martedì 1 ottobre 2013

Alastair Crooke - Repubblica Araba di Siria: i risultati controproducenti di una strategia



Traduzione da Conflicts Forum.
Lo scritto è comparso sul
Guardian del 29 settembre 2013.

Gli avvenimenti hanno preso una direzione strana; da essere sull'orlo di un intervento militare in Siria capace di far esplodere un conflitto regionale, adesso ci troviamo in uno di quei rari momenti di svolta nella questione Iran che sembra denso di potenzialità, compresa una soluzione per la Siria. Certo, da condizioni come quelle attuali si diramano strade che possono portare tanto a nuove soluzioni quanto a nuove fasi del conflitto.
Perché i possibili colloqui statunitensi con l'Iran sarebbero tanto ricchi di potenziali implicazioni? Dieci anni fa, da un punto di svolta analogo nacque un conflitto tra il cosiddetto "asse del male" e i "moderati" sostenuti dall'Occidente. La feroce resistenza di Iran, Siria, Hezbollah e (all'epoca) Hamas contro il tentativo di imporre in Medio Oriente una "egemonia della moderazione" ha fatto sì che rovesciare il governo siriano sia diventata una questione di fondamentale importanza per le monarchie sunnite del Golfo.
Dopo la guerra in Libano nel 2006 l'Arabia Saudita ha assistito con apprensione alla crescente popolarità dell'Iran e di Hezbollah anche nelle sue piazze sunnite; sembrava che l'Islam rivoluzionario avesse il vento in poppa. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, per i paesi del Golfo, è stata l'ondata di insurrezioni arabe del 2011, animata da un'evidente insofferenza per l'autorità costituita. Gli stati del Golfo hanno allora deciso di fare qualunque cosa pur di fermare l'Iran e le nuove correnti di pensiero, come quella dei Fratelli Musulmani allora in piena ascesa. Sembrava si trattasse di una questione di vita o di morte e rovesciare il presidente Bashar al Assad è diventato il punto cardine della strategia per contrastare l'Iran.
La strategia di contenimento messa in atto dai paesi del Golfo, basata sullo scatenamento di una "intifada" sunnita contro l'influenza sciita, sembra aver fallito. I sovrani del Golfo si trovano ora a dover ingoiare il rospo della marcia indietro di Barack Obama sull'aggressione alla Repubblica Araba di Siria e della sua apertura verso la Repubblica Islamica dell'Iran, con tutte le loro implicazioni. A rendere così traumatica la situazione c'è il fatto che non è stato solamente Obama, ma l'intero sistema statunitense, elettori e Congresso, a tirarsi indietro. Un vero sbandamento strategico. Assad resta al suo posto, e l'Iran non solo non viene tolto di mezzo, ma ne esce rafforzato.
Come conseguenza, i leader del Golfo si sono esibiti in un convinto tintinnare di sciabole e minacciano di andare dritti per la loro strada a dispetto della "debolezza degli Stati Uniti", decisi come sono a plasmare il Medio Oriente a immagine e somiglianza del loro autoritarismo. Tutto questo, tuttavia, è più che altro un pio desiderio, nonostante la vittoria di Pirro che potrebbero aver avuto in Egitto. Da tutto il loro soffiare sul fuoco dell'Islam sunnita stanno nascendo sia qualcosa di estremista anziché di moderato, proprio come nell'Afghanistan di trenta anni fa, sia un conflitto tra sunniti.
Anche la strategia dei paesi del Golfo nei contronti della Siria è andata in pezzi; non sta avendo successo sul campo e, paradossalmente, pare che l'imminente prospettiva di un intervento statunitense in Siria abbia dato origine ad uno scisma in seno all'opposizione siriana. I gruppi jihadisti temevano di essere il primo obiettivo degli attacchi statunitensi, prima tappa verso la messa in opera di un Libero Esercito Siriano che fosse la copia dei consigli per il risveglio sunnita in Iraq, al punto che per diversi giorni ci sono stati sanguinosi combattimenti tra fazioni diverse dell'opposizione. Il perverso risultato di tutto questo è stato l'ulteriore inasprirsi del radicalismo dei gruppi jihadisti in tutto il paese, sì che tredici delle fazioni combattenti più forti, primo tra tutti il Fronte di al  Nusra, adesso rifiutano di riconoscere l'autorità del gruppo di opposizione sostenuto dall'Occidente e si sono invece rivolti alla legge sacra.
Chi è che adesso può essere ritenuto il rappresentante dell'opposizione?
Davanti alla piega presa dagli eventi è probabile che nel Golfo rabbia e risentimento non facciano altro che crescere, ma fino a che punto le monarchie possono allontanarsi dall'orbita occidentale, alla quale sono legate in tanti modi? In fin dei conti, il punto di svolta cui ci troviamo presenta la possibilità di rivedere i passi fin qui compiuti in direzione di un conflitto; l'Iran sta già segnalando la propria disponibilità ad aiutare l'Arabia Saudita a fare le mosse necessarie, come indica chiaramente la recentissima nomina dell'ammiraglio ALi Shamkhani, ben noto a Re Abdullah per il ruolo di mediatore ricoperto in altre occasioni, a consigliere per la sicurezza nazionale.
Facendo a meno della contrapposizione tra Asse del Male e "moderati", è possibile anche arrivare ad una soluzione politica per la Siria. Come ha fatto notare un ex diplomatico, "I persiani e gli sceicchi sunniti litigano tutto il tempo, ma sono anche in grado di fare la pace senza che ci sia qualche outsider ad aiutarli". Se ricomporre le divergenze porterà frutti, è verosimile che la Siria ne sarà parte rilevante.

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