sabato 1 giugno 2013

Assad sta vincendo la guerra. La situazione nella Repubblica Araba di Siria a fine maggio 2013 secondo Conflicts Forum



Traduzione da Conflicts Forum.

Nel corso di questa settimana [24-31 maggio 2013, n.d.t.] il sostegno critico nei confronti dello stato siriano è andato incontro ad un poderoso consolidamento per due motivi. In primo luogo, perché esso fa da diretto contraltare all'insistente idea dell'Occidente di un intervento militare nel paese; secondariamente, come risposta ai tentativi francesi, britannici e statunitensi di far crescere la pressione contro la Russia nella prospettiva di una possibile conferenza internazionale, di una seconda edizione di Ginevra. Si vedano a questo proposito l'infiltrazione sotto copertura del senatore McCain nella Siria settentrionale e la decisione dell'Unione Europea, per l'insistenza di Francia ed Inghilterra, di togliere l'embargo sull'invio di armi agli insorti.
A fronte di tutto questo anche Russia, Hezbollah ed Iraq si sono dati da fare, riuscendo a neutralizzare di fatto ogni tentativo occidentale di far diminuire la loro influenza nella questione. I russi in particolare hanno affermato che i missili S300 sarebbero stati consegnati alla Siria in modo da costituire, secondo le parole del viceministro degli esteri Sergej Ryabikov, un "fattore stabilizzante" fatto per impedire a "certe teste calde" di entrare nel conflitto. Siria e Russia si sono date da fare per ammantare di studiata ambiguità la dislocazione effettiva dei sistemi e il fatto che siano operativi oppure no. Oltre a questo, la Russia ha reagito gonfiando i muscoli per mandare a dire all'Occidente -e allo stato sionista in particolare- che la nuova generazione di missili S300 possiede nuove e sofisticate capacità per la guerra elettronica, e che se sarà necessario anche l'esercito russo è pronto a entrare nel conflitto.
Il discorso di Seyyed Hassan Nasrallah in cui rivendica apertamente il coinvolgimento di Hezbollah negli scontri attorno a Qusayr (una località nella cui popolazione esiste una componente sciita libanese, distribuita nella cittadina e attorno ad essa) fa parte della più ampia operazione di deterrenza che ha il compito di rendere inoffensivi i propositi occidentali.
L'Iraq, che sta soffrendo le crescenti pressioni esercitate dagli elementi sunniti radicali ed in cui scontri a fuoco e bombe hanno falciato più di cinquecento persone solo nell'ultima settimana, ha contribuito da parte sua con maggiore discrezione, concentrando un grosso schieramento di truppe alla frontiera con la Siria nella prospettiva di distruggere le basi di supporto di cui AlQaeda dispone appena al di là della frontiera.

Pare che il deterrente russo abbia funzionato. La Casa Bianca, oggi come oggi, appare meno propensa ad intervenire, soprattutto in considerazione di sondaggi statunitensi che mostrano scarso sostegno dell'opinione pubblica ad un intervento e della violenza che sta diffondendosi in Libano e in Iraq. La Francia e il Regno Unito continuano con un atteggiamento improntato ad una maggiore intransigenza, ma anche nel loro caso armare la già ben armata opposizione è più un qualcosa che serve ad opporsi a qualsiasi negoziato, una specie di bastone da agitare sul viso di Mosca e di Damasco, che non un qualcosa che vogliono davvero fare. In intima connessione a questo venir meno dell'opzione militare bisogna considerare anche l'implosione del baraccone occidentale messo in piedi per assumere il ruolo di "governo di transizione" a Damasco. Le speranze occidentali si basavano dapprincipio sull'accaparrarsi la cooperazione dei turchi per Ginevra II, e la Casa Bianca era riuscita in questo intento. In secondo luogo, sul mettere Mosca sotto pressione politica. L'obiettivo era quello di arrivare a stabilire un consenso privo di compromessi tra gli "Amici della Siria" e l'opposizione in esilio sulla richiesta di un "governo di transizione" che avrebbe usurpato tutti i poteri presidenziali in campo esecutivo e militare, rovesciando di fatto Assad. La Russia ha respinto al mittente l'iniziativa: il Presidente Assad sarebbe rimasto al potere come Presidente di guerra e avrebbe mantenuto anche il controllo delle forze armate. Lo stesso Presidente Assad ha fatto presente il proprio rifiuto: la costituzione siriana non prescrive niente in materia di poteri presidenziali devolvibili, ed ha anche affermato -a maggior scorno dei paesi occidentali- che qualcunque sia il risultato di una seconda conferenza di Ginevra, esso dovrà essere sancito da una consultazione referendaria estesa a tutto il popolo siriano. Le schermaglie tra Arabia Saudita e Qatar sembrano arrivate al punto giusto per dare il colpo di grazia alla Coalizione prima e ancora che essa possa sedersi al tavolo negoziale, per non parlare poi dell'avanzare pretese tanto perentorie. I sauditi, con il sostegno statunitense ed europeo, hanno cercato ad Istanbul di allentare il controllo dei Fratelli Musulmani sulla Coalizione aggiungendo altri venticinque membri al suo organo centrale. Il Qatar e i suoi sostenitori hanno parato il colpo perché soltanto altri sei membri sono stati aggiunti al consiglio di una Coalizione che, imbronciata, ha affermato che non avrebbe partecipato a Ginevra II. Sicuramente su di essa verranno esercitate altre pressioni affinché partecipi alla conferenza, ammesso che essa si tenga davvero. Come ha notato sarcasticamente Lavrov, questi esiliati non hanno comunque nessunissimo controllo su quello che sta accadendo sul terreno, e danno l'impressione di "star facendo tutto quello che possono per imperdire che si metta in moto un processo di tipo poitico... [in modo che si arrivi] a decidere per l'intervento militare". Sul terreno la situazione continua comunque ad evolvere, e sta evolvendo a favore del Presidente Assad.

Come affermato da Conflicts Forum la scorsa settimana, il caso dei missili russi S300 ha grosse ripercussioni per lo stato sionista e per la sua politica nei confronti della Repubblica Islamica dell'Iran. I Russi si sono mostrati molto sicuri del fatto che l'ultima generazione di sistemi S300 non possa essere messa fuori gioco dalle capacità sioniste in materia di contromisure elettroniche. Questo almeno è quello che Putin ha fatto intendere a Netanyahu nel corso del loro incontro a Sochi. Se le cose stanno effettivamente in questo modo, la dislocazione degli S300 in Siria costituisce una potenziale minaccia all'indiscusso controllo sionista dello spazio aereo sopra il Libano e la Siria. I russi hanno anche affermato che i missili saranno seguiti da tecnici russi e che ogni attacco contro di essi sarà un atto di guerra contro la Russia, oltre a comportare per i sionisti il rischio di perdere sia l'aereo attaccante che il suo equipaggio. Chiaramente, i sionisti possono anche prendere in considerazione il rischioso tentativo di distruggere i sistemi in Siria e quindi di entrare in guerra direttamente con la Russia, ma non possono permettersi di aprire un simile vaso di Pandora senza il pieno sostegno del Prsidente Obama. Di contro, se la fornitura di S300 si rivela in grado di mettere a terra l'aviazione sionista per i settori del Libano e della Siria, anche le minacce unilaterali dei sionisti su un attacco all'Iran perderanno credibilità. Obama non può certo dirlo apertamente ma è facile immaginare che accoglierebbe con calma soddisfazione la sparizione di quella spada di Damocle perennemente sulla sua testa che è rappresentata dalla minaccia di un attacco contro l'Iran condotto dai sionisti di loro iniziativa. Un sostegno statunitense per un'azione militare sionista contro i missili russi in Siria deve apparire dubbio per gli stessi sionisti, perché appoggiare un'azione del genere implica anche il pensare a cosa fare come mossa successiva. Il loro attacco contro Damasco dell'inizio di maggio, a conti fatti, deve essere costato ai sionisti molto caro.

Un articolo di Edward Dark, che è lo pseudonimo di uno dei protagonisti dell'opposizione liberale e borghese ad Aleppo che tutt'ora vive in una città più nota per la sua lealtà al Presidente Assad considera con acutezza la fine delle speranze di queste élite cittadine composte da una middle class dalla buona cultura, che aspiravano ad una rivoluzione politica idealistica in Siria, quando si sono trovate davanti alla scioccante realtà delle masse povere sunnite che offese, amareggiate e piene di odio, hanno marciato su Aleppo per avere "vendetta contro tutte le ingiustizie sofferte in passato" a spese delle élite urbane della Siria, più che per qualche fine di tipo rivoluzionario, e che hanno ucciso a capriccio, saccheggiato e distrutto. "Non erano mosse dalle nostre stesse motivazioni, non cercavano libertà, democrazia e giustizia per tutti i siriani. Erano mosse da odio puro e semplice e da voglia di vendetta per se stesse". La sua descrizione della "paura elementare, del terrore e della disperazione" che prendono alla gola, causati da questi "ribelli", da questi "profittatori signori della guerra" e dagli "islamisti radicali" e delle amare recriminazioni rivolte contro se stessi che tutto questo ha provocato presso i suoi compagni di strada mossi dall'idealismo, che ora si accusano di esser stati inizialmente ingenui e stupidi, è il ritratto basato su un vivido microcosmo di come, in un contesto più ampio, l'opinione pubblica abbia cambiato parere e si sia aspramente schierata contro i "ribelli" a causa della loro brutalità ma soprattutto a causa dell'aver compreso come non ci sia stata alcuna rivoluzione. Non c'è stata alcuna rivoluzione, non c'è stata alcuna visione avventurosa sul futuro; solo la soddisfazione del desiderio di un settore della società a lungo messo all'angolo di avere vendetta per i rancori da lungo tempo covati.


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