fatto conto sul sostegno degli USA "per una guerra che non avrebbero mai potuto vincere". Un diplomatico statunitense con una vasta esperienza mediorientale ha detto che "riunione tenutasi di recente, cui hanno partecipato politici ameriKKKani e funzionari, l'ex capo della CIA Michael Mullen ha affermato recisamente che i sauditi hanno seriamente mal interpretato la posizione ameriKKKana quando hanno fatto conto sul sostegno degli USA "per una guerra che non avrebbero mai potuto vincere". Un diplomatico statunitense con una vasta esperienza mediorientale ha detto che "ora come ora, sembra che Assad, Nassrallah e Solimani abbiano vinto". La guerra prende vie paradossali e adesso sono Hezbollah, la Siria e l'Iran a mobilitare i sunniti in base ad una piattaforma contraria allo wahabismo e a scoprire di star tacitamente condividendo un comune interesse coi paesi occidentali rappresentato dalla lotta allo jihadismo. La piega presa dagli eventi è fonte di considerevole smarrimento e costernazione, sia negli USA che in Europa. Per così tanto tempo hanno condisceso nei confronti dell'Arabia Saudita e ne hanno assecondate le istanze senza tener contro delle sue ambigue relazioni con i movimenti sunniti radicali e della sua parte nello sviluppo di questa ideologia, che ameriKKKani ed europei hanno scoperto con improvviso sbigottimento di star condividendo con Iran e Siria una stessa posizione in merito al grande problema del Medio Oriente, che è l'ascesa dello jihadismo. La cosa è fonte di grande costernazione.
E il Libano? Nel marasma generale, gli eventi libanesi fanno più pensare alla pura e semplice disperazione che non a strategie o politiche efficaci. Intanto, il discusso governo monocolore di  in cui "il vincitore piglia tutto", secondo il modello occidentale, è tanto incostituzionale quanto in buona parte inapplicabile, in questi termini, al Libano. In Libano le cose non sono mai andate in questo modo. La costituzione, bene o male, impone una divisione settaria del potere tra tutti i raggruppamenti principali; per convenzione e per legge, l'esclusione di uno qualsiasi di questi rende di fatto illegale il governo. Difficilmente Suleiman potrà portare avanti iniziative come questa ed è chiaro fin da oggi che se mai dovesse farlo, magari per mettere in piedi un "governo di transizione", andrà incontro a fiera resistenza. E'possibile che il presidente debba rinunciare a quest'idea.
In secondo luogo il parlamento, che ha prolungato il proprio mandato già scaduto, non è probabile che voterà mai a favore di un assetto governativo sbilanciato in favore di una sola parte, laddove per "governo di tecnici" o "governo neutrale" altro non s'intende se non un esecutivo contrario a Hezbollah. Anche una nuova consultazione elettorale, nel caso fosse possibile raggiungere un minimo di accordo sul come si dovrebbe svolgere, difficilmente potrà rappresentare un modo migliore per giungere ad un voto di fiducia, senza il quale nessun governo ha legittimità. Il sostegno elettorale alla 14 marzo è svanito a Sidone e a Tripoli, che ne erano i capisaldi, e potrebbe non essere in grado di assicurare una maggioranza in parlamento.
Terzo, l'esercito libanese è un esercito nazionale. Si è disgregato durante la guerra civile, sotto le tensioni settarie, ed ha dovuto essere ricostruito con attenzione. Servirsene contro un gruppo settario in particolare significherebbe agevolare un'altra volta la sua frammentazione e la sua distruzione. Inoltre, i politici libanesi sanno ben interpretare da che parte tira il vento, e se gli stessi ameriKKKani dicono che il presidente Assad è possibile rimanga in carica per molto tempo, è verosimile che si adatteranno alla costante presenza di Assad (come Jumblatt insegna) piuttosto che prepararsi per un'improvvisa ascesa di Bandar. In altre parole, essi continueranno ad aspettare per vedere come finiscono le cose in Siria, prima di fare la loro scelta.
Insomma, è dubbio che il popolo libanese, con l'esclusione di una minoranza, abbia una qualche voglia di una vera e propria guerra civile; nemmeno la classe media sunnita ha stomaco per qualche cosa del genere. Il ritorno delle autobombe sta davvero preoccupando la gente, e richiama alla memoria vecchi e macabri episodi della storia libanese, ma la chiara responsabilità di queste nuove violenze resta incerta -si veda qui uno scritto che fa menzione di un possibile coinvolgimento saudita nell'attacco dinamitardo all'ambasciata iraniana- e visti i precedenti è possbile che chiarezza non verrà fatta mai.
La strategia del principe Bandar, capo dei servizi sauditi, appare chiara: lui e qualcun altro del 14 marzo contano sul fatto che alimentare un'atmosfera da conflitto confessionale imminente causato dagli omicidi, promuovere la presa del potere da parte delle formazioni politiche del 14 marzo e promettere il riallineamento dell'esercito in funzione di contenimento contro Hezbollah consentirà loro di costringere Hezbollah ad una seconda difensiva presa di Beirut come quella del 7 maggio 2008; un gesto che screditerebbe Hezbollah e lo costringerebbe a ritirarsi dalla Siria per poter affrontare con forze sufficienti la crisi in Libano. E' improbabile però che Hezbollah abbocchi all'amo perché il coinvolgimento di Hezbollah in Siria ha una portata relativamente ridotta e il movimento ha sempre fatto attenzione a tenere di riserva il grosso delle proprie forze, in considerazione di un possible attacco da parte dello stato sionista. Anche Hezbollah peraltro va preparandosi, da qualche tempo a questa parte, per far fronte a crisi interne che potrebbero richiedergli un impegno simultaneo su due fronti.
Se la tattica di Bandar dovesse avere successo -cosa che è poco probabile- Bandar ne ricaverebbe un piccolo vantaggio per la guerra in Siria: il ritiro di Hezbollah da una parte, e l'avallo libanese per il Consiglio Nazionale Siriano dall'altra. Bandar tuttavia sbaglia perché sopravvaluta l'importanza dell'intervento militare di Hezbollah in Siria: il ritiro forzato di Hezbollah, quand'anche si verificasse, non cambierebbe di per sé le sorti della guerra in Siria, che sono sfavorevoli a Bandar. Il risultato più verosimile dell'intromissione di Bandar è che il Libano si allontanerà ancora di più, per quanto è dato di vedere, da qualsiasi prospettiva di un minimo di stabilità futura ed il suo già logoro tessuto statale finirà per consumarsi fino allo strappo. Le condizioni della sicurezza peggioreranno: in Libano ci sono almeno un milione e duecentomila profughi siriani, molti dei quali (probabilmente il quaranta per cento) sono armati e disperati. Eppure, siamo convinti che il Libano riuscirà ad evitare la guerra civile. Anche se a maggio non sarà eletto alcun successore per il presidente in carica e si arriverà così ad un vuoto di potere, l'esercito si è preparato in vista di questa eventualità e pensa di avere appigli legali sufficienti ad evitare il crollo completo. Per il Libano non è una prospettiva allegra, ma la colpa è della parte politica che dispone di un indubitabile potenziale distruttivo e continua a servirsene come se si trattasse di una strategia efficace. Quanto sta succedendo in Libano è indice di disperazione, più che di realpolitik intelligente, e fa pensare che l'Arabia Saudita, sia pure inconsapevolmente, sappia che sta perdendo la guerra.

venerdì 10 gennaio 2014

L'occidentalame ha perso un sandalo



Ne trattammo a suo tempo.
Ugo Maria Tassinari ha uno stile improntato ad una certa sobrietà, nonostante gli argomenti che affronta. Per questa volta ha derogato dedicando a questo perfetto rappresentante dei "valori occidentali" due note perentorie.

Morto Roberto Sandalo, l’unico terrorista tricolore: rosso (Prima Linea) verde (Lega Nord) bianco (antislamico).

Il decesso, a 56 anni, nel carcere di Parma, pare per cause naturali.
Era in carcere per gli attentati antislamici del 2008, compiuti da lupo (quasi) solitario, con motivazioni da integralista cattolico. Uno stronzo supponente e megalomane.
Si noti il riferimento ai tre colori. Purtroppo lo stato che occupa la penisola italiana ne condivide l'utilizzo con compagini statali degne di ben altra considerazione.
Il secondo scritto è di qualche ora dopo, e un po' più articolato; vi compare il nome dello stato che occupa la penisola italiana e ce ne scusiamo come sempre con i nostri lettori.
Riporta tra le altre cose un certo articolo di gazzetta.

Roberto Sandalo, il comma Funari e il giorno che l'ho conosciuto.

“Se sei uno stronzo mica ti posso chiamare sciocchino”
(Gianfranco Funari)

Non mi lascerò fuorviare dal dibattito di questi giorni e dalla condanna dei discorsi dell’odio tracimati nei social network in occasione della malattia di Bersani)[*]. La morte non cancella quello che sei stato: Roberto Sandalo era un pessimo soggetto e gli occorreranno molte reincarnazioni per ripulirsi di tutto il male che ha fatto in questa vita, a ripetizione.
Da iperviolento che veste le sue pulsioni di nobili intenzioni di paladino dell’antifascismo militante.
Da terrorista opportunista che non esita a vendere i suoi compagni per pararsi il culo.
Da megalomane che non perde occasione di somministrare la sua presuntuosa idiozia pontificando a destra a manca contro chi ha scelto di non pentirsi per rispetto della propria storia e anche dei danni che ha fatto, accettando di pagarne il prezzo, come buona parte dei suoi compagni di Prima Linea.
Da provocatore al soldo di chissà quale  apparato di intelligence nell’infiltrazione nella Lega.
Da velleitario frustrato che, a rota di adrenalina, si inventa una personale one man band (armata) da neo-crociato.
Di quest’ultima stagione ci sono belle testimonianze nei blog di kelebek (parte 1 e parte 2) e di cloroalclero (una pacifista amica del popolo palestinese che fu bersaglio di un suo attentato, per fortuna fallito, rivendicato come Brigate cristiane combattenti) e quindi mi limiterò a raccontarvi il giorno che l’ho conosciuto. Un buon esempio di come in certe occasioni dentro una goccia d’acqua (o in uno schizzo di merda, per restare in materia) c’è tutto l’universo.
Erano i primi giorni di ottobre del '77. Assemblea dell’Autonomia al Politecnico, di bilancio dopo il convegno di Bologna e gli scontri per Walter Rossi. Io arrivo abbastanza in ritardo che sta già intervenendo un piemontese in trench bianco. Ci sta a spiegare in pubblica assemblea come si fanno gli scontri a Napoli.  Cioè: uno che ha sempre operato a Torino, la città con il centro storico piu haussmanizzato d’Italia, pretendeva di venire a fare lezione nella ex capitale che se l’era cavata con un semplice rettifilo, circondato da un intonso reticolo di vicoli e vicarielli.
Resto qualche minuto rapito ad ascoltare, poi raggiungo i miei. Rapido lo scambio di battute: “Ma chi è sto strunze?“. Mi fulminano in due: “Zitto e siedi, che è il nuovo commissario di Prima Linea“.
Un genio della clandestinità.
Del resto la prova evidente della sua mente malata era offerta da alcuni trucchi insegnati ai suoi “pischelli”:
1. Per nascondere il pistolone di ordinanza usare un trench una misura più grande. Ottimo, in una città dove c’era il sole 300 giorni all’anno. Quindi quando vedevi un compagno sull’autobus con l’impermeabilone bianco a luglio capivi subito: o è un tossico che non vuole far vedere le braccia, oppure...
2. Per non farsi riconoscere parlare in un altro dialetto. Regola che i suoi militanti, disciplinatamente, applicavano anche con gli ex compagni di scuola (il sottoscritto) creando situazioni di surreale sputtanamento...
Per fortuna durò un mese perché poi dovette partire per il militare.
No, se sei uno stronzo non ti posso chiamare sciocchino.

[*] L'ex segretario di un grosso partito politico, vittima nel gennaio 2014 di problemi neurovascolari.

giovedì 2 gennaio 2014

Firenze: San Theobroma è il nuovo contitolare di San Miniato al Monte



Golosoni di tutto il mondo: unitevi! La vostra meta è qui!
Presso la Premiata Fabbrica Monastica di Cioccolato e Golosità varie "Le Porte Sante"
Abbazia di San Miniato al Monte
Le Porte Sante - Firenze
L'avviso sacro affisso ad una delle porte dell'antichissima basilica di Firenze non lascia dubbi.
Ancora meno ne lascia l'esclamazione marxisteggiante con cui l'avviso si apre: il demonio modernista ha conquistato anche questi cuori.