domenica 29 settembre 2013

Domenico Quirico, la "primavera araba", la "rivoluzione" traditrice e l'"Islam moderato" che non c'è


Anche Barbie si schiera con i "rivoluzionari" in Siria: lo giura Sami Hamwi da Syrian gay guy.
Con una wunderwaffe come questa, la vittoria non può mancare.

La primavera araba ha scosso il Nordafrica, un luogo che sembrava pietrificato nel tempo, coi suoi dittatori violenti, le sue oligarchie privilegiate e le enormi masse di giovani poveri, cui non resta altro che la fuga in Europa. Tunisia Egitto, Algeria, Libia, ogni paese oggi in rivolta è diverso, ma tutti si affacciano sullo stesso Mediterraneo e i loro destini sono intrecciati al nostro. Per raccontare la storia di queste rivoluzioni è necessario conoscere la gente, smarcarsi dalla propaganda, vivere l'atmosfera delle strade del Maghreb. Questo è il mestiere di un giornalista rigoroso, come Domenico Quirico, che ha visto coi suoi occhi i drammi e le speranze di quei giovani e ci restituisce in questo libro un modo per comprendere. Tutto è iniziato il 17 dicembre 2010, quando i poliziotti hanno requisito due cassette di mele e banane a Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante abusivo di verdura, e lui ha comprato una tanica di benzina, ha acceso un cerino e si è dato fuoco. Altre volte era serpeggiato il malcontento tra le popolazioni periferiche della Tunisia - quelle che i turisti non vedono -, ma questa volta è stato diverso e il fuoco di Mohamed si è rapidamente propagato in tutto il paese, dalla Tunisia è passato in Egitto e da lì in Algeria e in Libia. Tutto ha preso fuoco: la strada ha compiuto spontaneamente il primo miracolo arabo dopo mezzo secolo, questa volta senza urlare parole d'ordine antioccidentali o integraliste, ma semplicemente hurrya, libertà.

(Presentazione del volume di Domenico Quirico "Primavera Araba", Bollati Boringhieri, 2011)
Domenico Quirico è in forza da parecchi anni ad una gazzettina che si chiama "La Stampa" ed è diventato famoso suo malgrado nel corso del 2013 perché oggetto di attenzioni non richieste da parte di "ribelli" siriani che per vari mesi gli hanno imposto un'ospitalità estremamente scomoda.
Che cosa sia rimasto degli assunti di cui sopra dopo un'esperienza del genere, Quirico si è affrettato a raccontarlo in varie sedi e a vari pubblici e ancor più vari foglietti. E nel far questo ha finalmente tolto dall'agenda setting -almeno per quello che riguarda quanto gli compete- il concetto stesso di primavera araba.
Con l'espressione "primavera araba" altro non può intendersi che un costrutto squisitamente gazzettiero in cui si mescolano whishful thinking, trasandatezza, faciloneria, malafede e disinformazione omologante. Uno specchio deformante democratista e consumista già visto in opera praticamente identico ai tempi delle "rivoluzioni colorate" fomentate dagli yankee. Questo costrutto ha nelle ragazze con pochi vestiti addosso (anche a duemila metri e con la neve) il metro, il suggello e la garanzia necessaria e sufficiente della civiltà e del retto vivere, ad ogni latitudine ed in ogni contesto, e garantisce le tirature servendo ai sudditi una versione degli avvenimenti che deve essere innanzitutto metabolizzabile senza fomentare fastidiosi dubbi. Il fatto stesso che di "primavera araba" si ciarlasse sulle gazzette ha indicato fin dal primo istante a chi aveva una conoscenza anche minima, anche sommaria della realtà dei fatti che sarebbe stato molto imprudente unirsi al coro entusiasta che cinguettava deliziato sulla possente portata rivoluzionaria del Libro dei Ceffi e dimenticava allegramente un quotidiano di strade impolverate, pane ammuffito e fucili d'assalto.
E le strade impolverate, il pane ammuffito e i fucili d'assalto si sono riappropriati con tutta calma della scena, come era ovvio che fosse. Siccome sono meno remunerativi delle ragazze poco vestite, la "primavera araba" è stata fatta sparire dalle gazzettine senza tante delicatezze.
Il signor Quirico ha vissuto ovviamente male la poderosa serie di disconferme in cui è incappato. La Repubblica Araba di Siria è diventata il paese del Male di una rivoluzione che non c'è.
Chissà come ci sono rimaste le lesbiche di Damasco.
Nelle settimane successive al suo rientro nella penisola italiana, di Quirico si sono occupate anche le gazzette "occidentaliste".
E le gazzette "occidentaliste" non chiedevano di meglio.
In buon numero già crepate o prossime a crepare nell'indifferenza generale, portatrici di una visione del mondo che gli eventi hanno reso ancor più mandolinescamente demenziale del consueto, le gazzette "occidentaliste" hanno avuto da Quirico il materiale che serviva loro a rinfocolare per un altro po' il menzognificio del pressappochismo islamofobo in funzione da più di dieci anni.
Naturalmente, gazzettine sono e gazzettine restano, con la lebbrosa aggravante dell'"occidentalismo"; impossibile chiedere ad esse ciò che non possono fare, per esempio gettare a mare un po' di quella autoreferenzialità da barzelletta che è costata e che continua a costare alla sedicente "libera informazione" una quantità molto alta di atti di autolesionismo.
E proprio di un interessante atto di autolesionismo andremo a trattare un po' più nel dettaglio.
In un divertente articolo che riporta alla memoria le prodezze di Magdi Apostata Condannato Allam, di Souad Sbai, di Nello Rega e di altri mangiaspaghetti di adamantina incompetenza, il foglietto cattolico "Tempi" mette in bocca a Domenico Quirico la certezza che "l'Islam moderato non c'è" e che sarebbe ora che l'"Occidente" lo capisse.
L'Islam moderato non c'è?
Ma se è stato la stesso gazzettaio "occidentalista" a rendere conto tutti i santi giorni, e per tutto questo tempo, di come nella penisola italiana si stesse lavorando perché l'Islam moderato ci fosse!
L'edificazione pianificata di un "Islam moderato", ad uso e beneficio del tornaconto elettorale "occidentalista", ha assorbito nel corso degli ultimi anni una considerevole quantità di risorse e se ne è occupato direttamente quello che chiamano "Ministero dell'Interno"; dal momento che si trattava di un'operazione demenziale, condotta in modo demenziale e per fini demenziali, i risultati sono stati nulli ed ovviamente punteggiati di episodi ributtanti e ridicoli.
E ributtanti e ridicoli sono stati anche i risultati della lotta al terrorismo islamico, fenomeno in cui gli "occidentalisti" hanno classificato qualunque forma di Islam non rispettasse i canoni di "moderazione" che gli "occidentalisti" stessi avevano definito e volevano imporre. I risultati di quest'altro costosissimo impiego del denaro pubblico sono rendicontati da Carlo Corbucci nelle 1748 pagine de "Il terrorismo islamico, falsità e mistificazione". In esse si racconta con ampia facoltà di prova di come il clima di carcerizzazione integrale di ogni aspetto della vita associata voluto dagli "occidentalisti" si sia tradotto in una lunga serie di arresti con capi d'accusa forsennati finiti dopo qualche settimana -o dopo molti anni- con assoluzioni e tante scuse.
Nei casi meno gravi, dietro la sedicente lotta al terrorismo (islamico o meno) altro non c'è che la repressione del dissenso: nel 2004 per arrestare Moreno Pasquinelli e liberarlo per mancanza di indizi furono fatte
- 56.000 ore di intercettazioni telefoniche
- 5.000 ore di intercettazioni ambientali
- 2.500 ore di servizi di osservazioni, controllo e pedinamento
- 2.000 ore di riprese filmate
- 10.000 ore di intercettazioni telematiche
- 600 ore di decodifica di dati informatici.

Fanno in tutto oltre 75.000 ore, una di quelle belle cifre che fanno riflettere e ci ricordano che quelle tasse di cui ci lamentiamo non finiscono solo nelle pensioni.
Si moltiplichi il totale per il numero approssimativo di terroristislàmici da gazzetta con cui le redazioni "occidentaliste" hanno chiuso ogni numero per anni, e si avrà un'idea della cifra che lo stato che occupa la penisola italiana ha sperperato per i capricci dell'occidentalame.
Dei capricci più costosi, come la partecipazione alle aggressioni "occidentaliste" in Iraq, in Afghanistan o in Libia (quest'ultima più maramaldesca delle altre) non è il caso di riferire qui. 
Insomma, tutto inutile: lo dicono le gazzettine e lo conferma Quirico, rientrato dalla Repubblica Araba di Siria praticamente apposta.

sabato 28 settembre 2013

Pepe Escobar - Gli Stati Uniti aiutano a costruire un emirato islamico in Siria


L'esercito regolare della Repubblica Araba di Siria, per metà composto da tartassatori di lesbiche e per l'altra metà da carristi schiacciabambini.
Parola di gazzettiere.


Traduzione da Asia Times.

Nel caso servisse dare qualche altra mazzata alla favoletta della rivoluzione in corso per la costruzione di una Siria democratica, le grosse novità degli ultimi sette giorni possono servire a dissipare i residui dubbi.
Undici, tredici o quattordici formazioni "ribelli" (il numero esatto dipende dalla fonte delle notizie) hanno piantato il "moderato" Consiglio Nazionale Siriano sostenuto dagli Stati Uniti, e il (non tanto) Libero Esercito Siriano. I capi della scissione sono forsennati jihadisti di Jabhat al Nusra ma ne fanno parte anche altri simpaticoni come le brigate Tawhid e le Tajammu Fastaqim Kama Ummirat di Aleppo, alcune delle quali facevano parte fino a poco tempo fa del "Libero" Esercito Siriano ormai al collasso.
In pratica, i jihadisti hanno ordinato alla galassia "moderata" di sottostare ai loro ordini, di "unificarsi in una formazione di chiaro orientamento islamico" e di giurare fedeltà ad una Siria nel cui futuro la legge sacra sarà "unica fonte del diritto".
Ayman al Zawahiri deve aver segnato un punto da qualche confortevole rifugio a prova di drone, chissà dove nel Waziristan. Non soltanto perché la sua esortazione per uno jihad multinazionale come quello in Afghanistan negli anni Ottanta sta funzionando, ma anche perché il Consiglio Nazionale Siriano sostenuto dagli USA si è rivelato per quel roditore senza denti che è in realtà.
I fatti sul terreno continuano ad esserne conferma. Lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante sostenuto da Al Qaeda si è impadronito di una cittadina vicina al valico con la frontiera turca di Bab al Salam; l'abitato era prima controllato dal "Libero" Esercito Siriano, accusato di combattere per la "democrazia" e di avere legami stretti con l'Occidente. Questo non è esatto: il "Libero" Esercito Siriano vuole effettivamente legami con l'Occidente, ma sotto il controllo di una forma di governo in cui siano i Fratelli Musulmani a predominare. Lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante di cui Jabhat al Nusra è la principale componente siriana vuole invece realizzare un Siriastan talebanizzato.
Lo zoccolo duro delle bande jihadiste in Siria può contare circa diecimila combattenti, che però si addossano il novanta per cento degli scontri pesanti perché sono gli unici ad avere esperienza di combattimento; tra loro ci sono anche iracheni che hanno combattuto contro gli ameriKKKani e ceceni che hanno combattuto contro i russi.
Nello stesso tempo e non certo per caso, da quando il principe Bandar bin Sultan detto Bandar Bush è stato incaricato dal re saudita Abdullah di guidare lo jihad in Siria e di non fare prigionieri, il Consiglio Nazionale Siriano in cui dominano i Fratelli Musulmani e che è controllato dal Qatar è stato man mano messo ai margini.

Tagliate quelle teste pacifiste!
Intanto che tutto va a rotoli, nulla sta a pari con la scusa che l'amministrazione Obama ha tirato fuori per giustificare la propria "strategia", basata sull'armare e addestrare la componente più debole -fatta di bande del "Libero" Esercito Siriano infiltrate dalla CIA- e sul "vietare" che le armi finiscano in mano agli jihadisti. Come se la CIA potesse contare su qualcosa di affidabile, in mezzo alla miriade di finanziatori degli jihadisti con base nel Golfo e tra le loro fonti logistiche...
Il Consiglio Nazionale Siriano, il "Libero" Esercito Siriano e il cosiddetto "Supremo Comando Militare" in esilio, capeggiato dal fanfarone Salim Idriss ormai non sono altro che una burla. E tutto è successo intanto che il capo del Consiglio Nazionale, al Jerba, era all'assemblea generale dell'ONU a New York per incontrare il Segretario di Stato John Kerry, alias "Assad è come Hitler". Kerry non ha parlato di armi, ma di ulteriori "aiuti" e di futuri negoziati, e ha rinviato sine die la conferenza Ginevra II. Al Jerba è andato su tutte le furie. Come ciliegina sulla torta, qualcuno dei gruppi del suo "Libero" Esercito Siriano si è unito ad al Qaeda.
Per quale motivo? Basta seguire il corso del denaro perché in sostanza le cose vanno in questo modo. Almeno la metà degli effettivi del "Libero" Esercito Siriano è composta da mercenari che vengono finanziati dall'estero e che combattono dove i padroni che li armano e li pagano dicono loro di combattere. Il "Supremo Comando Militare" nel migliore dei casi controlla forse il venti per cento degli effettivi. E questa gente neanche ci vive, in Siria; sono tutti di base sul lato turco o giordano della frontiera.
I mercenari jihadisti invece sono sempre sul campo, sono quelli che combattono davvero; vengono pagati con regolarità e le loro famiglie ricevono la migliore assistenza.
Da ogni punto di vista pratico, la guerra adesso in corso è tra l'Esercito Arabo Siriano e un mucchio di jihadisti. Naturalmente, il mainstream si guarderà bene di andarlo a raccontare all'opinione pubblica occidentale.
Ora immaginatevi pure questi fan della legge sacra, mangiafegati e tagliateste, che vanno alla conferenza di Ginevra II a parlare di cessate il fuoco col governo siriano, e di possibili accordi di pace con l'asse della NATO e della Casa dei Saud. Naturalmente non succederà: l'ha già mandato a dire per telegrafo al presidente russo Vladimir Putin il signor Bandar Bush in persona.
Dal punto di vista statunitense la cosa peggiore è data dal fatto che non c'è modo di spiegare perché mai non possano svolgersi negoziati anche minimamente significativi. Persino i perplessi infedeli decerebrati che si occupano di questioni presentate come vitali dal governo sono capaci di fare due più due e di mettere insieme le orde di "ribelli" siriani che confluiscono in al Qaeda subito dopo gli attacchi degli Shebab al centro commerciale Westgate di Nairobi.
Non c'è bisogno di dire che a Baghdad stanno uscendo di testa, grazie agli sviluppi. Lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante si sta facendo strada a colpi di autobombe e di attacchi suicidi anche in Iraq perché il governo sciita, "apostata" e guidato da al Maliki costituisce un bersaglio altrettanto valido del laico Bashar al Assad. Difficile credere che solo cinque mesi fa io stesso mi fossi messo a scrivere dell'instaurazione dell'Emirato Islamico del Siriastan. Adesso vediamo anche come hanno fatto l'invisibile al Zawahiri e l'astuto Bandar Bush a mettere il cappello sulla "strategia" di Washington per raggiungere i loro scopi.

giovedì 26 settembre 2013

Alitalia fa rotta verso Fanculo - Quinta parte


In Alaska la pizza si consegna per via aerea. Esiste una pizzeria in Alaska che fa consegne con l'aereo.
I piloti in esubero di Alitalia potrebbero utilmente servire la causa dell'orgoglio "nazionale" consegnando maccheroni, magari usando gli Airbus in ragione di un volo per sette porzioni[*], secondo una prassi sulla cui razionalità economica la dirigenza non avrebbe sicuramente nulla da eccepire: almeno questo è quello che i precedenti fanno pensare. L'esclusiva su rotte "nazionali" come Palermo-Bozen o Lampedusa-Trst eviterebbe tra l'altro la diretta concorrenza dell'impresa nordamericana, nel caso questa decidesse di espandersi.
Militant Blog tratta la questione degli ovvi risultati delle privatizzazioni, in un post che riportiamo per intero.
Fa davvero specie questa levata di scudi a “difesa dell’italianità” di Telecom. Proprio coloro che vent’anni prima avevano avviato il più imponente processo di privatizzazione avvenuto nella storia, oggi si dolgono per i suoi frutti avvelenati. Il problema però è che tutto questo dibattito parte da presupposti sconclusionati, e lo capiscono anche i più lucidi fra i protagonisti, come ad esempio il primo ministro Letta.
Di fatto, qualsiasi impresa che viene privatizzata è già, di fatto, contraria alle logiche del tanto evocato “interesse generale”. La nazionalità dell’imprenditore di turno non è certo garanzia di scelte politico-economiche condivise. Non è necessario qui scomodare teorie sul capitale che è già, di per se, transnazionale, e dunque refrattario per sua natura ad ogni ipotetico “interesse nazionale”. Basta un po’ di cronaca quotidiana. In base a quale legge o regola di mercato un imprenditore dovrebbe puntare all’interesse nazionale della sua azienda? Ci pensa forse l’italianissimo Marchionne quando delocalizza la produzione all’estero? Per quale motivo il Bernabè di turno dovrebbe avere a cuore non il profitto della sua azienda privata, ma l’interesse nazionale da difendere? E in cosa cambierebbe se l’azienda passasse in mani spagnole? Accadrebbe questo: che i profitti generati dal controllo dell’azienda, invece di finire in tasca dell’imprenditore italiano finiscono in quelle dell’imprenditore spagnolo. Cosa cambia dunque per il tanto citato “interesse nazionale”? Nulla.
Stesso discorso vale per Alitalia. Questa già da anni non è più la “compagnia di bandiera” (per esserlo dovrebbe essere di proprietà dello Stato), ma un’impresa privata in mano ad una cordata di imprenditori guidati da Matteo Colaninno. E’ di fatto già transnazionale. Per quale motivo il suo prossimo passaggio in mani franco-olandesi dovrebbe nuocere all’interesse nazionale? Il ministro Lupi chiederà oggi al  suo omologo francese garanzie occupazionali. Con  quale coraggio la compagnia aerea che in questi cinque anni ha licenziato migliaia di lavoratori chiede ora garanzie di non licenziare ulteriore personale? Perché la proprietà francese non dovrebbe continuare laddove quella italiana ha già dato prova d’estrema efficienza capitalista? Cosa cambia per l’interesse dei lavoratori la provenienza della lettera che ne stabilirà arbitrariamente il licenziamento?
L’interesse nazionale, se di questo vogliamo parlare, è stato intaccato all’origine, col processo di privatizzazioni avviato dai governi di centrosinistra negli anni novanta. Che questi oggi si dispiacciano per il passaggio di consegne, non cambia di una virgola il fatto di come tutto questo dibattito sia solo fumo negli occhi. Perché la borghesia, così come il proletariato, sono classi prive di confini nazionali. Ogni vantaggio, in termini di classe, lo è immediatamente per tutti i propri appartenenti. Al di là dei confini nazionali. Questa pantomima può andare bene per qualche rigurgito nazionalista in vena di scherzare sulla perdita di sovranità, non certo per chi ragiona in termini di classe. La Telecom insomma, così come tutte le altre aziende statali privatizzate, sono da decenni ormai straniere. Con buona pace dei D’Alema di turno.
Post scriptum. Mentre scrivevamo, ci era sfuggita la parte comica della vicenda. Il Copasir (nientemeno) si è rivolto a Letta chiedendo di impedire la vendita agli spagnoli di Telefonica, perchè altrimenti si comprometterebbe la sicurezza nazionale:
http://www.repubblica.it/economia/2013/09/25/news/telecom_camusso_e_svendita-67243909/?ref=HRER2-1
Davvero abbiamo oltrepassato di molto il ridicolo. Telecom già vedeva come socio di maggioranza Telefonica, dunque già da anni Telefonica aveva accesso a questi fantasiosi dati segreti da non esportare all’estero. Oltretutto, sempre per ritornare al discorso centrale, perchè dei segreti di Stato nella mani di Bernabè dovrebbero essere custoditi meglio che nelle mani spagnole? Si tratta di due imprenditori privati, niente di più, niente di meno. Dei “segreti” ne fanno l’uso che gli pare.

[*] Ciascuna porzione collocata su un posto in business class. Non c'è motivo di negare qualche delicatezza.



sabato 21 settembre 2013

Stati Uniti d'AmeriKKKa: nessuno vuole la guerra di Obama. Conflicts Forum sul partito repubblicano e la Repubblica Araba di Siria.


Texas, 2007. Un soldato yankee mentre sottopone a test rigorosi una partita di democrazia da esportazione.


Traduzione da
Conflicts Forum.

Siria. L'analista Philippe Grasset ha sicuramente ragione quando scrive che in Siria la situazione si è stabilizzata grazie alla decisione di mettere sotto controllo internazionale gli arsenali chmici, ma che ancora è lontana dall'essere propriamente stabile. Per quando abbiamo avuto modo di vedere noi di Conflicts Forum nella nostra esperienza, situazioni come queste sono un po' come un ottovolante, fatte di alti e bassi. Basterebbe soltanto la più flebile affermazione che c'è stato un altro attacco chimico, o un altro massacro, per imprimere agli eventi un'altra direzione. Quello che fino ad oggi ha caratterizzato la crisi sitriana è stata proprio la presa determinante che gli eventi hanno avuto nell'imporre ad essa una direzione. Nel suo medio periodo, in cui preponderavano elementi dello jihadismo takfir, il clima politico e l'atmosfera del tempo erano determinati dagli assassinii e dagli attacchi suicidi. Queste circostanze hanno eliminato dall'equazione ogni elemento "moderato" togliendo ad esso qualsiasi influenza e privandolo di qualsiasi capacità di incidere sugli avvenimenti. Ora che la crisi è diventata una questione internazionale è possibile che questa nuova iniziativa stabilizzi le cose, ma in Siria ci sono ancora molte mani desiderose di far esplodere il paese sul viso dei propri nemici strategici. E' possibile che gli eventi si impongano anche sul piano internazionale: come risponderanno i vari "partiti della guerra" alla rinuncia condizionata all'aggressione che Obama va proponendo?
Grasset evidenzia il fatto che metre la crisi di per sé, aggressione o no, può anche essersi sopita, è verosimile che la crisi interna a Washington e ai paesi europei stia invece peggiorando fino a trasformarsi in una crisi politica molto più seria. Il suo volto ostentato è quello di una crisi che riguarda la politica estera, ma in realtà si tratta di molto di più: l'identità ameriKKKana sta vacillando, ed è entrato in dubbio il concetto che gli ameriKKKani e gli occidentali in genere hanno di se stessi. Da questo punto di vista, mentre essi si smarriscono dietro ai loro interrogativi morali, la questione della guerra in Siria è stata posta quasi esclusivamente nei termini della necessità per la civiltà occidentale di mettere in campo una "morale resa dei conti con il Male, in un teatro lontano". Non c'è dubbio che Obama si trovi all'angolo, in parte anche per colpa sua; se non riuscirà a trovare il modo di uscirne, sarà la sua presidenza ad uscirne rovinata. Parasossalmente, Obama si è trovato all'angolo proprio perché la causa siriana si presenta agli occhi dell'Occidente come profondamente radicata nelle vulnerabilità dell'occidente stesso. Impostare questa guerra lontana come se fosse uno specchio capace di riflettere i "nostri" valori, ha impedito ogni seria analisi a priori ed ogni considerazione sulle possibile conseguenze che essa avrebbe per il Medio Oriente. Non si è andati più in là del noialtri: man mano che sono emersi con sempre maggiore evidenza gli sviluppi, come il pericolo di una sonora bocciatura al Congresso o quello di una guerra regionale, Obama si è comprensibilmente aggrappato al tentativo di trovare una via d'uscita.

Il fatto che Obama sia finito all'angolo ha inaspettatamente svelato una più profonda crisi politica. L'opposizione all'aggressione così come è stata espressa al Congresso e dagli elettori non faceva riferimento soltanto al se si dovesse o meno aggredire la Siria. Come nota Grasset, essa riflette una profonda e potente tendenza a porsi delle domande sulle capacità della stessa amministrazione statunitense. McClatchy ha scritto il 9 settembre che "Domani, quando il Presidente Barack Obama si rivolgerà alla nazione perorando la causa dei raid aerei contro la Siria, avrà a che fare con il clima politico più ostile di tutto il periodo della sua presidenza. L'opposizione è trasversale: democratici, repubblicani, bianchi, neri, ispanici, vecchi, giovani, uomini e donne sono tutti profondamente scettici su questa missione. Secondo un nuovo sondaggio McClatchy-Marist, Una robusta maggioranza di elettori è contraria agli attacchi aerei e vuole che il Congresso dica no ad Obama. La maggioranza pensa che Obama non abbia le idee chiare su come si sta comportando con la Siria. La percentuale di ameriKKKani che approvano la sua linea in politica estera è ai livelli più bassi da quando Obama è presidente. E una maggioranza schiacciante pensa che in caso di voto negativo al Congresso, egli dovrebbe desistere. "Il presidente dovrà mostrarsi molto persuasivo, domani" ha detto Lee Miringoff, direttore del Marist Institute for Public Opinion di New York che ha svolto il sondaggio.

Un altro sondaggio realizzato da Pew mette le cose ancora più in chiaro: "Mentre prepara il suo discorso alla nazione del 10 settembre, il Presidente può avere un'idea di quanto la questione lo stia danneggiando. Il suo gradimento per come gestisce la politica estera è ai minimi storici e due terzi degli ameriKKKani non approvano come sta gestendo la questione siriana. In totale, il gradimento di Obama sta fra il 44 ed il 49 per cento, per la prima volta in più di un anno è finito in negativo. Lo studioso di scienze politiche Larry Jacobs, dell'Università del Minnesota, pensa si tratti di "un segnale significativo, dovuto parte al tipo di presidenza sotto il profilo dell'ordine storico, dall'altra a profondi dubbi sulla potenza ameriKKKana, e sulla potenza di questo presidente."

Ci sembra possibile concluderne, secondo quanto suggerito dai sondaggi, che la politica negli Stati Uniti sia in questo momento bersaglio di un movimento d'opinione in rapida crescita, e non tanto di una qualche effimera reazione a qualche discorso televisivo: Sempre secondo McClatchy (9 settembre) "E' possibile che il partito repubblicano assuma posizione contro la guerra! Questo cambiamento è dovuto in parte ad una viscerale disistima per il Presidente Obama, che poi è quello che propone gli attacchi contro la Siria. Qualcosa si deve anche ai rimorsi e alle lezioni imparate dalla guerra in Iraq. E qualcosa d'altro alle ramificazioni libertarie e isolazioniste germogliate dalle radici del Tea Party. Un gran numero di politici repubblicani, compresi i portavoce al Congresso, sostengono le pressioni di Obama perché si arrivi ad usare la forza contro il governo siriano, ritenuto colpevole di aver usato armi chimiche. Ma tra gli elettori, i semplici appartenenti al Congresso e molte voci influenti nel partito la tendenza è decisamente contraria alla guerra. "Nel nostro partito esiste un crescente movimento isolazionista", ha detto John Weaver, un consulente politico repubblicano di Austin, in Texas. "Il partito repubblicano è diventato popolare negli anni Quaranta, in parte grazie al suo instancabile anticomunismo,. I repubblicani hanno candidato l'eroe della seconda guerra mondiale Dwight Eisenhower alla presidenza nel 1952, ed Eisenhower ha vinto per due mandati consecutivi. La presidenza di Ronald Reagan è ancora oggi considerata con adorazione per i perentori discorsi che egli tenne contro l'Unione Sovietica, e nel suo discorso di inizio mandato del 2005 George Bush specificò la missione globale dell'AmeriKKKa. Adesso, tutto questo sta cambiando".

La "missione globale" del dopo guerra fredda cui Weaver si riferisce ha preso il via con il nome di "Dottrina Carter" attorno al 1980; essa impegnava gli Stati Uniti ad usare ogni mezzo necessario ad impedire che uno stato ostile estendesse il suo controllo al Golfo Persico. "Vista con il senno di poi", come afferma il professor Andrew Brachevich, "è abbastanza evidente che la cosiddetta Dottrina Carter si è tradotta in pratica in una dichiarazione di guerra da parte del Presidente, anche se lo stesso Carter non intendeva deliberatamente impegnare gli Stati Uniti ad un conflitto di durata indefinita in Medio Oriente. Di sicuro, quello che ne è seguita è stata una serie senza fine di guerre e di episodi militari. Nella sua formulazione iniziale la Dottrina Carter aveva una portata relativamente modesta, ma ha velocemente prodotto delle vere e proprie metastasi. Dal punto di vista geografico la sua portata si è estesa ben oltre i confini del Golfo Persico ed è arrivata ad abbracciare praticamente tutto il mondo islamico. Anche le ambizioni di Washington nella regione sono cresciute; anziché limitarsi a far sì che il Golfo non cadesse in mani ostili, gli Stati Uniti si sono messi velocemente nell'ordine di idee di diventarne essi stessi i dominatori. E dominarlo singifica in questo caso manipolare il corso degli eventi perché corrisponda al desiderio di Washington: si doveva controllare il Golfo per mantenerlo stabile, assicurare l'accesso alle più importanti riserve di energia del pianeta, controllare la diffusione del radicalismo islamico, combattere il terrorismo, rafforzare la sicurezza dello stato sionista e promuovere i valori ameriKKKani. E davvero è parso possibile arrivare a questo predominio tramite un utilizzo spregiudicato della potenza militare... o almeno, di questo si era persuasa Washington".

Secondo le considerazioni che hanno accompagnato i sondaggi, pare che sia in corso il collasso di questa "Dottrina Carter-Reagan". Dopo tutte le sconfitte militari, gli ameriKKKani della strada sembrano aver perso a grande maggioranza ogni fiducia in essa. E' diventata "un brutto film". Se le cose stanno così, da questo mutamento scaturiranno conseguenzwe sostanziali: se l'elettore ameriKKKano mostra tanto disincanto sulla questione siriana -e nel Regno Unito la grande maggioranza dell'elettorato si oppone ad ogni attacco senza curarsi del fatto che Assad abbia davvero ordinato gli attacchi del 21 agosto- è verosimile pensare che mostrerà maggior entusiasmo alla prospettiva di intraprendere una guerra contro l'Iran? Questo, i sondaggi non lo dicono; le ultime vicende fanno pensare che gli Stati Uniti non abbiano altra scelta che ripensare in blocco la propria strategia in materia, e di conseguenza l'intera strategia nel Golfo. Se in Arabia Saudita gli eventi saranno interpretati nello stesso modo, anch'essa dovrà trarne le stesse conclusioni: senza l'appoggio dell'Occidente le sarà difficile rovesciare l'influenza iraniana.

E'interessante il fatto che lo storico ameriKKKano -da sempre critico verso la politica estera statunitense- Wester Griffin Tarpley affermi che "Io sono dell'idea che sia venuta velocemente meno l'influenza [dell'AIPAC] e che essa abbia intrapreso una battaglia che è destinata a perdere. [L'AIPAC] Si sta muovendo sulla base di successi vecchi di decenni; non importa su quanta potenza essa può contare: stanno uscendo dal seminato. E stanno uscendo dal seminato perché il popolo ameriKKKano non è soltanto stanco di guerra, ma proprio disgustato dalla guerra".

Il Presidente Putin ha capito da tempo, fin  dal 2003, questo slancio ameriKKKano verso quella che i russi hanno definito come "incoerenza strategica" (intesa come deliberata mancanza di volontà nel prevedere la portata dei propri azzardi militari), nonché i rischi che le facevano da corollario rappresentati da volatilità e instabilità. Sulla base di tutto questo, e secondo il più classico stile russo, Putin ha porto la mano ad Obama per aiutarlo ad uscire dall'angolo. Nel far questo, come scrive con autorevolezza un ex dirigente del Mossad come Ephraim Halevi sulla gazzetta in lingua ebraica Yedioth Aronoth, "La Russia è tornata alla ribalta in Medio Oriente, e vi è tornata come potenza mondiale in grado di determinare mutamenti strategici. In questo, essa sta iniziando a spazzar via quarant'anni di assenza dalla regione, iniziati quando i suoi protetti Egitto e Siria fallirono nella guerra del Kippur proprio quarant'anni fa".

La Siria ha poco da perdere in tutto questo finché le cose rimangono come sono, cosa che non è detto duri molto a lungo. Le armi chimiche già si trovavano di fatto sotto controllo russo ed iraniano perché erano diventate materiale di interesse strategico più che un armamento in sé, e gli alleati della Siria, specialmente in Iran, sono estremamente ostili a qualsiasi utilizzo di armi chimiche. Questa ostilità nasce dal fatto che molti appartenenti alla leadership iraniana ne portano addosso gli effetti, essendo essi stessi rimasti vittime di attacchi con i gas durante la guerra con l'Iraq. Inoltre il bilancio della deterrenza in Medio Oriente viene definito in misura sempre maggiore non dalle armi di distruzione di massa, che servono a poco quando amici e nemici si mescolano in modo così stretto sul terreno, ma dagli armamenti convenzionali. E nel campo degli armamenti convenzionali la supremazia occidentale è stata erosa, non soltanto dal processo di accumilazione, ma dal fatto che quella che alcuni definiscono "guerra di quarta generazione" ha cambiato la propria natura diventando qualche cosa in cui le azioni su larga scala caratteristiche della dottrina militare occidentale si sono rivelate di assai debole efficacia.



domenica 15 settembre 2013

Aggredire o no la Repubblica Araba di Siria? Le incertezze yankee secondo Conflicts Forum


Traduzione da Conflicts Forum.

Prospettive di un intervento statunitense in Siria. Sta diventando più evidente l'asprezza del dilemma che il Presidente Obama si trova ad affrontare, e nondimeno ne rimane oscura la soluzione. Gli sforzi compiuti il mese scorso dal Principe Bandar per corrompere Putin affinché abbandonasse Assad (si legga qui) e il parallelo indaffararsi di Tehran per ventilare la possibilità di una soluzione politica ad opera degli iraniani sono falliti. E' stata l'Arabia Saudita, senza alcuna intromissione occidentale, a fare in modo che in Siria si arrivasse ad un'escalation militare, con "capisaldi" dell'opposizione nel nord e nel sud del paese. L'intento era quello di cambiare gli equilibri sul terreno così da costringere Assad ad una "transizione"; in questa "transizione" gli sarebbe stato richiesto di abbandonare tutti i poteri esecutivi che caratterizzano la sua carica. Bandar ha esplicitamente detto a Putin che un'escalation militare avrebbe comportato come inesorabile conseguenza la constatazione del fatto che Putin aveva rifiutato i "consigli" dei sauditi.
Dal punto di vista dei sauditi, il problema è che sia il fronte nord che il fronte sud dell'opposizione stavano subendo l'accerchiamento da parte dell'esercito siriano. Il caso delle armi chimiche è venuto fuori proprio mentre il fronte nord si ritrovava accerchiato: è stato immediatamente ripreso da funzionari sionisti e dalla stampa dello stato sionista, e di séguito sbandierato sugli organi di comunicazione internazionali. Che Putin e gli altri alleati della Siria si siano mostrati tanto scettici è cosa che desta scarsa meraviglia. Putin ha suggerito con chiarezza che probabilmente tutta la questione non è che una provocazione calcolata, ovvero un'operazione sporca organizzata dai servizi cui hanno probabilmente cooperato sia i sauditi che i sionisti per costringere Obama a quell'intervento militare che è poi il "cambio di passo" di cui c'è un bisogno disperato se si vuole che l'opposizione finisca per avere il sopravvento in Siria.
Dapprincipio questa notizia, arrivata proprio al momento giusto, è sembrata ideale dal punto di vista occidentale; lo è sembrata anche a quanti possono condividere i sospetti di Putin. Mentre si insisteva per un intervento militare ad ogni costo, si dava per scontato che Russia ed Iran si sarebbero rassegnati all'inevitabile: per tutelare in modo razionale i propri interessi -hanno pensato statunitensi ed alleati- Hezbollah, Iran e Russia avrebbero assistito passivamente alla "limitata azione" dell'AmeriKKKa e al pareggiamento degli equilibri di forza tra insorti e governativi in Siria che questa avrebbe comportato. La stampa sionista è stata la più chiara in proposito: lo stato sionista non aveva nulla da temere perché nessuno degli alleati della Siria avrebbe seriamente corso il rischio di confrontarsi direttamente con gli Stati Uniti e con i loro alleati europei.
Poi però è successo l'inatteso: la Siria ed i suoi alleati non hanno supinamente accettato l'intervento statunitense ed hanno detto senza mezzi termini che come conseguenza avrebbe avuto lo scoppio di una guerra regionale. Proprio quello che Obama e i militari statunitensi temevano di più. Obama ed il Pentagono vogliono evitare ad ogni costo un'altra guerra in Medio Oriente. A complicare ulteriormente le cose, a tutt'oggi gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno esibito alcuna prova definitiva che addossi alla Siria la responsabilità dell'attacco chimico. Siamo ancora alla "somma delle probabiltà", alla "logica", a dire che "l'opposizione non ha simili capacità", che è un'affermazione palesemente falsa. Obama fa chiaramente molta attenzione, e ha ben presente l'Iraq, a non dare il via ad una guerra regionale sulla base di qualche inconsistente conclusione dei servizi: "Ricordate, io sono uno che si è opposto alla guerra in Iraq, e non mi interessa ripetere gli errori che sono stati fatti prendendo decisioni sulla base di informazioni sbagliate" ha detto il Presidente statunitense durante una conferenza stampa a Stoccolma, prima di recarsi al G20.
La Siria e i suoi alleati non hanno risposto nel modo che sarebbe stato desiderabile; lo rivela la posizione dello stato sionista, passata da toni apertamente sanguinari (dovuti al rischio di ripercussioni) a qualcosa di differente. I sionisti sanno che Hezbollah e l'Iran sono sul piede di guerra; Putin ha avvisato più volte in pubblico che l'intervento statunitense porterà ad una guerra regionale, e lo stesso Putin, in un'intervista pubblicata mercoledi scorso, ha detto che era troppo presto per dire che cosa avrebbero fatto i russi se gli Stati Uniti avessero aggredito la Siria, ma ha aggiunto anche: "Le nostre idee sul da farsi le abbiamo, e sappiamo anche come farlo, se la situazione evolverà verso l'uso della forza o in altri modi. Abbiamo i nostri piani". Per cercare di conferire ulteriore credibilità alle minacce, gli Stati Uniti hanno spostato delle navi da guerra nel mediterraneo; messi sotto pressione, la Siria e i suoi alleati non hanno fatto alcuna marcia indietro. Tra l'altro il Presidente Assad ha detto chiaramente che la Siria si difenderà, anche se questo dovesse comportare il rischio di una terza guerra mondiale.

Questo è il punto chiave nel dilemma di Obama: ritirarsi ed affrontare avversari che lo accusano di essere un debole con l'ordine mondiale che sta collassando, la potenza dell'AmeriKKKa frustrata, l'Iran rafforzato eccetera (non solo gli avversari veri e propri, ma con ogni probabilità anche il suo Segretario di Stato, che nutre forti ambizioni politiche) oppure rischiare di portare l'AmeriKKKa in una guerra di vaste proporzioni che il Pentagono è impreparato ad affrontare, senza fondi sufficienti per l'impresa e in un momento in cui il sostegno popolare manca del tutto da parte di un pubblico chiaramente stanco delle guerre. Il Presidente invece ha scelto di andare a parlare al Rose Garden e di rifilare la patata bollente al Congresso. Ha fatto molta attenzione a prendere le distanze dalla "paternità" di qualsiasi cosa possa nascerne. Nel corso della sua permanenza in Svezia, Obama ha negato che la sua credibilità politica si trovi sotto scacco e ha insistito sul fatto che non è stato lui a stabilire una "linea rossa" oltre la quale scattava una risposta militare nel caso il governo siriano avesse fatto ricorso ad armi chimiche. "E' stato il mondo a stabilire questa linea rossa, quando governi che rappresentano il novantotto per cento della popolazione mondiale hanno stabilito che l'utilizzo di armi chimiche fa inorridire e hanno sottoscritto un trattato che ne proibisce l'utilizzo, anche se gli stessi paesi firmatari si trovano coinvolti in una guerra. Non si tratta di qualcosa che ho inventato io, o che ho tirato su dal nulla".
Non è chiaro se questa mossa riuscirà a mettere spazio tra lui e il dilemma di cui sopra. Sarebbe facile concludere, stando a quello che si vede nei media mainstream, che entrambe le camere del Congresso si stanno allineando verso l'intervento in Siria: "Boehner è d'accordo col sostenere Obama per quanto riguarda la Siria", "Il comitato esteri del Senato approva una risoluzione che autorizza l'attacco ameriKKKano alla Siria".
Dagli ambienti di Washington, tuttavia, arrivano informazioni che tratteggiano un quadro assai diverso. Il comitato esteri del Senato ha fatto passare la mozione favorevole all'intervento con poco scarto: i voti sono dieci contro sette ed un astenuto. L'impressione è che alcuni falchi abbiano fatto valere la loro influenza dietro le quinte. Se al Senato il successo di Obama appare fragile, è facile dedurne che al Congresso le cose siano messe anche peggio. La sera del 4 settembre il conto delle intenzioni di voto riportato da ThinkProgress mostrava che soltanto quarantasette membri del Congresso erano orientati per il sì, che centoottantasette erano per il no o orientati verso il no, e che duecentoventi ancora non lo sapevano o erano indecisi. Firedoglake riportava dati simili: cinquantacinque propensi per il sì o decisi per il sì, centocinquantacinque per il no o propensi al no. Una fonte al confresso ha detto che in base a quanto gli avevano riferito alcuni esponenti repubblicani, l'amministrazione sarebbe stata costretta a ritirare la risoluzione o a rimandare il voto alla Camera. Si noti che i tempi prevedevano, nelle intenzioni, il dibattito al Senato per il 10 settembre e il voto il giorno stesso, o il giorno dopo. La Camera doveva discuterne a partire dal 12 o all'inizio della settimana successiva.
Ovviamente è possibile che l'amministrazione cambi le cose alla Camera, ma Politico blog, che conosce l'ambiente, fa notare: "Alcuni repubblicani alla Camera ci hanno detto che vari esponenti di primo piano fino ad oggi non sono rimasti contenti delle informazioni secretate dei servizi che l'amministrazione ha reso disponibili. Un importante esponente della Camera ha detto che l'amministrazione non è riuscita a presentare il caso come di fondamentale importanza "al di là dell'aver causato una spasmodica indignazione morale".
"Nessuno ha davvero sentito dire in che modo un attacco potrebbe migliorare la situazione sul terreno in Siria, migliorare le cose per i gruppi favorevoli alla democrazia, non rivelarsi favorevole ad AlQaeda, ai russi o ai cinesi", ha detto il capogruppo. "I membri della Camera hanno capito che l'amministrazione non ha prestato alcuna attenzione a come evitare che questo succeda di nuovo. In molti pensano che si tratti di qualcosa che si deve fare "per lo stato sionista" o perché "quello che è successo è inaccettabile".
"Un altro ci ha detto che il Presdente Obama dovrà farne una questione personale migliore agli occhi del pubblico, non solo a quelli del Congresso; se sei a mercanteggiare al Congresso, devi farlo anche alla Camera. Detto in altre parole, il paese potrebbe trovarsi ad assistere all'avvincente spettacolo di un Congresso che boccia una risoluzione di guerra sostenuta sia dal Presidente che da tutte le massime cariche elettive. E mercoledi pomeriggio un importante esponente repubblicano alla Camera ha detto che la mozione potrebbe davvero venire bocciata". Secondo lo stesso Politico gli elettori che hanno chiamato al Congresso si sono espressi contro l'intervento nel novanta per cento dei casi.
In breve, l'indecisione potrebbe rivelarsi un boomerang per il Presidente Obama, se il Congresso dovesse esprimersi negativamente; Obama si è rimesso un'altra volta alla buona sorte quando ha affermato che comunque il Congresso si esprima, il suo parere non è vincolante per la prerogativa del Comandante in Capo di dare il via ad un'azione militare. Nel caso, il dilemma di Obama si sarà ulteriormente aggravato: da una parte la Siria e i suoi alleati stanno facendo risuonare i loro ammonimenti sul pericolo di una guerra di più vasta portata, nonostante alcuno di essi abbia interesse a fomentare un conflitto del genere; dall'altra l'indecisione sta facendo il gioco della lobby interventista, dei falchi [anti] iraniani e dell'AIPAC, concedendo loro il tempo che gli serve per mettere in piedi le contromosse necessarie a contrastare ogni passo indietro.
E' possibile che per quanto riguarda la questione siriana (si legga anche qui) Obama sia ben avviato verso una grossa sconfitta politica.

sabato 14 settembre 2013

Oriana Fallaci è morta da sette anni, giustamente nell'indifferenza generale. Se ne ricorda solo Marco Cordone.


L'elettorato attivo di Firenze ha sempre accolto la propaganda e la pratica politica degli "occidentalisti" con atteggiamenti compresi fra l'indifferenza più gelida e il disprezzo più ostentato. Nel fallimento delle ambizioni politiche di una gazzettistica manciatina di inutili mangiatori di spaghetti hanno comunque avuto un ruolo anche la sporcizia, la abietta inanità, l'inconcludenza ridicola e l'estraneità puramente marziana rispetto alla realtà cittadina delle istanze che essi hanno propagandato.
Nonostante i mass media e i legislatori negli ultimi vent'anni abbiano fatto l'impossibile per criminalizzare spicciativamente qualsiasi aspetto della vita associata che non spostasse denaro dalle tasche di chi ne ha poco a quelle di chi ne ha molto, propagandare per gli "occidentalisti" a Firenze significa a tutt'oggi rischiare forte anche nell'incolumità personale.
Le iniziative politiche "occidentaliste" in città devono per forza di cose svolgersi soltanto in poche e limitate sedi e sotto la stretta vigilanza dei gendarmi: di solito si tratta di un paio di piazze contigue in pieno centro e -eloquentemente- di altrettanti cimiteri.
Proprio in un cimitero si trova il Marco Cordone della foto.
La tomba sullo sfondo è quella di Oriana Fallaci.
La gazzetta che ha pubblicato il servizio fotografico è "La Nazione".
Fino allo scorso anno l'anniversario della morte di Oriana Fallaci veniva celebrato con molto maggiore sfarzo e molta maggiore visibilità.
Ora, invece, ci sono un sacco di problemi: partiti politici ad un passo dall'estinzione, gazzette crepate ed un continuo infrangersi di ogni sano proposito contro la parete di granito costituita dal principio di realtà.
Ci si è messa anche la curiosità della gendarmeria a rendere consigliabile di non farsi più vedere tanto in giro, e meno che mai a quello Hotel Mediterraneo che ospitava questo genere di cose nella più degna delle sedi.
Sicché Marco Cordone, che quando fa queste cose si fa chiamare Lega Nord (Nord dev'essere il cognome) ha organizzato due inziative in un giorno ed in orari in cui la gente perbene è a lavorare.
Le ha organizzate in perfetta solitudine.
E vi ha partecipato in perfetta solitudine.


giovedì 12 settembre 2013

Matteo Renzi, un versatile e redditizio boiscàut tra gentrification e propaganda


Per moltissimi anni l'esposizione mediatica delle istanze "occidentaliste" e delle loro più o meno ben vestite incarnazioni ha dominato il mainstream senza alcun contrasto. La confutazione della propaganda "occidentalista", il dileggio e l'esplicita istigazione alle vie di fatto nei confronti di chi se ne è fatto portatore sono a tutt'oggi uno dei temi ricorrenti in questa sede e non occorre insistervi troppo; basterà ricordare a chi legge che, a furia di insistere, la saturazione mediatica ha colpito piuttosto pesantemente e davanti al rovinare dei fatturati e soprattutto dei consensi elettorali gazzettieri e capogazzettieri sono stati costretti a rivolgersi altrove, senza mettere peraltro in discussione alcunché della linea editoriale dei rispettivi foglietti.
Da qualche anno il mainstream ha dunque lasciato spazio ad organizzazioni e partiti politici che si sono presentati per lungo tempo come avversari dell'"occidentalismo" mentre ne abbracciavano sistematicamente tutti gli usi, tutti gli interessi e tutti i "valori" -innanzitutto la propensione alle carnevalate da gazzetta, come quella nell'immagine- al punto da diventare ottimi referenti per gruppi di interesse di qualunque ordine e grado e di rendersi in nulla distinguibili dai loro sedicenti avversari.
Il coronamento di questo percorso è in essere da qualche mese ed è costituito dall'esecutivo in carica nello stato che occupa la penisola italiana.
Questa introduzione pare necessaria affinché i lettori abituati a realtà normali riescano ad inquadrare nella giusta luce l'esposizione mediatica dell'alcalde fiorentino Matteo Renzi. Il testo che segue viene da Kelebeklerblog.com e presenta una sintesi della pratica politica di Renzi alla quale nulla c'è da aggiungere. Il nome dello stato che occupa la penisola italiana compare nel testo originale: ce ne scusiamo con i nostri lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.
L’altra sera, il piccolo popolo dell’Oltrarno si è riunito in assemblea, nonostante pioggia battente e una partita di calcio in televisione, per capire come rispondere alla decisione del sindaco Matteo Renzi – annunciata, come sempre, in un’intervista  – di far sventrare la storica Piazza del Carmine dalla Firenze Parcheggi. Una società diretta da Marco Carrai, l’uomo che ha permesso all’ex-scout di Rignano di incontrare, tra l’altro, Angela Merkel.
Oltre a Piazza del Carmine, il sindaco ha deciso di sfondare Piazza Brunelleschi, una piazzetta nascosta tra i vicoli dietro il Duomo, in cui dovrebbero infilarsi tutti quelli che sono ansiosi di arricchire i localari il sabato sera. In qualunque cittadina della Francia che abbia almeno una chiesetta vecchia di qualche secolo, i parcheggi li tengono fuori le mura, ma a Firenze vogliono parcheggiare, ubriacarsi e dare un’occhiata distratta al Battistero in un solo colpo.
Ascolto le voci. Come sempre in questi casi, qualcuno forse esagera, e poi le cose non sono mai colpa di una persona sola; ma aiuta a capire un’atmosfera.
“Quello che mi fa rabbia è che quando la Firenze Parcheggi ha detto che voleva fare un parcheggio interrato di due piani, abbiamo fatto assemblea dopo assemblea, siamo andati a parlare con tutti – tranne il sindaco che da un anno dice che ci vuole vedere in faccia e poi non si è mai fatto vedere. Abbiamo detto, benissimo, sgombriamo la piazza e abbiamo fatto tanti studi per trovare altri posti dove sistemare le macchine. Abbiamo spiegato uno per uno tutti i motivi per cui l’Oltrarno non voleva il parcheggio, e quello cosa risponde? Che lui ha deciso di fare un parcheggio di tre piani invece che due, e che non si potrà discutere ‘se’ farlo, ma solo ‘come’”.
“Ma vi ricordate in che contesto ha dato l’annuncio Renzi? Ha detto che voleva usare Firenze per dimostrare all’Italia quanto poteva fare, in tre mesi.”
“Tanto poi lui scappa per chissà dove, che gliene importa cosa succede all’Oltrarno, a noialtri ? Lui risponde solo alla Ferrari, quando fanno le feste sul Ponte Vecchio“.
“Ma avete visto, vi ricordate come il sindaco si vanta di aver pedonalizzato Piazza Pitti, così quando dobbiamo andare a San Niccolò ci tocca fare cinque chilometri in più, ma intanto lui si è fatto la vetrina… ieri sera, hanno affittato Palazzo Pitti a un gruppo di promoter finanziari, per farci la festa, e ci hanno parcheggiato sulle rampe 49 pullmini senza permesso, quarantanove!, che se io parcheggio fuori posto, mi fanno la multa, ma a Firenze c’è du’ pesi e du’ misure!”
“Ma il permesso ai pullmini dicono che ce l’avevano, gliel’avevano dato a voce, che qui siamo in monarchia e si fa così!”
“A me quello che fa più rabbia, invece, è quando vai in Comune per la trentesima volta, e cascano dalle nuvole, e ti dicono che loro non ne sanno nulla, nessuno li ha informati, fateci una relazione, che tanto non la leggeranno mai”.
“Mica è sempre colpa loro, che qui a Firenze ormai fanno tutto in segreto quattro persone, dal 2011 da quando quello lì, che io il padre lo conoscevo che c’aveva una ditta di quelli che ti mettono la pubblicità nelle buche delle lettere, ha deciso di conquistare l’Italia, se ne sbattono pure dei dipendenti comunali come dei partiti, gli interessano solo quelli che hanno la rendita.”
“Dovresti andare in consiglio comunale un lunedì”, mi suggerisce un libraio che ha perso il lavoro a causa di una speculazione immobiliare in centro. “C’è quello che chiacchiera al telefonino, l’altro legge il giornale, sembra di stare al mercato… poi arriva il Re, come lo chiamo io, tutti improvvisamente zitti, non vola una mosca, lui parla per mezz’ora e poi va via, in modo che nessuno possa fare domande… e mentre se ne va, lo segue una folla di giornalisti e di consiglieri.”
Una ragazza ci legge un documento contro il parcheggio, firmato dal PD dell’Oltrarno. “Ma il sindaco non ascolta più nemmeno il suo partito, non ci riceve… spero che almeno ascolti i comitati, fatevi sentire, protestate!”, dice sconsolata.

“Sì, e lo sai dov’è il sindaco stasera, mentre ci riuniamo qui? E’ a parlare a Porta a Porta, e noi per farci sentire abbiamo i manifestini che attacchiamo alle fermate dell’autobus, ecco come siamo messi!”
Mi raccontano di una famiglia di anziani, cacciati dalla loro casa da uno speculatore che adesso la sta rivendendo come appartamento di lusso.
Ci vogliono espellere tutti, fare del nostro rione un deserto! Qui una volta c’era tanta gente, e oggi le case sono vuote, nella piazza laggiù, in tutto quel grande palazzo non c’è nessuno, l’ha comprato il più grosso albergatore di Firenze, si vede che ha ordinato un parcheggio sotto casa! Io questo qui, l’avevo votato, come tutti, ora mi mordo le mani… mi hanno detto che l’altro candidato, che io non ho votato, aveva perso un figliòlo di quattordici anni, magari ha più cuore.”
“E quello che si è comprato tre locali quando sembrava che non avesse più un soldo, dopo essere fallito senza pagare i dipendenti? Che ogni sera mettono fuori i tavolini senza permesso, tanto i vigili non passano, i camerieri pachistani non parlano una parola d’italiano e non ti capiscono quando protesti, e fanno musica fino alle tre di notte, con i clienti che vanno a fare la pipì dietro i cassonetti sotto casa mia e la mattina quando porto i bambini a scuola fa una puzza, e i macchinoni che bloccano la strada, che se arriva un’ambulanza non passa?” incalza una signora.
“O quello stilista che ha preso una vecchia chiesa e ci ha fatto un night dove si ballava senza che ci fossero nemmeno le uscite di sicurezza, e il tecnico del Comune che gli ha rilasciato i permessi poi si è preso un anno di aspettativa per lavorare proprio per lo stilista, che magari l’hanno mandato a divertirsi per un anno a Santo Domingo?”
“Si permettono di fare qualunque cosa – l’altro giorno c’era un camion carico di cemento di quelli enormi, hanno bloccato la strada, l’hanno fatta tutta contromano, e quando mi sono permesso di dire che avrei chiamato i vigili, hanno detto, ‘tu fatti i c… tuoi, che abbiamo i permessi!”
“E come fanno a concedere permessi in questo modo, come a quel costruttore che ha quaranta palazzi in città e pole fare icche vole, pure un piano in più quando gli gira, mentre se io cerco di cambiare gli infissi alle finestre, mi arriva la Soprintendenza? Questa è la gente che comanda qui, e non c’è più nessuno a fermarli!”
Poi si alza Lidia, e riassume tutto; magari in modo meno popolare, ma molto chiaro.
“Qui non stiamo parlando solo di un parcheggio. Prima ancora, c’è un modo diverso di vedere un quartiere, una città e forse anche il mondo. E in questo momento, noi qui in Oltrarno siamo come le dune di sabbia che impediscono al mare di divorare tutto“.

martedì 10 settembre 2013

La primavera araba che diventa inverno gelido. Riccardo Venturi sulle "rivoluzioni" da gazzetta


Le "primavere arabe" di un paio di anni fa sono finite come finisce ogni invenzione gazzettiera e ci sarebbe stato da meravigliarsi del contrario. Uno scritto di un certo Adam Shatz spiega come, a detta di una funzionaria del Bahrein all'ONU,
i manifestanti in Piazza delle Perle [...] non lottavano per la democrazia o per delle riforme costituzionali: erano agenti dell'Iran e di Hezbollah. Quando invocavano la repubblica, intendevano una repubblica islamica di tipo iraniano, dove gli alcolici sarebbero stati proibiti e le donne moderne come lei sarebbero state costrette a portare il velo.
Per fortuna le sono venuti in aiuto i soldati di un paese [l'Arabia Saudita, n.d.t.] dove gli alcolici sono già proibiti e le donne emancipate come lei sono già costrette a portare il velo...
Nei primi anni della guerra civile nella Repubblica Araba di Siria gli "insorti" hanno avuto un appoggio completo ed immediato da parte delle gazzette, e questo è un tema che i nostri lettori conoscono piuttosto bene. 
Hanno avuto anche un appoggio quasi incondizionato da parte di moltissimi attivisti politici. La nulla conoscenza del terreno e l'idea universalmente condivisa che qualche femmina poco vestita sia arma necessaria e sufficiente a fermare gli AK47 branditi da qualsiasi drappello di soldati governativi sono costate ai meno impermeabili alla logica ripensamenti piuttosto impegnativi.
Gli altri -la maggior parte- hanno tirato diritto come se niente fosse cercando di forzare gli eventi per renderli compatibili con una panoplia interpretativa sempre più povera ed inadeguata.
Riccardo Venturi cura antiwarsongs.org su cui compare lo scritto riportato sotto. Prende spunto dalla disavventura di un fogliettista che dopo aver fatto per vari mesi esperienza personale dell'idealismo e dell'urbanità della "rivoluzione", è tornato nella penisola italiana animato da uno spirito piuttosto differente.
"Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana, ma può essere che questa rivoluzione mi abbia tradito. Non è più la rivoluzione laica di Aleppo, è diventata un'altra cosa, molto pericolosa e complessa", ha detto all'arrivo scambiando alcune parole con i giornalisti presenti. Poi ha continuato: "È come se fossi vissuto cinque mesi su Marte, ho scoperto che i miei marziani sono malvagi e cattivi. Ho saputo solo oggi chi è il presidente della Repubblica del mio paese".
Direi che sono parole sulle quali, quantomeno, meditare. Magari anche proprio da parte della “Stampa” e di tutta la stampa (con la minuscola) allineata nella sua totale cecità. Le meditino anche i non pochi dementi in salsa “rivoluzionaria”, quelli che vedevano gli “anarchici” in Siria con tanto di “Brigate Internazionali”. Le quali sembra che ci siano davvero, ma di fanatici che vanno a combattere con gli integralisti.
Ho in mente questi qua che si sciacquavano la bocca, e le loro tastiere, con il termine “rossobruni” che va tanto di moda. Con le accuse di “sostenere Assad” e il “dittatore di turno”. Va da sé che mi sono, anche ai tempi della Libia, goduto i tanti “interventismi occidentali” da parte di questi tromboni, conditi persino coi paragoni con la Guerra di Spagna; questi qua vedono “Durruti” ovunque. Il bello è che, poi, sono quelli che s'inalberano tanto quando vedono qualcosa che indulge non dico all'islamismo, ma anche alla stessa comprensione del problema; da una parte s'incazzano per le teocrazie islamiche, dall'altra sostengono “interventi” che porterebbero al potere il peggiore e più feroce oscurantismo religioso. Eppure l'Afghanistan avrebbe dovuto insegnare loro qualcosina.
Pregiandomi di non essere certamente a favore di nessun tipo di teocrazia e di integralismo “religioso” (e neppure di alcun tipo di “moderatismo”, basta considerare quanto spinga il turco [M]Erdogan per l'intervento armato in Siria; e pùppati anche le mancate Olimpiadi, stronzo!), cerco esclusivamente di essere realista. Il realismo impone che l'illusione delle “rivolte laiche” in quei paesi, come constatato amaramente dal giornalista Quirico, è appunto, una tragica illusione.
Non solo di “rossobruni”; ci tocca beccarci pure di “complottisti”. Eppure quel che è successo dalla Tunisia fino all'Egitto, dalla Libia fino alla Siria, non sono “complotti”, sono cose ben reali. O forse agli “anarchici” de noantri piace tanto la bella Libia di adesso, dove sicuramente sventola la bandiera della rivoluzione libertaria; o l'Egitto di Fratelli Musulmani da una parte e militari dall'altra; o la Tunisia dove si assassinano uno dopo l'altro i leader di sinistra che si oppongono al partito religioso di merda; o la Siria dove scorrazzano i jihadisti o come cazzo li si vuole chiamare). La quantità di cazzate che hanno sparato e continuano a sparare questi qui è pari soltanto a quella dei pennaioli di regime, che si sono scoperti tutti “ribellisti” tranne poi venire sbugiardati alla grande, ad esempio, proprio dal loro inviato poco cerimoniosamente prelevato e trattato come un cane. Con la fortuna di essere stato rispedito a casa, buon per lui.
Se non fosse stato rapito, però, magari ora ci ritroveremmo il Quirico bello uniformato sulle “armi chimiche di Assad”, tipo Gad Lerner l'altro giorno su “Re-Pubica”. E questo non è “sostenere il dittatore”; è semplicemente dover rivedere, una buona volta, alcuni concetti che ci siamo incancreniti nelle nostre teste vuote.
Ci piace tanto la “laicità”, a condizione che in certi paesi non sia affidata a un Saddam Hussein (laicissimo) o a un Assad. Ci garba da morire la “condizione della donna”, però facciamo le coalizioni e gli interventi che favoriscono regolarmente i barboni che alle donne mettono il burqa (chi li sosteneva i Talebani al tempo dell'intervento sovietico?). Dovremmo concluderne che ci piacciono soltanto le “rivoluzioni” che sono di nostro gusto, e che fabbrichiamo con ridicole costruzioni teoriche campate in aria. Quando ci si accorge che gli eventi vanno in tutt'altra direzione, è troppo tardi; allora entrano in campo i “diritti dell'uomo”, gli ispettori ONU (Organizzazione dei Nani Ubbidienti), le immancabili “armi chimiche”, tutto il consueto armamentario che però, stavolta, in Siria sembra non avere incantato molto. E, naturalmente, gli interventi armati fatti ad hoc per creare il vero scopo: la frammentazione e la confusione. La riduzione di paesi e popoli interi a riserve di guerra infinita, quindi facilmente controllabili e che non rappresentano più buchi neri nelle aree strategiche. Per fare questo, gli integralismi religiosi sono perfetti: permettono di mantenere il mondo intero in uno stato di “guerra al terrorismo”, permettono di vendere armi su armi, permettono -una volta eliminati i “dittatori”- di iniziare la trafila di baggianate delle “conferenze di pace e riconciliazione”, e intanto arrivano affaristi a frotte tra le macerie dei paesi non solo distrutti, ma che non sono più ricostruibili né fisicamente, né nelle coscienze. “Divide et impera”. Permettono l'installazione di fantocci alla Karzai, permettono le “missioni di pace” che aumentano a dismisura le spese militari. Permettono tutta una serie di cose che bisogna non essere miopi, ma addirittura ciechi per non vedere; ma è del tutto inutile.
Resta il problema dei dittatori, è vero. Una volta o l'altra bisognerà vedere se sia più “dittatore” Assad o il primo ministro turco neoliberista sfrenato. Se sia stato più “dittatore” Gheddafi o il suo amichetto traditore Berlusconi. A rega', questi le “rivoluzioni” come garbano a voantri nun le fanno; e allora continuate, e buon integralismo ben finanziato (ad esempio dall'Arabia Saudita, noto baluardo della democrazia occidentale). Parafrasando Nanni Moretti: Vi meritate Gad Lerner. Vi meritate che alle persone cui è rimasto un po' di sale in zucca caschino le palle nel dover constatare che è meglio il Papa di voi. Vi meritate il vostro “libertarismo” e la vostra “democrazia” da mentecatti, che poi si rivelano essere immancabilmente il loro esatto contrario. Vi meritate Sarkozy e Hollande. Vi meritate il “Premio Nobel per la Pace”.
E noialtri ci meritiamo di essere, nostro malgrado, costretti a dirvele sul viso queste cosine.

domenica 8 settembre 2013

Repubblica Araba di Siria: il coinvolgimento saudita nella guerra ad agosto 2013 secondo Conflicts Forum


Combattenti ceceni in Siria (Fonte: longwarjournal).

Traduzione da Conflicts Forum.

"E' come se... i massimi responsabili politici degli Stati Uniti non avessero imparato nulla da quello che è successo nello scorso decennio. Vogliono rovesciare governanti stranieri che percepiscono come nemici e non si preoccupano nemmeno delle più elementari considerazioni sulle conseguenze. Un intervento in Siria non farà che allargare la zona di instabilità in Medio Oriente ed espandere il raggio delle attività terroristiche. Non riesco assolutamente a capire che cosa gli Stati Uniti stiano pensando di combinare."
Così pensa Alexei Pushkov, presidente della commissione esteri della Duma. Crediamo si tratti di un punto di vista che rispecchia quello di Putin: dal 2003 in avanti i paesi occidentali hanno dimostrato una "incoerenza strategica" e sono pronti a gettarsi in confronti armati senza alcuna consapevolezza delle possibili conseguenze.
Al momento in cui scriviamo nessuna azione militare statunitense ha ancora avuto luogo in Siria. sempre che alla fine si verifichi davvero. Pare che ci sia stato qualche ripensamento stavolta, pur nell'imminenza dell'attacco, sia per la completa mancanza di sostegno popolare -nel caso del Regno Unito mancano sia il sostegno popolare che l'approvazione del parlamento- sia per le lunghe ombre lasciate dalle illegalità commesse nel 2003 nel caso dell'Iraq. Fin qui, comunque, si è avuta l'impressione che gli Stati Uniti fossero decisissimi a lanciare qualche missile da crociera contro la Siria e che il dibattito a Washington abbia riguardato solo il modo di farlo, se come azione una tantum rivolta contro qualche bersaglio di ridotta importanza strategica o come attacco avente l'obiettivo di ridurre in maniera significativa le capacità militari della Repubblica Araba di Siria. Nel caso venisse scelta questa seconda alternativa, cercare di capire quale potrebbe essere la risposta di Assad sarebbe un compito piuttosto lungo. Colpire direttamente l'apparato militare siriano significa suscitare quasi certamente una risposta da part dei siriani, laddove un'azione una tantum potrebbe essere semplicemente assorbita. Mentre l'intenzione che si dichiara in pubblico è quella di tradurre in pratica una concretizzazione "civilizzatrice" degli ideali occidentali, Jeff Feltman (un ex addetto al Dipartimento di Stato oggi assistente del Segretario Generale dell'ONU, e ben noto avversario della Repubblica Islamica dell'Iran) ha lasciato intendere ai suoi interlocutori iraniani durante la visita a Tehran del Segretario Generale che gli obiettivi potrebbero essere abbastanza diversi. Ha detto -e qui pare che stia parlando per gli Stati Uniti, più che per l'ONU- che occorre concretizzare una specie di "equilibrio di forze" tra l'esercito del Presidente Assad e gli insorti armati. Dal punto di vista degli Stati Uniti, indebolire militarmente Assad è fondamentale per sperare di arrivare ad una "transizione", vocabolo che indica eufemisticamente lo svuotamento della carica di Assad di ogni potere esecutivo. Feltman ha praticamente suggerito agli iraniani che nel caso se ne stiano buoni e con le mani a posto intanto che gli Stati Uniti provvedono a pareggiare le forze in campo tramite il prospettato intervento militare, ci potrebbe essere una sorta di compensazione per l'Iran in tutti gli eventuali processi politici a seguire, come Ginevra II. Hanno avvertito l'Iran affinché accetti supinamente ogni mutamento della situazione plasmato a misura degli interessi degli Stati Uniti, in cambio di un non meglio definito ruolo nella messa in opera dei piani degli statunitensi. Sulla base delle esperienze passate, sappiamo che il concetto di "attacco limitato", ovvero l'idea di contenere l'attacco nei limiti di portata prestabiliti, di solito regge alla prova dei fatti non più di qualche minuto. Ci sono sempre delle (buone) ragioni dal punto di vista militare per dare il via ad azioni più consistenti, che servono a ridurre il rischio di una ritorsione, e Feltman ha messo sul tavolo a Tehran anche le ragioni politiche -oltre a quelle militari- per una campagna prolungata.

Non si possono prevedere in nessun caso le conseguenze del lancio di missili da crociera, e anche se a priori simili operazioni vengono considerate veloci ed indolori, nei fatti le cose vanno in questo modo solo poche volte. Si possono comunque fissare alcune prime impressioni: intanto, qualsiasi attacco da parte di una potenza straniera compatterà il sostegno verso i simboli dello stato; persino i dissidenti politici si raccoglieranno attorno ad essi. Un'azione militare statunitense non farà che rafforzare il Presidente Assad, e farà figurare i sostenitori dell'intervento straniero come burattini nelle mani dell'aggressore e come responsabili della rovina della patria. In Siria qualsiasi attacco del genere non farà probabilmente altro che esacerbare la situazione di instabilità e, con i suoi effetti intrinsecamente polarizzatori, renderà meno raggiungibile una soluzione politica perché le spaccature si approfondiranno. Difficilmente si arriverà ad una Ginevra II con questi sistemi, a meno che gli Stati Uniti non siano disposti ad arrivare fino alla completa distruzione dello stato siriano.
A chi assiste dall'esterno appare chiarissimo che l'intervento militare ameriKKKano, nel caso si verifichi davvero, aggraverà le tensioni geostrategiche nella regione. Da una parte la Russia, la Cina, l'Iran e l'Iraq reagiranno negativamente all'intento statunitense di indebolire Assad. La Russia ha già fatto presente che, anche se non interverrà direttamente, intende frapporre ogni sorta di ostacoli all'intraprendenza degli Stati uniti. Dubitiamo che l'Iran cerchera di trasformare il conflitto in una guerra regionale, ma è verosimile che nell'imminenza di un attacco ameriKKKano Iran e Russia aumenteranno il proprio sostegno militare diretto ed indiretto, nonché il proprio sostegno politico, alla Siria. Detto in altri termini, che Russia, Cina ed Iran siano disposti a far vincere facilmente gli USA è fuori questione. La spaccatura geostrategica che li separa dall'Occidente si allargherà: Cina, Russia ed Iran si avvicineranno ancora di più e questo avrà un impatto diretto sulla struttura del gruppo 5+1 che sta cercando di negoziare una soluzione per la questione del nucleare iraniano. E' anche possibile che la questione finisca per troncare le relazioni già tesde all'interno del 5+1. Allo stesso modo è verosimile che si approfondiscano le spaccature a livello regionale, soprattutto nella prospettiva del tentativo saudita di restaurare il mubarakismo in Egitto, di fomentare il clamore contro Assad e di destabilizzare il Libano e l'Iraq. Molti nella regione pensano che la politica saudita guidata dal principe Bandar abbia preteso troppo e stia per crollare su se stessa anche se oggi come oggi può sembrare avviata verso il successo. Le divisioni sono così destinate ad approfondirsi.
L'aspetto meno prevedibile è che le iniziative statunitensi sono spesso intese come se gli Stati Uniti fossero in grado di controllare da soli le loro azioni. Si tratta di un'illusione. In realtà, le iniziative statunitensi suscitano una serie di risposte imprevedibili e nel Medio Oriente di oggi, incattivito e putrido, esiste una quantità di altri protagonisti (alcuni dei quali ci sono sconosciuti) pronti a usare l'intromissione statunitense come punto d'appoggio per dare il proprio contributo al peggioramento generale della situazione.
Tre settimane fa, poco prima della visita di Feltman a Tehran, il capo dei servizi sauditi principe Bandar ha fatto durante un incontro col presidente Putin una proposta fuori dall'ordinario cui è stata data ampia risonanza; molti dettagli sono stati resi noti in Russia. Bandar si è presentato a Putin affermando che qualsiasi accordo il suo paese e la Russia possano mai raggiungere sarebbe vincolante per il regno saudita: Bandar, in pratica, si è presentato come plenipotenziario delegato dal re. Ha poi aggiunto che ogni accordo avrebbe avuto anche l'approvazione statunitense e ha lasciato intendere che la sua missione avesse anche la benedizione degli Stati Uniti. Bandar voleva innanzitutto sottolineare l'esistenza di interessi comuni tra Arabia Saudita e Russia, cosa che dovrebbe tradursi in un comune impegno nel contrastare e indebolire i Fratelli Musulmani e l'Islam radicale in tutto il Medio Oriente. Bandar ha suggerito che sarebbe di comune interesse anche sostenere la giunta al potere in Egitto, e che i sauditi potrebbero sostenere finanziariamente una vendita di armamenti russi all'Egitto. Poi Bandar è venuto al punto essenziale di tutto questo "accordo": ha offerto alla Russia la proposta di controllare insieme il prezzo del petrolio sui mercati mondiali, e di salvaguardare gli interessi russi nel campo del gas, ma soltanto se il Kremlino ritirerà il proprio appoggio al governo di Assad in Siria. Bandar ha assicurato nuovamente Putin del fatto che il nuovo governo siriano, da insediare dopo il rovesciamento di Assad, sarebbe stato sotto completo controllo saudit e avrebbe dunque rispettato gli interessi russi in Siria. Dopo queste carote, Bandar è passato al bastone: quanto Putin sia rimasto offeso e meravigliato dalla straordinaria franchezza di Bandar possiamo solo immaginarlo. Bandar ha detto che i gruppi ceceni che tante preoccupazioni hanno causato alla Russia e a Putin con la loro violenza sono stati sin dal primo momento sotto controllo saudita. Bandar ha aggiunto, come ulteriore chiarimento, che i ceceni che operano in Siria sono un puro strumento di pressione contro Assad, e che egli stesso poteva comandarli a proprio piacimento. Bandar ha poi minacciato implicitamente Putin, affermando che era in suo potere fare in modo che i terroristi minacciassero i giochi olimpici invernali previsti nella località di Sochi. "Posso garantire la sicurezza dei giochi olimpici del prossimo anno. I ceceni che minacciano la sicurezza dei giochi siamo noi a controllarli", ha detto Bandar secondo uno dei rapporti filtrati all'esterno.
Che gli statunitensi abbiano dato il loro benestare a queste palesi minacce di atti terroristici sarebbe una sorpresa. Ma se dobbiamo fidarci di tanto dettagliati resoconti dei colloqui, non sorprende invece quello che si va scrivendo sulle gazzette occidentali circa le crescenti preoccupazioni statunitensi su quanto sta acadendo in Arabia Saudita. Anche in Medio Oriente c'è chi pensa che il regno saudita stia esponendosi troppo e si stia comportando in modo incoerente e disturbato. Gli Stati Uniti non sono stati contenti quando l'Arabia Saudita è parsa incoraggiare il generale Sissi perché facesse resistenza agli ammonimenti ameriKKKani diretti ai suoi generali, perché non reprimessero pesantemente manu militari i Fratelli Musulmani, e ancor meno lo sono stati in séguito, a fronte del linguaggio eccezionalmente duro, e apparentemente diretto proprio contro Washington, con cui alti funzionari sauditi, tra cui re Abdullah, hanno condannato il colpo di stato. Il re ha dichiarato che «[i]l regno prende posizione ... contro tutti quanti cerchino di interferire con gli affari interni dell'Egitto" e ha poi affermato che criticare la repressione posta in atto dall'esercito significava aiutare i "terroristi". Ancora più di recente, per la prima volta Hezbollah ha incolpato direttamente i sauditi per alcune bombe esplose in Libano, destando la preoccupazione di quanti si sono sentiti direttamente chiamare in causa. Viene da pensare che l'Arabia Saudita abbia cercato di cacciare i capi di Hezbollah in un serio ginepraio sul piano della politica interna, per minare le capacità del movimento di combattere in Siria.  Secondo altri commentatori libanesi il chiaro rifiuto dei Sauditi di ammettere qualsivoglia partecipazione di Hezbollah a qualunque nuova compagine governativa in Libano, a qualunque titolo -per rappresaglia contro le iniziative siriane del movimento- stia oggi come oggi condannando il Libano ad un periodo indefinito di stallo politico e più specificamente ad un periodo di grande instabilità e insicurezza. Se Bandar è quello che ha portato i ceceni in Siria -gente che ha decapitato giornalisti occidentali e massacrato curdi, sceicchi sunniti e cristiani, almeno stando a quanto si legge in giro- e oggi sta minacciando di far colpire al terrorismo ceceno i prossimi giochi invernali, gli Stati Uniti e l'Europa hanno davvero qualche motivo per preoccuparsi sul serio.