domenica 31 marzo 2013

La Repubblica Araba di Siria e il contesto mediorientale nel marzo 2013 secondo Conflicts Forum



Traduzione da CFS Weekly Comment.


L'ordine di grandezza dei carichi di armi consegnati all'opposizione siriana. In un articolo che ha il placet dell'ufficialità il New York Times delinea a chiare lettere l'ampia scala dei trasferimenti di armi verso l'opposizione siriana negli ultimi diciotto mesi. Quasi ogni giorno grossi aerei cargo provenienti dal Qatar e dalla Giordania (si tratta di almeno centosessanta voli) hanno scaricato in aeroporti della Turchia e della Giordania; le armi arrivano, tramite canali aperti dalla CIA e da altri servizi segreti occidentali, soprattutto dalla Croazia e da altri paesi dell'Europa orientale; secondo l'articolo citato, e si tratta di una stima prudente, su tratterebbe di qualcosa come tremilacinquecento tonnellate. E' bene essere chiari: tremilacinquecento tonnellate sono una quantità di armi enorme. La scala di questo ponte aereo fa semplicemente scomparire l'equivalente organizzato per la resistenza afghana nel corso degli anni Ottanta del passato secolo. L'articolo evidenzia anche quali sono gli scopi che gli Stati Uniti intendono raggiungere rivelando questi particolari. Il Presidente degli Stati Uniti non è certo rimasto a guardare come si vorrebbe dare a intendere; l'ideatore del ponte aereo è Petraeus, e naturalmente le armi sarebbero destinate soltanto a "gruppi scelti dell'opposizione". Il che significa che lo scopo principale dell'articolo è quello di negare che gli Stati Uniti abbiano senza volere consegnato armi ad Al Qaeda. A questa rivelazione può tuttavia essere attribuito anche un altro significato: quello di indicare l'assoluto fallimento militare dell'opposizione armata spalleggiata dall'Occidente, dato l'ordine di grandezza delle forniture di armi che adesso si ammette abbiano raggiunto questi gruppi nel corso dell'ultimo anno e mezzo. L'unico successo militare che l'opposizione può vantare oggi come oggi è dato dal possesso della cittadina di Raqa, nel nord del paese, che per giunta è stata conquistata dal Fronte di Al Nusra, affiliato ad Al Qaeda. Il fronte di Al Nusra non consente ai gruppi di opposizione vicini all'Occidente di entrare in città, perché "potrebbero essere più interessati a saccheggiare che a combattere". Come nota Alex Thomson di Channel Four, l'ala più numerosa dell'opposizione armata in questo momento è occupata a Damasco a sparacchiare a caso con i mortai uccidendo civili: "E' difficile riscontrare casi in cui la tattica dei ribelli qui nella zona sfoci in qualcosa di diverso dal puro terrore e dalla demoralizzazione. Se [i ribelli] pensano di star colpendo dei bersagli militari, qui c'è una lista degli obiettivi degli ultimi tre giorni a dimostrare la loro letale incompetenza". La maggior parte degli osservatori lo sospetta da tempo, ma adesso c'è la conferma del fatto che la Siria è già letteralmente allagata di armi. L'ultima risoluzione della Lega Araba che autorizza i propri membri ad armare l'opposizione farà forse qualche differenza? L'insistenza con cui il Regno Unito e la Francia chiedono all'Unione Europea di togliere l'embargo sulle armi cambierà il corso del conflitto? Adesso che sappiamo di questo ponte aereo che è esistito per un anno e mezzo, sembra poco probabile. Per giunta, come già successo per l'Afghanistan e per la Libia, tutte queste armi gireranno per tutta la regione per un gran bel po' di tempo. E' chiaro che siamo davanti ad un altro sversamento di armamenti in Siria, ed alla prospettiva di un altro tentativo -il sesto- di "prendere Damasco".
Il vertice della Lega Araba. David Ignatius ha scritto per lo Washington Post che le speranze statunitensi di mettere in piedi un'opposizione siriana "a guida politica moderata e dotata di una gerarchia militare definita", che a sua volta rappresenta una conditio sine qua non per qualsiasi prospettiva di negoziato sul futuro della Siria che prenda in considerazione il punto di vista americano, sono state frustrate da "aspre rivalità in campo arabo". Gli osservatori occidentali (si veda qui e qui) hanno acclamato come un successo il "ritiro della legittimazione" simboleggiato dal fatto che Doha ha insistito, senza curarsi delle obiezioni degli altri paesi della Lega Araba e contravvenendo alla stessa regolamentazione della Lega, che Khatib occupasse al vertice il seggio della Siria. Nonostante questo, la realtà dei fatti pare corrispondere più all'analisi che ne ha compiuto Ignatius piuttosto che a quella di certi "esperti" che hanno sancito la legittimità di questo modo di fare. il Qatar dapprincipio ha caldeggiato in ogni modo l'elezione del candidato dei Fratelli Musulmani Hitto, come "Primo Ministro" in pectore di un "governo" siriano di transizione ancora tutto da costituire, soprattutto per impedire al capo del Consiglio Nazionale Siriano, a Khatib, agli statunitensi e ai russi di prendere iniziative per inziare negoziati col governo siriano: Hitto ha rifiutato immediatamente qualsiasi negoziato con Damasco. Khatib ed altri dodici suoi colleghi di prima importanza hanno rassegnato in blocco le dimissioni in segno di protesta ed un'irritatissima Arabia Saudita, che non ha alcuna intenzione di vedere i Fratelli Musulmani al potere in Siria, ha infranto i piani del Qatar imponendo che il dimissionario Khatib assumesse invece la rappresentanza della Siria al vertice al posto di Hitto. Secondo fonti sioniste, i delegati sauditi e qatariani sarebbero stati uditi urlare gli uni contro gli altri in giro per i corridoi, e nelle loro stanze sarebbero anche venuti alle mani. L'Arabia Saudita ed altri paesi del Golfo si sono comportati come allocchi fino alle estreme conseguenze sul piano dell'emiro del Qatar per mettere i Fratelli Musulmani al potere in Siria, e sono ancora irritati per la situazione di caos e di anarchia in Libia e in tutta l'Africa del nord, di cui ritengono il Qatar porti le principali responsabilità. Secondo i russi tutte le manovre sul seggio siriano al vertice, lungi dal conferire a questa rappresentanza una qualsiasi legittimità, non sono state altro che un esempio fra tanti della illegalità che ha contraddistinto l'atteggiamento occidentale nei confronti della Siria, dal tentativo illegale di organizzare un'insurrezione armata fino al ritiro della legittimità ad un Presidente perpetrato in spregio alla normativa internazionale ed alle procedure delle Nazioni Unite e in aperto contrasto con il regolamento della Lega Araba. Il riassunto con cui Ignatius conclude il suo articolo esprime la sua sorpresa su come "gli Stati Uniti abbiano dimostrato così poca volontà o così poca abilità di influire sulla politica siriana nel corso degli ultimi mesi". In conclusione, il vertice ha approfondito le già aspre divisioni che separano i gruppi dell'opposizione siriana.
La Turchia accetta le scuse dello stato sionista. Il processo di pace del PKK. Questi due eventi non hanno connessione con le aspre contese del campo contrario ad Assad che abbiamo adesso descritto. Al momento il mondo arabo è già impegnato in un confronto serrato su chi sia il più eminente rappresentante del mondo sunnita, ruolo contesto da Erdogan, dall'Emiro del Qatar e dal re saudita. Erdogan e l'Emiro si fidano poco l'uno dell'altro, ma sono uniti dal comune interesse di assistere all'ascesa al potere dei Fratelli Musulmani in tutta la regione. Entrambi credono che dovrebbero essere i Fratelli Musulmani a dirigere e supervisionare sulla caduta del Presidente Assad, e più in generale sono interessati al fatto che essi giungano al potere. Contro di loro ci sono l'Arabia Saudita e gli Emirati, che non appoggiano questa pretesa e che avanzano la propria candidatura al ruolo di sovvertitori del governo siriano nella prospettiva di non far arrivare al potere i Fratelli Musulmani. Il Presidente Obama pare indeciso su quale partito prendere, ma negli ultimi mesi Washington ha raffreddato in modo rimarchevole il proprio interesse per una Turchia che agisca direttamente da nord contro la Siria. L'ambasciatore statunitense ad Ankara ha pubblicamente criticato le azioni turche in favore del Fronte di Al Nusra, che Washington considera un'affiliazione di Al Qaeda). L'allontanamento di Washington dalle posizioni di Erdogan ha provocato un po' di preoccupazione ad Ankara, assieme alla convinzione che questa relazione strategica avesse bisogno di essere ricostruita in qualche modo. Erdogan dovrebbe recarsi in visita a Washington tra non molto, ma la lobby dello AIPAC ha minacciato di mettergli i bastoni tra le ruote a Washington per denunciare la sua retorica contraria allo stato sionista. Erdogan ha accettato quasi da trionfatore le scuse di Netanyahu, cosa che ha irritato in una certa misura i sionisti; si spera che farà in modo che la Turchia torni ad occupare un ruolo centrale nei piani statunitensi sulla Siria, ed altrettanto centrale per il futuro dei curdi. L'apertura di negoziati con Ocalan ha ache fare sia con la questione siriana che con il desiderio del Primo Ministro di diventare Presidente. E non soltanto "Presidente", ma un "Presidente turco" dotato di pieni poteri esecutivi. I colloqui di pace con Ocalan servono sia a sottolineare la crescente influenza regionale sulla questione curda, che minaccia Ankara, sia a mettere potenzialmente Erdogan nelle condizioni di mettere in opera i necessari cambiamenti alla costituzione che gli serverebbero ad assumere una presidenza dotata di poteri esecutivi. L'AKP non è in parlamento sufficientemente forte per cambiare la costituzione nel senso desiderato da Erdogan, ma se potesse essere raggiunto un accordo di massima che venisse incontro ai desideri dei curdi in materia di riforme costituzionali è verosimile pensare che i curdi ricambierebbero il favore, appoggiando l'AKP nell'equilibrio parlamentare necessario a promulgare gli emendamenti sulla figura del presidente della repubblica. In prospettiva, questo consentirebbe ad Erdogan di rimanere al potere per altri dieci anni. La reazione dei curdi a questa iniziativa è stata tiepida e molto cauta. Il pensiero politico turco (in questo articolo ci sono altri dettagli) prende in considerazione il fatto che la guerra in Siria porti alla dissoluzione della Siria e dell'Iraq come stati nazionali e all'ascesa di un nuovo "grande stato sunnita" che comprenda i sunniti dell'Iraq e della Siria, con poche sacche disperse di sciiti e di alawiti qua e là in quella che un tempo era nota come la Grande Siria. In uno scenario simile i meglio informati pensano che i curdi, così come la popolazione sunnita siriana ed irachena, potrebbero in qualche modo essere condotti sotto il manto della leadership turca. La prospettiva sembra abbastanza improbabile, perché parte dal presupposto che l'Iran, gli sciiti e le altre minoranze (per le quali in questa visione c'è posto a stento) abdichino semplicemente al loro ruolo e si lascino portare dagli eventi. Si tratta di una prospettiva improbabile, a meno che le insurrezioni di stampo sunnita che i paesi del Golfo e la Turchia stanno sostenendo sia in Siria che in Iraq non riescano a smembrare completamente entrambi gli stati.


venerdì 29 marzo 2013

Joy Gordon - Gli Stati Uniti lasciano all'Iraq un'eredità tenebrosa



Traduzione da Foreign Policy in Focus.

Quando gli Stati Uniti, il Regno Unito e la "coalizione dei volenterosi" aggredirono l'Iraq nel marzo del 2003, milioni di persone presero parte a proteste in tutto il mondo. Tuttavia, quella guerra all'insegna dello "Shock and awe" era solo l'inizio. La successiva occupazione dell'Iraq da parte dell'Autorità Provvisoria della Coalizione, a guida statunitense, portò il paese alla bancarotta e rase al suolo le sue infrastrutture.
Non è solo una questione di sicurezza. Nonostante l'inaudita violenza che ha accompagnato la discesa dell'Iraq dentro l'incubo del settarismo sia stata ben documentata in molti degli studi che hanno preso in considerazione una guerra che va avanti da dieci anni, il fatto che è spesso passato in secondo piano è che gli Stati Uniti, a volerla dire con termini molto generosi, hanno governato il paese spettacolosamente male.
Non che prima di essere occupato l'Iraq fosse un paese fiorente. Dal 1990 al 2003 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU aveva imposto all'Iraq le sanzioni più pesanti che si fossero mai viste. Insieme alle sanzioni, tuttavia, esisteva un complesso sistema di supervisione e di assunzione di responsabilità di cui facevano parte il Consiglio di Sicurezza, nove enti delle nazioni Unite e lo stesso Segretario Generale.
Il sistema non era certamente perfetto e gli effetti delle sanzioni sulla popolazione irachena erano devastanti. Ma quando sono arrivati gli Stati uniti ogni parvenza di supervisione da parte di organi internazionali è svanita del tutto.
Sotto le enormi pressioni esercitate da Washington, nel maggio del 2003 il Consiglio di Sicurezza riconobbe formalmente l'occupazione dell'Iraq da parte dell'Autorità Provvisoria della Coalizione (CPA) nella risoluzione numero 1483. Tra le altre cose, questa risoluzione conferiva alla CPA un controllo completo su ogni attività irachena.
Allo stesso tempo, il Consiglio smantellò ogni forma di controllo e di assunzione di responsabilità in vigore fino a quel momento: nessun ente delle Nazioni Unite avrebbe riferito sulla situazione umanitaria, nessun organismo del Consiglio di Sicurezza avrebbe avuto la responsabilità di controllare l'occupazione. Si sarebbe fatto qualche controllo sui fondi e solo a spese concluse, ma nessuno delle Nazioni Unite avrebbe direttamente supervisionato il mercato del petrolio. E nessuna organizzazione umanitaria si sarebbe assicurata del fatto che il denaro iracheno sarebbe stato speso in modo da recare beneficio al paese.


Condizioni umanitarie preoccupanti

Nel gennaio del 2003 le Nazioni Unite prepararono un piano operativo che prendeva in considerazione l'impatto di una possibile guerra. Anche se un'invasione del paese si fosse risolta con un "impatto di medie dimensioni", le Nazioni Unite si aspettavano che dal punto di vista umanitario la situazione ne sarebbe stata seriamente compromessa.
Dal momento che la popolazione irachena dipendeva in misura tanto grande dal sistema di distribuzione delle derrate alimentari controllato dal governo (una delle conseguenze delle sanzinoi internazionali) le Nazioni Unite riferirono che sovvertire il governo iracheno avrebbe messo a repentaglio anche la sicurezza alimentare. E dal momento che la popolazione già soffriva di una malnutrizione generalizzata, il rovesciamento del governo avrebbe avuto conseguenze pressochè letali, mettendo il trenta per cento dei bambini iracheni sotto i cinque anni in condizioni di rischiare la vita. Le Nazioni Unite rilevarono anche il fatto che se gli impianti di depurazione delle acque e di raccolta dei rifiuti fossero rimasti danneggiati a causa della guerra, o se la produzione e la distribuzione di energia elettrica avessero smesso di funzionare, gli iracheni avrebbero perso la possibilità di accedere all'acqua potabile, cosa che avrebbe fatto impennare il tasso di malattie epidemiche correlate alla mancanza di acqua. E se l'elettricità, i trasporti e le strutture mediche fossero rimaste compromesse, il sistema sanitario non sarebbe stato in grado di fronteggiare efficacemente la situazione. 
Durante l'occupazione, molte di queste circostanze si verificarono puntualmente. Un rapporto delle Nazioni Unite del giugno del 2003 affermava che nel dopoguerra acquedotti e fognature di Baghdad e di altri governatorati del centro e del sud del paese erano "in condizioni critiche". Nella sola Baghdad, secondo il rapporto c'erano danni nel quaranta per cento della rete idraulica, cosa che si traduceva nella perdita della metà dell'acqua potabile a causa di crepe e rotture. Peggio ancora, l'ONU riferì che nessuno dei due impianti di depurazione della città era in condizioni di funzionare, cosa che portava a massicci sversamenti di acque nere nel fiume Tigri.
La situazione alimentare era altrettanto grave. L'ONU appurò che il sistema agricolo era ormai collassato, a causa di "una diffusa insicurezza, dei saccheggi, del completo crollo dei ministeri e degli enti statali -gli unici che fornissero i beni e i servizi essenziali per la produzione agricola- e dei significativi danni subiti dagli impianti produttori di energia".
Il sistema sanitario peggiorò in modo drammatico. Meno del cinquanta per cento della popolazione poteva accedere a cure mediche, in parte a causa dei pericoli che lo spostarsi comportava. Oltre a questo, la relazione dell'ONU valutava in un settantacinque per cento la percentuale delle istituzioni sanitarie colpite da saccheggi nel caos dell'immediato dopoguerra. Nel giugno del 2003 tutto il sistema sanitario funzionava al trenta o cinquanta per cento della potenzialità che aveva prima della guerra e questo ebbe delle conseguenze immediate. All'inizio dell'estate i casi di malnutrizione acuta erano raddoppiati, la dissenteria era in piena diffusione e c'era poca assistenza medica disponibile. In agosto New York fu colpita da un black out: a Baghdad ci si scherzava su, dicendo cose come "Speriamo che non aspettino che siano gli americani ad aggiustare il guasto".
La CPA affidò ogni incombenza umanitaria all'esercito statunitense, non ad organizzazioni specializzate nella gestione delle crisi umanitarie, e marginalizzò gli organismi umanitari delle Nazioni Unite. Nei quattordici mesi in cui la CPA esercitò il potere la situazione umanitaria non fece che peggiorare. Malattie prevenibili come la dissenteria e il tifo imperversarono. La malnutrizione peggiorò e carpì la vita di sempre più neonati, di sempre più madri, di sempre più bambini. In tutto si verificarono centomila "morti in eccesso" nel corso dell'invasione e dell'occupazione; una cifra ben al di sopra e ben al di là dei tassi di mortalità ai tempi di Saddam Hussein, anche all'epoca delle sanzioni applicate sotto il controllo internazionale.
La CPA aveva delle priorità chiare. Dopo l'invasione, intanto che i saccheggi e le rapine imperversavano, le autorità di occupazione fecero poco per proteggere gli impianti di depurazione e gli acquedotti, o addirittura gli ospedali pediatrici. Al contrario, si adoperarono con prontezza per proteggere gli uffici del ministero del petrolio, assoldarono un'organizzazione statunitense perché mettesse fine agli incendi nei campi di perforazione, e fornirono protezione immediata agli stessi campi petroliferi.


La corruzione

Se tutto questo non bastasse, la CPA era anche profondamente corrotta. La maggior parte delle entrate dell'Iraq, che provenissero dalle vendite di petrolio o da altri cespiti, finivano ad onorare contratti in favore di imprese statunitensi. Fra i contratti di importo superiore ai cinque milioni di dollari, il settantaquattro per cento spettava ad imprese statunitensi e la maggior parte del rimanente a imprese di paesi loro alleati. Solo il due per cento andava ad imprese irachene.
Nel corso del periodo di occupazioni, cifre ragguardevoli semplicemente sparirono dalla circolazione. La Kellog Brown and Root (KBR), una controllata della Halliburton, venne retribuita in oltre il sessanta per cento di tutti i contratti che la riguardavano con fondi stanziati in favore dell'Iraq, nonostante questo modo di fare fosse stato spesso criticato dai revisori per questioni di onestà e di competenza. Nelle ultime sei settimane dell'occupazione gli Stati uniti spedirono in Iraq cinque miliardi di dollari in contanti, perché venissero spesi prima che si insediasse un governo a guida irachena. Secondo i revisori, i fondi per l'Iraq venivano sistematicamente depredati dai funzionari della CPA. Secondo uno dei loro resoconti, "Un contractor ha ricevuto un pagamento da due milioni di dollari in un borsone stipato di mazzette di banconote". "Un funzionario ha ricevuto sei milioni e settecentocinquantamila dollari in contanti, e l'ordine di spenderli una settimana prima che il governo iracheno prendesse il controllo sugli stanziamenti in favore dell'Iraq".
I funzionari americani secondo ogni apparenza non si preoccupavano minimamente dei grossolani abusi commessi con il denaro che veniva loro affidato. In un caso particolare la CPA ha trasferito qualcosa come otto miliardi ed ottocento milioni di denaro iracheno senza esibire alcun giustificativo di spesa. L'Ammiraglio David Oliver era il principale responsabile per le questioni finanziarie della CPA; quando gli fu chiesto qualcosa in proposito rispose che "non ne aveva idea" e che non pensava che la questione avesse una qualche importanza. "Miliardi di dollari dei loro soldi?" chiese a sua volta all'interlocutore "E che differenza fa?".
In conclusione, nulla di tutto questo dovrebbe risultare particolarmente sorprendente: la corruzione, l'indifferenza per le necessità della vita quotidiana, la preoccupazione unica per il controllo della ricchezza petrolifera irachena. Era tutto ovvio fin dal momento in cui il Consiglio di Sicurezza, sotto le smisurate pressioni statunitensi, approvò la risoluzione 1483.
Con la sistematica rimozione di ogni forma di controllo nei confronti dell'amministrazione che essi stessi avevano imposto all'Iraq, gli Stati uniti e i loro alleati gettarono le basi per il saccheggio delle ricchezze di un intero paese, favorita dalla loro assoluta indifferenza per i bisogni e per i diritti della popolazione. Dieci anni dopo l'inizio della guerra, la disastrosa esperienza di governo della CPA in Iraq accompagna l'orribile discesa del paese in un abisso di violenza come un oscuro retaggio.

mercoledì 27 marzo 2013

Gesu Cristo salva, guarisce e libera. E con l'apostolo e profeta Lorenzo Lippi, ti fa anche diventare sionista


Firenze, fine marzo 2013. Si vedono in giro affissioni pubblicitarie come quelle della foto, le cui promesse fanno proprio pensare al miracolismo fracassone dei pentecostali.
I toni perentori e l'immagine del devoto investito da una pioggia dorata non differiscono molto dalle pubblicità delle cosiddette "finanziarie", da quelle di qualche bisca più o meno legalizzata o di qualcuna di quelle mescite che piacciono tanto agli "occidentalisti", autorizzando di fatto a concludere che le promesse di cui sopra possano essere ascritte allo stesso ordine di cose.
Il sito web degli organizzatori ridimensiona le aspettative e parla un po' più chiaro.
Siamo impegnati inoltre, come promotori e sostenitori, con l'Associazione Knesset Christian Allies Caucus, nata in seno al Parlamento italiano e israeliano per promuovere l'amicizia fra Italia e Israele: nel 2010 abbiamo organizzato a Firenze un incontro con una delegazione di parlamentari di Gerusalemme e importanti esponenti della società ebraica.
Più che per Gerusalemme pare proprio che fede, speranza ed amore passino per Tel Aviv, proprio come al Ghesher di San Miniato.
Lo stesso sito ci fa sapere che il responsabile del Centro Cristiano Fede Speranza Amore di Firenze si chiama Lorenzo Lippi, e ne elenca con un certo puntiglio i molteplici interessi.
C'è anche una lista di "libri tascabili su tematiche di stretta attualità per i credenti di oggi", di cui Lorenzo Lippi è unico autore, unico editore e con buona probabilità anche unico lettore.
Ci si dimentica soltanto di spiegare quali riconoscimenti e quali attestati possa esibire l'elegante signor Lippi per i suoi titoli di apostolo e profeta.

martedì 26 marzo 2013

Firenze è preda del degrado e dell'insicurezza per colpa di un'amministrazione buonista accecata dall'ideologia


A primavera appena cominciata le gazzettine di Firenze riprendono il loro vigore delatorio.
L'immagine che traiamo da una di esse fa parte di una serie che ritrae inequivocabili comportamenti che causano degrado e insicurezza, messi il più delle volte in atto a pochi passi di distanza dagli edifici sacri della città e dai loro inestimabili tesori d'arte.
Siamo dunque davanti ad una diretta ed esplicita minaccia alle radici cristiane della civiltà occidentale. Cosa aspetta ad attivarsi questa amministrazione buonista ed accecata dall'ideologia!?
Purtroppo l'occidentalame fiorentino deve occuparsi di questioni molto più urgenti. Al momento in cui scriviamo è impegnatissimo a perorare la causa dei fucilieri di marina da oltre un anno alle prese col sistema giudiziario della Repubblica dell'India.
L'iniziativa "occidentalista" di un anno fa consisté nell'esporre una gigantografia dei due fucilieri dal terrazzino di una sede di partito. Come tutti hanno avuto modo di constatare, si trattò di un'azione determinante ed estremamente incisiva sulle sorti della vicenda.
A dodici mesi di distanza Gabriele Toccafondi è convinto che cambiare sede alla gigantografia valga a potenziarne gli effetti apotropaici, e chiede che essa venga esposta fuori dal palazzo in cui ha sede l'amministrazione cittadina. Il PDL ci aveva già provato lo scorso anno, ottenendo un diniego sorprendente se pensiamo che l'amministrazione è talmente permeabile alle cause sedicenti buone (basta che se ne ciarli molto sul Libro dei Ceffi e sul Cinguettatore, possibilmente senza cognizione di causa) che a suo tempo si bevve senza fiatare la propaganda "occidentalista" contro la Repubblica Islamica dell'Iran, esponendo un drappo verde ed illuminando in verde alcuni monumenti cittadini.
Dopo l'inspiegabile no dell'amministrazione, gli "occidentalisti" cercarono di coinvolgere la cittadinanza: si scrivesse dunque al borgomastro, che capisse la fondatezza e la bontà della causa.
Non ci facemmo pregare, e indirizzammo immediatamente all'amministrazione un messaggio di segno opposto a quello auspicato dagli ideatori dell'iniziativa.
From: info@iononstoconoriana.com
To: sindaco@comune.fi.it; presidenza.consiglio@comune.fi.it
Object: NO allo striscione per i fucilieri di marina

Signori,

a seguito dell'invito rivolto alla cittadinanza dai vertici del PDL fiorentino, con la presente Vi comunichiamo che non teniamo affatto all'affissione nelle sedi istituzionali di uno striscione dedicato a Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.
Gli striscioni vanno bene per le partite di pallone, non per la geopolitica.
Il fatto che il PDL mostri una abituale propensione a confondere l'una con l'altra è rivelatore del fatto che i suoi elettori, per tacere dei suoi esponenti di ogni livello, farebbero appunto meglio a limitare il proprio interesse al pallone, lasciando i rimanenti campi dello scibile a chi sia in grado di profondervi non diciamo delle autentiche competenze, ma almeno un minimo di sincera dedizione.

Saluti.

lunedì 25 marzo 2013

Magdi Excristianooexcattolicofatecomevolete Allam


Magdi Allam il 22 marzo del 2008.
L'articolo da cui abbiamo tratto quest'immagine lo tratta in modo estremamente benevolo,
elencandone alcuni piccoli demeriti.

Quando era solo Magdi Allam, questo signore ha passato anni ed anni insegnando ai sudditi che bivaccano nella penisola italiana come dovevano pensarla in materia di geopolitica mediorientale. Del suo imperversare gazzettiero, svolto in modo tanto competente ed obiettivo da meritargli il nomignolo di Pinocchio d'Egitto, abbiamo avuto modo di occuparci varie volte. In un caso specifico illustrammo ai nostri lettori di quali competenze si avvalgano gli "occidentalisti" in genere e quelli fiorentini in particolare. L'articolo in link contiene anche una lunga e divertente testimonianza sulle competenze e sulla preparazione di Magdi Allam, che faceva l'esperto di islàmme (con i relativi insihurezzeddegràdo) senza aver mai fatto per sua stessa ammissione alcuno studio sistematico in materia.
Nel 2008 Magdi Allam era diventato Magdi Cristiano Allam grazie al pontefice romano Benedetto XVI, e nel 2011 era diventato Magdi Condannato Allam grazie ad un tribunale civile. Nel "paese" dove mangiano maccheroni la legge ha tempi di solito assai lunghi quindi non è dato sapere oggi come oggi se il Nostro condividerà mai il malinconico destino di altri comprimari della propaganda "occidentalista" come Igor Marini, potendo così assumere il nome di Magdi Detenuto Allam, in questo caso con l'aiuto di un tribunale penale.

Nel 2013 Magdi Allam è diventato Magdi Excristianooexcattolicofatecomevolete Allam, e lo ha fatto senza l'aiuto di nessuno; sicuramente un bel progresso.
Possiamo ipotizzare che il nuovo pontefice romano abbia fatto capire con chiarezza a quelli come lui che l'epoca di certe sapide pensate e di certi devoti pensatori va considerata conclusa, per il motivo puro e semplice che il loro contributo di fatto alla ricristianizzazione del continente è stato nel migliore dei casi estremamente negativo.
Si riporta per intero, condividendolo pienamente, il pensiero di Sherif el Sebaie
Da oggi, Magdi Exmusulmano Allam si è guadagnato un nuovo nome: Magdi Excristiano Exmusulmano Allam. O forse sarebbe meglio dire "Excattolico", visto che d'ora in poi non è disposto a riconoscersi nella Chiesa e nella "Papalatria che ha infiammato l'euforia per Francesco I e ha rapidamente archiviato Benedetto XV". 
Eggià: a ridosso di Pasqua del 2013 e a cinque anni esatti dalla sua conversione avvenuta a Pasqua del 2008, Allam annuncia - manco fosse un contratto d'affitto - che "lascia la Chiesa", anche se continuerà a "credere in Gesù e a identificarsi nel cristianesimo". I motivi per cui sbatte la porta, sono però tutto un programma. Che dimostra che la sua conoscenza in materia di fede cristiana è almeno pari alla sua conoscenza in materia di fede islamica: meno di zero.
Allam lascia la Chiesa perché "è fisiologicamente buonista, mettendo sullo stesso piano, se non addirittura anteponendo, il bene altrui rispetto al bene proprio". E tanti saluti all' "Ama il tuo prossimo come ami te stesso" di quel comunistaccio di Gesù. Non solo, Allam se ne va anche perché la Chiesa "è fisiologicamente tentata dal male, inteso come violazione della morale pubblica, dal momento che impone dei comportamenti che sono in conflitto con la natura umana, quali il celibato sacerdotale, l'astensione dai rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, l'indissolubilità del matrimonio". Si vede che chi l'ha convinto a convertirsi non l'aveva ben informato sulle clausole del contratto.
Infine, la chiesa è da abbandonare perché ha legittimato "l'islam come vera religione, di Allah come vero Dio, di Maometto come vero profeta, del Corano come testo sacro, delle moschee come luogo di culto" (e pazienza se l'Islam è una religione con un miliardo e passa di fedeli da 1400 anni) e perché è "contrario al buonismo che porta la Chiesa a ergersi a massimo protettore degli immigrati, compresi - e soprattutto - i clandestini". Inutile dire che per lui, su questi fronti, Papa Francesco I sarà sembrato l'Anticristo in persona.
E' evidente che la decisione di Allam, oltre ad avere a che fare con la scomparsa dello "sponsor" che l'aveva battezzato urbi et orbi, ha anche a che fare con la sonora sconfitta elettorale, che il nostro attribuisce alla percezione da "gruppo religioso o gruppo di preghiera" (parole sue) che emana il suo movimenticello politico (al punto che in campagna elettorale uno è salito sul palco chiedendo "a tutti i presenti di alzarsi per recitare il Padre Nostro e l'Ave Maria, in un teatro pubblico dove la cittadinanza era stata invitata a partecipare a un comizio politico")
Ma se Allam pensava, con il suo ultimo colpo di scena (peccato che stavolta non ci sarà la diretta dal Vaticano), di risalire nei sondaggi prima della scadenza del suo mandato europarlamentare, posso già anticipargli che invece dello 0,13 che ha ottenuto in queste ultime elezioni, alle prossime otterrà lo 0,0000013. E al suo bel curicculum di "Ex" (exmusulmano, excattolico, exgiornalista), potrà anche aggiungere  un bel "Expolitico". A quel punto sono sicuro che la Chiesa, nella sua infinita bontà e a dimostrazione del suo buonismo, lo arruolerà nella guardia svizzera, chiudendo un occhio sul fatto che Allam, in fin dei conti, è e rimane un immigrato. Grazie a Dio fra i requisiti di ammissione non c'è l'essere biondi.

sabato 23 marzo 2013

La Repubblica dell'India e le finezze diplomatiche del "paese" dove mangiano spaghetti


Gli "occidentalisti" di oggi hanno le stesse priorità autoreferenziali di un secolo fa: i rigori della legge sono fatti per i mustad'afin e per gli avversari politici.
Quando Gabriele d'Annunzio dovette vedersela con la giustizia civile a causa della spudorata quantità di debiti contratti, i gazzettieri dell'epoca accusarono con veemenza il governo dello stato che occupava la penisola italiana, ricordando che il pontefice romano Paolo III, ai gendarmi che avrebbero voluto arrestare Benvenuto Cellini per lo stesso motivo, aveva risposto che "gli artisti come Cellini non sono tenuti al rispetto delle leggi, e tanto meno a quello dei conti" [*].
Le argomentazioni con cui l'occidentalame sta perorando da un anno a questa parte la causa di due soldati dell'esercito regolare hanno più o meno la stessa logica e la stessa fondatezza ed hanno avuto più o meno la stessa efficacia, ma procediamo con ordine.

Lo stato che occupa la penisola italiana dispone di una spropositata quantità di corpi armati, dotato ciascuno di una spropositata quantità di effettivi.
Gli stati confinanti non sono ostili al punto da giustificare un apparato carissimo ed immenso, che dunque ha come obiettivo principale il dissenso interno.
Per contenerne le spese e soprattutto per giustificarne l'esistenza lo stato che occupa la penisola italiana non ha disdegnato il ricorso ad iniziative ai limiti dell'espediente.
I Nuclei Militari di Protezione che dovrebbero dissuadere le azioni piratesche sono un'invenzione di Ignazio Benito Maria La Russa, un signore per il quale aggredire l'Afghanistanandare in discoteca sono più o meno la stessa cosa.
La faccenda funziona all'incirca in questo modo.
In un porto dell'Oceano Indiano tra quelli dov'è disponibile il servizio arriva una nave civile intestata ad un armatore peninsulare. L'armatore promette di pagare un prezzo di tornaconto al ministero della guerra, e quello gli manda sulla nave 2 (due) fucilieri di marina con fucile d'assalto e non si sa quanti caricatori.
Probabilmente pochi; hanno un costo anche quelli,come vedremo.
Sulla nave fa caldo e si sta scomodi, e per giunta non succede nulla da una settimana all'altra: non è mica come andare a bastonare manifestanti in piazza, maledizione.
Tutta la faccenda, che ha mobilitato ben 100 (cento) uomini in totale, è andata avanti qualche mese. Al primo pasticcio serio ai "Nuclei Militari di Protezione" è stata messa la sordina, anche se risulta siano ancora operativi.
A dirne bene è rimasta solo gente come Fausto Biloslavo, gazzettista nato a Trst che non ha capito che era l'ora di finirla di fare il Rambo con la brovada nemmeno quando in Afghanistan l'hanno investito con un camion.
In ogni caso, la questione si trascina per diversi mesi e le gazzette "occidentaliste" ne hanno fatto un punto fisso delle loro agende, suonando l'adunata e la carica per i migliori periti di parte disponibili. Inconcepibile, soprattutto, che uno stato sovrano potenza nucleare, le cui forze armate contano un milione e trecentomila effettivi e un paio di milioni di riservisti, osasse far valere le proprie ragioni contro la patria dei maccaruna c'a' pummarola 'n coppa.
Lo whishful thinking "occidentalista" è una cosa, la realtà è un'altra, spesso opposta.
Nella realtà molto giustamente, molto prevedibilmente e molto logicamente, è stato sufficiente che la diplomazia indiana si schiarisse la voce e facesse l'atto di battere il pugno sul tavolo.
Un minuscolo Giulio Maria Terzi di Sant'Agata ha immediatamente fatto l'unica cosa che aveva senso fare, ed ha fatto convincere (chissà con quali sistemi) i due fucilieri di marina a tornare nella Repubblica dell'India.
Ulteriore sale alla questione viene aggiunto dai tribunali dello stato che occupa la penisola italiana, che ai fucilieri di marina avrebbero contestato l'accusa di "dispersione di materiale militare" con riferimento ai proiettili sparati; l'idea dovrebbe essere quella di costringere i fucilieri a risarcirli.
La cosa è comprensibile: la Repubblica dell'India non è uno Judenrat, e vista la situazione venutasi a creare sarebbe stato poco indicato rimettere fattura ai parenti delle vittime


[*] Il particolare è riferito da Indro Montanelli.

giovedì 21 marzo 2013

Di imminente arrivo a Firenze miglioramenti strategici fondamentali per il trasporto aereo


Una pagina de "La Nazione", la più antica gazzettina "occidentalista" di Firenze, fotografata in una mescita.

Una convinzione diffusa e molto propagandata nella penisola italiana è che aeroporti e stazioni non debbano servire per il traffico di aerei e treni, ma per vendere cianfrusaglie a caro prezzo. Per un "occidentalista" coerente la misura della riuscita o del fallimento di un'infrastruttura strategica essenziale viene dunque considerata partendo da una varietà di parametri come il successo di questo o quel negozietto di vestiti o dal numero di fannulloni che ricavano un reddito da ogni metro quadro calpestabile della struttura, non certo considerando quisquilie come il numero di utenti, la puntualità degli arrivi e delle partenze, la rapidità e la puntualità dei collegamenti con i centri urbani vicini. L'articolo della gazzetta su ricordata sulle condizioni in cui si trova l'aeroporto fiorentino di Peretola merita un'ampia citazione proprio perché esprime al meglio una delle visioni "occidentaliste" del mondo che dominano la "libera informazione".
Il 20 marzo 2013 Olga Mugnaini raccconta innanzitutto che "A Peretola non decolla la pista ma neppure lo shopping".
A questo punto potremmo già tranquillamente lasciare questo giornaletto al suo destino, dopo aver considerato che  basterebbe che a decollare fossero gli aerei, e che la pista e soprattutto lo shopping rimanessero ciascuno ben fermo al suo posto.
Andiamo pure avanti; la sensazione è che il meglio debba ancora venire.
In attesa di risolvere l’enigma del Pit, l’integrazione con Pisa e la realizzazione della nuova pista parallela o convergente che sia, l’aeroporto di Firenze aveva puntato sul progetto del nuovo terminal, in modo che diventasse ampio, moderno, elegante e funzionale. Ma per ora, anche se gli spazi sono aumentati, l’atmosfera non è certo delle più accoglienti. E per molti aspetti gli enormi locali vuoti danno l’idea di una desolazione ancora più grande.
Si confronti quanto sopra, pienamente prevedibile se non pienamente previsto, con la situazione della stazione Tiburtina da noi descritta qualche mese fa. Dopo aver ritratto straziata l'agonia di un paio di negozietti di roba inutile e di una banca (ce n'è una ad ogni angolo di strada), deperiti a vantaggio di una pessima mescita, Olga Mugnaini si dilunga a spiegare che 
la desolazione maggiore è l’enorme secondo piano del terminal, inaugurato il luglio scorso e destinato ad essere “messo a reddito”, considerato che vuoto a quel modo è solo un costo almeno per le pulizie, riscaldamento e illuminazione. Invece per ora quei circa mille metri quadrati sono stati sfruttati appena in qualche occasione. Era stata ipotizzata l’apertura di un’area per la ristorazione e l’allestimento di nuovi uffici. Ma per il momento non se n’è fatto niente.
La prossima settimana dovrebbe essere inaugurato un altro bel pezzo di aerostazione nella zona dei nuovi arrivi: circa 1800 metri quadrati per l’accoglienza di coloro che sbarcano a Firenze. E anche per questi locali si parla di possibili spazi per lo shopping.
In linguaggio corrente, questo significa che non avendo imparato niente né dagli errori altrui né tantomeno dai propri, si continuerà imperterriti su una strada che definire ridicola è limitativo.
In chiusura dell'articolo un certo Biagio Marinò (che dovrebbe essere l'amministratore di questo snodo del trasporto aereo, tanto cruciale e tanto ben organizzato) annuncia una lunga lista di cose che stanno a metà tra l'elenco di buoni propositi e l'espressione di pii desideri.
E che si chiude con le strabilianti righe che seguono.
«Stiamo cercando di offrire nuovi servizi e di rendere l’aeroporto sempre più accogliente. Tra i nuovi esercizi commerciali spero nell’apertura di una gelateria artigianale, con tanto di carretto che gira per il terminal portando una ventata di colore e di sapore».

 
Nella foto, una delle attrezzature aeroportuali di maggior rilevanza strategica
nell'"Occidente" contemporaneo.

mercoledì 20 marzo 2013

Pepe Escobar - Scova e distruggi: l'Iraq stuprato



Traduzione da Asia Times.

Per prima cosa vediamo di ammazzare tutti i mitografi, non importa se secondo legge oppure no. Lo stupro dell'Iraq rappresenta il peggiore disastro umanitario con responsabilità umane della nostra epoca. E' fondamentale ricordare che si tratta di una diretta conseguenza del fatto che Washington ha calpestato il diritto internazionale; dopo l'Iraq, qualunque cialtrone in qualunque parte del mondo può scatenare una guerra preventiva, ed invocare il precedente di Bush e Cheney nel 2003.
Ancora oggi, a dieci anni di distanza da quello shock and awe, persino i cosiddetti "liberali" continuano con i loro tentativi di legittimare qualcosa, qualsiasi cosa, che faccia parte del "Progetto Iraq". Non è mai esistito un "progetto": è esistito solamente un vertiginoso fastello di menzogne, comprese le giustificazioni a cose fatte sull'aver "democratizzato" il Grande Medio Oriente con i bombardamenti.
Negli ultimi tempi ho pensato spesso al Catalyst. Il Catalyst era il carro armato con cui dovevo intavolare trattative tutte le volte che volevo fare la spola tra la mia tana e la zona rossa, durante la prima settimana dell'occupazione statunitense di Baghdad. I marines venivano per lo più dal Texas e dal New Mexico, e di solito si parlava insieme. Erano convinti di aver attaccato Baghdad perché "i terroristi hanno attaccato noi l'undici settembre".
Anni dopo, la maggior parte degli americani ancora credeva alla Spettacolosa Bugia: questo prova che i neocon, con la loro cosmica arroganza e con la loro cosmica ignoranza, almeno una cosa erano riusciti a farla bene. I legami tra Saddam Hussein ed AlQaeda potevano anche non rappresentare la prima tessera del mosaico nel loro "progetto" di invadere l'Iraq e di ricostruirlo da capo a partire dal suo Anno Zero (ne facevano parte anche le armi di distruzione di massa che non esistevano), ma sono serviti egregiamente per lavare i cervelli e mettere in piedi questo casino.
Quando lo spettacolo delle pornotorture ad Abu Ghraib venne fuori, nella primavera del 2004 (io stavo attraversando il Texas in macchina per lavoro, e praticamente tutti quelli cui ne parlai definirono "normale" tutta la faccenda) la Spettacolosa Bugia ancora dominava. Sono passati dieci anni; dopo Abu Ghraib, dopo la distruzione di Falluja, dopo il diffondersi della pratica di "segnare morti" (ovvero di uccidere gli iracheni feriti) del "fuoco a trecentosessanta gradi" (un tiro al bersaglio in cui i bersagli sono gruppi di civili iracheni) e di raid aerei diretti su zone popolate da civili, per tacere dell'uso di "uccidere ogni uomo in età di portare le armi", dopo aver speso più di tremila miliardi di dollari (ricordiamo che i neocon avevano promesso una guerra facile e breve, dal costo non superiore ai sessanta miliardi); dopo aver ammazzato più di un milione di iracheni direttamente o indirettamente dopo l'invasione e l'occupazione, il fastello di menzogne ancora ci avviluppa tutti quanti, come se fosse una gigantesca medusa.
E la CIA, che ha vinto persino un oscar (un premio adatto al personaggio) continua a coprire tutto.

Forza antiguerriglia, amazza, ammazza!
L'Anno Zero dell'Iraq è durato grosso modo una decina di giorni. Ho assistito alla nascita ufficiale della resistenza: una manifestazione di massa a Baghdad che prese il via ad Adhamiya, cui partecipavano sunniti e sciiti. Poi sono arrivate le prodezze di quella che la fabbrica di pinocchi chiamò l'Autorità Provvisoria della Coalizione (CPA), "guidata" dal terrificante Paul Bremer, a dare puntuale prova di una spaziale ignoranza della cultura mesopotamica. Quindi fu la volta di una specie di offensiva del tipo "scova e distruggi" smodatamente in grande stile, adoperata come tattica e travestita da antiguerriglia. Non c'è da meravigliarsi che tutto sia diventato alla svelta una specie di Vietnam con in più la sabbia.
La resistenza sunnita ha letteralmente fatto uscire di testa il Pentagono. Ecco come si presentava il "triangolo della morte" nell'estate del 2004. Edf ecco anche la risposta del Pentagono, che arrivò quattro mesi dopo e consisté nell'applicazione di quella che chiamai "democrazia di precisione".
Alla fine il triangolo della morte vinse, in un certo senso. Adesso andiamo avanti veloci fino alla "rivolta" di Dubya [George Diabolus Bush, n.d.t.]. Negli Stati Uniti ci sono milioni di ingenui che credono ancora a quello che quel cornuto del generale Petraeus raccontò della faccenda. Quando la rivolta iniziò, nella primavera del 2007, io ero là. L'orrenda guerra civile innescata dagli Stati Uniti -si tratta sempre del divide et impera, si ricordi- a quel punto andava avanti da sola, perché gruppi sciiti armati come i Corpi Badr e l'Esercito del Mahdi avevano intrapreso una devastante opera di pulizia etnica a spese dei sunniti in quelli che una volta erano dei quartieri misti. Baghdad, che una volta era una città a lieve predominanza sunnita, era diventata prevalentemente sciita. E in tutto questo Petraeus non c'entrava nulla.
Come nel caso dei Consigli del Risveglio, esistevano gruppi di miliziani essenzialmente composti da sunniti che assommavano a più di ottantamila uomini e che erano organizzati per clan. Le loro file si ingrossarono grzie alle sanguinose tattiche di AlQaeda, sopratutto nello stesso triangolo della morte, a Falluja e a Ramadi. Petraeus li pagò con valigie piene di soldi. Prima che questo succedesse, per esempio quando stavano difendendo Falluja, nel novembre del 2004, gli stessi uomini erano bollati come terroristi. Dopo, furono debitamente promossi a "combattenti per la libertà", nello stile di Ronald Reagan.
Io avevo incontrato alcuni di questi sceicchi, che avevano un astuto piano a lungo termine: invece di combattere gli americani, ci prendiamo i loro soldi, teniamo un profilo basso per un po', ci leviamo di mezzo tutti questi fanatici di AlQaeda e poi attacchiamo il nostro vero nemico, che sono gli sciiti che comandano a Baghdad.
E questo è esattamente quello che successe dopo in Iraq, dove oggi sta montando lentamente un'altra guerra civile. Alcuni di questi ex "terroristi", che hanno una grossa esperienza di guerra, adesso sono comandanti di primaria importanza nel bailamme delle formazioni "ribelli" che combattono il governo di Assad in Siria. E, certo, li chiamano anche adesso "combattenti per la libertà".

Farne dei Balcani oppure mollare
Gli americani ovviamente non ricordano che Joe Biden, quando occupava ancora un posto al senato, intraprese una veemente campagna in favore della balcanizzazione dell'Iraq, che avrebbe dovuto essere diviso in tre zone secondo linee settarie. Se pensiamo che lo stesso Biden adesso è l'uomo di punta dell'amministrazione Obama al secondo mandato per quanto riguarda la questione siriana, è possibile che alla fine riesca nel suo intento, in un modo o nell'altro.
E' vero che l'Iraq è il primo paese arabo guidato da un governo sciita dai tempi in cui il favoloso Saladino cacciò i Fatimidi dall'Egitto nel 1171, ma è anche un paese che è ben avviato sulla strada della totale frammentazione.
La Zona Verde una volta era una città americana; adesso può essere una città sciita. Ma anche il grande ayatollah Sistani, il massimo leader religioso sciita che nel 2004 fracassò la schiena ai neocon e alla CPA a Najaf, assiste con disgusto al casino messo in piedi dal Primo Ministro Nouri al Maliki. Ed anche Tehran ha le mani legate. Al contrario di quello che credono i think thank al servizio del governo (possibile che non ne azzecchino mai una?) l'Iran non manipola la politica irachena. L'Iran teme soprattutto che in Iraq scoppi una guerra civile non troppo diversa da quella oggi in corso in Siria.
La copertura degli eventi iracheni fornita nel corso di questi dieci anni dall'inviato Patrick Cockburn non ha rivali. Ecco qui le sue valutazioni più recenti.
Un dato di fatto importante è che il distributore di corone Muqtada al Sadr -ricordate quando era l'uomo più pericoloso del paese, quello che stava sulle copertine di tutti i rotocalchi americani?- può anche aver espresso qualche critica nei confronti di Maliki a causa della sua propensione all'egemonia sciita, ma non vuole un cambiamento di governo. Sono gli sciiti ad avere i numeri dalla loro parte, dunque in un Iraq unito è comunque verosimile che il governo sia in ogni caso a maggioranza sciita.
Il sud dell'Iraq, a schiacciante maggioranza sciita, è sempre poverissimo. Gli unici impieghi retribuiti disponibili sono quelli governativi. Le infrastrutture, ovunque, sono ancora in macerie: il risultato diretto delle sanzioni dell'ONU e degli Stati Uniti prima, dell'invasione e dell'occupazione poi.
Certo, c'è anche un fiore nel letame: il Kurdistan iracheno, che si sta sviluppando come una specie di distorto Oleodottistan.
La lobby del petrolio non ha mai avuto la possibilità di veder realizzare il suo sogno del 2003, quello di riportare il petrolio a venti dollari al barile, in linea con lo wishful thinking di Rupert Murdoch. In compenso, da quelle parti stanno succedendo un sacco di cose. Greg Muttitt non ha avuto rivali nel seguire momento per momento il boom del petrolio nel nuovo Iraq.
In nessun altro luogo si assiste ad iniziative più intricate che nel contesto del Governo Regionale del Kurdistan (KRG), dove sono in gioco una sessantina di compagnie petrolifere dalla ExxonMobil alla Chevron, dalla Total alla Gazprom.
Il sancta sanctorum è un nuovo oleodotto che collega il Kurdistan alla Turchia: il teorico passepartout kurdo per esportare petrolio girando al largo da Baghdad. Nessuno è in grado di dire se questo sarà davvero il filo di paglia che spezzerà la schiena del cammello iracheno: i curdi si stanno avvicinando sempre di più ad Ankara ed allontanando da Baghdad. Decisamente, la palla si trova nel cortile del Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan: per una volta in molte generazioni i curdi hanno l'occasione di giostrarsi tra gli interessi di Ankara, di Baghdad e di Tehran e di riuscire alla fine a ritrovarsi con un Kurdistan indipendente ed autosufficiente dal punto di vista economico.
In definitiva, all'orizzonte si scorgono parecchi segni di balcanizzazione. Ma cosa hanno imparato gli Stati Uniti da una delle peggiori boiate della loro storia in materia di politica estera? Niente, rien. Dovremo aspettare che arrivi, di qui a qualche anno, un altro Nick Turse, con il corrispettivo iracheno del suo libro sul Vietnam Kill Anything That Moves. In misura anche più grande di quanto lo sia stato il Vietnam, il quadro di orrori dell'Iraq è stato il risultato inevitabile della politica ufficialmente seguita non solo dal Pentagono, ma anche dalla Casa Bianca.
Si verrà mai a conoscere in ogni suo aspetto questa spirale sempre più stretta di patimenti? Si potrebbe pur sempre  cominciare da qui, con la causa aperta da un ex coordinatore dei servizi umanitari dell'ONU in Iraq, Hans Sponeck.
Altrimenti si potrebbe vedere la cosa in chiave popolare, e un produttore cinematografico non addentellato con Hollywood e con la Cia potrebbe investire qualcosa in un film girato in Iraq, e distribuito in tutto il mondo, in cui alla fine Dubya, Dick, Rummy, Wolfie e tutto il resto della banda di cialtroni tirati fuori dalla razzumaglia di Douglas Feith si prendono un biglietto di sola andata per una Guantanamo fedelmente ricostruita nel triangolo della morte, intanto che risuonano le note della Masters of War di Bob Dylan. Una bella morte catartica.

martedì 19 marzo 2013

A Socialismo Rivoluzionario non piacciono le aggressioni alle donne del PD


Il Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran tra gli alti quadri del sepah-e pasdaran-e enghelab-e eslami.
La Repubblica Islamica dell'Iran costituisce una realtà tra le più invise alla ininfluente organizzazione settaria di cui si tratta in questo scritto; un motivo in più per diffonderne la propaganda.

La città di Firenze è ancora molto ricca di organizzazioni ed individui che traducono nella politica di piazza una weltanschauung centrata sulla civiltà anziché sul progresso, che della civiltà rappresenta nel migliore dei casi un caricaturale opposto.
Accanto ad organizzazioni ed individui che fanno politica di piazza, si trovano anche organizzazioni ed individui che ne hanno fatta.
Una di queste è Socialismo Rivoluzionario, che su un proprio sito web (lacomuneonline.it) ha pubblicato una divertente serie di considerazioni sulle manifestazioni del 9 marzo 2013, ovvero la passeggiatina "occidentalista" di Casaggì Firenze ed il suo rancoroso e assai più partecipato contraltare.
Socialismo Rivoluzionario è un gruppo settario a carattere endogamico che alcuni anni fa reagì in modo piuttosto scomposto alle critiche che un certo Stefano Santarelli muoveva in un suo libro, con tanto di nomi, cognomi, fatti, date e documenti. Si tratta di un libretto che recensimmo con piacere, frutto com'era del coinvolgimento di un collega di malefatte telematiche come Miguel Martinez. Ad esso rimandiamo affinché le considerazioni che seguono possano essere intese nella giusta ottica.
Anzi, nella giusta prospettiva.

Jacopo Andreoni | 17 Marzo 2013
Firenze: al corteo antifascista aggredite donne del PD
La violenza degli estremisti
Sabato 9 marzo scorso, a Firenze, settori legati alle destre parlamentari avevano indetto una manifestazione in occasione della giornata nazionale di commemorazione delle vittime delle Foibe. Come avviene da alcuni anni, per contraltare da parte di un cartello di realtà dell’estremismo e antagonismo fiorentino, è stata convocata una contro-manifestazione antifascista.
Delle decine di persone che hanno animato la prima ci interessa ben poco, salvo la necessaria denuncia di questi tristi figuri, fascistoidi, che ancora oggi, in nome dell’arrivismo, dell’egoismo sociale e del razzismo, si riconoscono in personaggi di assoluto e pericoloso squallore come il Cavaliere ed il suo entourage.
Ma anche dalle poche centinaia che hanno dato vita al corteo antifascista abbiamo avuto una riprova di quanto ormai la politica e l’azione delle sinistre, in particolar modo di quelle estremiste sempre più qualunquiste e violente, sia espressione di una decadenza senza fine. Infatti alcuni settori dei centri sociali e della rete dei collettivi studenteschi, forse frustrati dal non aver potuto fare la loro triste e rituale schermaglia con polizia o avversari, hanno pensato bene di riversare la loro rabbia reazionaria contro le uniche due donne, figlie di partigiani, che avevano osato sfilare portando una bandiera del PD. Aggredite a male parole, spintonate fuori dal corteo, sono state costrette a lasciarlo, insieme ai militanti di SEL che le hanno difese e che se ne sono andati per protesta, costringendo l’ANPI, che aveva co-promosso la manifestazione, a sfilare separata ed il suo presidente provinciale (Silvano Sarti, partigiano di 88 anni) a camminare da solo, tra gli insulti, ai lati del corteo.
Alle due donne e a tutti coloro che hanno subito gli attacchi da parte di quegli “ultras della democrazia” ridotti al lumicino, va la nostra solidarietà. Noi, che a quella manifestazione abbiamo scelto di non partecipare, conoscendo bene il clima che vi si respirava e non condividendone né la piattaforma né la motivazione (non scendiamo in piazza a rivendicare i massacratori titoisti), stiamo impegnandoci quotidianamente per costruire solidarietà e accoglienza, per cercare di dare vita ad aggregazioni umane sempre più basate su valori etici positivi e condivisi. Loro, i qualunquisti estremisti violenti, respingono e aggrediscono chi non la pensa esattamente come loro. Anche per questo la politica, anche quella delle sinistre istituzionali o estremiste che siano, è destinata a finire, o, più evidentemente, è già finita.

Si tratta di un testo piuttosto lungo ed articolato; forse troppo, se si pensa che l'organizzazione che lo ha curato e pubblicato non era neppure interessata agli avvenimenti.
E' appena il caso di segnalare il registro linguistico e l'inventio queruli e frignoni, degni della miglior tradizione gazzettiera dell’”occidentalismo” fiorentino, quello che all'indomani dei cortei intitolava piagnucoloso di “centri sociali contro il crocifisso” prima che i conti in rosso e la giustizia penale rimettessero al loro posto molti dei buoni a nulla che percepivano persino un reddito per scrivere roba del genere.
Ma andiamo avanti.
Socialismo Rivoluzionario omette con gran cura di spiegare che per anni ed anni ha praticato ovunque (non solo a Firenze) assidui tentativi di “entrismo” in quelle sinistre estremiste sempre più qualunquiste e violente che adesso disprezza tanto. In termini operazionali, Socialismo Rivoluzionario inviava una delle proprie iscritte in tutti gli ambienti della sinistra più o meno extraparlamentare in cui si tenessero assemblee e cercava di imporre, con metodi ben descritti da Santarelli, le proprie priorità e la propria direzione. I risultati non sono mai stati gran cosa perché ad una linea politica obiettivamente spassosa che Socialismo Rivoluzionario avanzava (ed avanza) nell’affrontare ogni campo della vita associata si accompagnavano metodi filistei improntati ad un utilizzo abituale della delazione che in poco tempo attiravano sui propagandisti -e soprattutto sulle propagandiste- di SR lo scherno, la diffidenza ed il disprezzo variamente espresso di tutta la compagine presa di mira.
Socialismo Rivoluzionario nascondeva i propri caratteri endogamici (le cui nefandezze sono anch’esse oggetto di esposizione da parte di Santarelli) dietro un fastidioso linguaggio politicamente correttissimo, che diventò anch’esso oggetto di aperta derisione (“…leslashi lavoratricislashtori…”; “…Leslashi compagneslashi…”) e che soprattutto faceva letteralmente a pugni con una realtà dei fatti e con una pratica politica improntate a metodi esattamente opposti ed il cui scopo ultimo altro non era che il mantenimento e l'espansione della struttura organizzativa, secondo dinamiche proprie dei gruppi settari.
Una lettura particolarmente crudele del testo di Santarelli farebbe concludere che gli ideatori di Socialismo Rivoluzionario abbiano messo in piedi tutta la faccenda per assicurarsi una compagnia femminile fidelizzata ed entusiasta.
In un contesto del genere, si potrà immaginare quale trattamento Socialismo Rivoluzionario abbia sempre riservato al dissenso, specie se documentato; quanti difettino di immaginazione possono ricorrere a Santarelli per trovare esempi concreti che colpiscono per la somma e cristallina abiezione manifestata dagli attori coinvolti.
In capo a qualche anno Socialismo Rivoluzionario si è ovviamente trovata all’angolo, poco aiutata ad uscirne da mosse politiche pazzesche dettate da null'altro che da una ferrea autoreferenzialità, e da una visione di grossi temi geopolitici che si potrebbe eufemisticamente definire “coraggiosa”.
Di qui,la decisione -sicuramente presa dai vertici e fatta metabolizzare a tutto il resto dell'apparato senza tante discussioni- di cambiare atteggiamento e di ritirarsi letteralmente in campagna, in un casolare in cui ogni estate si insegna l'amore reciproco. Una decisione che non dev'essere costata gran che, se teniamo presente che l'azione efficace sul piano politico è sempre stata nei fatti l'ultima delle preoccupazioni di questo gruppo.
Le aggressioni sono una cosa serissima e dolorosa, al pari della violenza estremista; richiede un coinvolgimento fisico in prima persona del quale il nove marzo non abbiamo avuto sentore.
Questo significa che il 9 marzo nessuno ha aggredito donne del PD.
Su cosa sarebbe potuto succedere a uomini di SR non ci sentiamo invece in grado di fare previsioni.

giovedì 14 marzo 2013

Prato: il fervore politico "occidentalista" fiorisce entusiasta ed influente


Il 14 marzo 2013 non è passata neppure una settimana dalla passeggiata in compagnia di Casaggì Firenze. Avevamo motivo di pensare che dietro certi toni da gazzettiere obeso e furibondo vi fosse una realtà piuttosto evanescente, testimoniata anche dal trascurabile numero di partecipanti raccolti da una manifestazione con pretese "nazionali".
In una via senza traffico della città di Prato esiste questo fondo commerciale. Forse una ventina di metri quadri.
I poster sono quelli di una formazione "occidentalista" non solo in ottimi rapporti con Casaggì Firenze, ma anche -e soprattutto- custode delle radici cristiane d'"Occidente" in questa contrada di Frangistan.
Vale la pena di notare che la ricristianizzazione della città procede con regolarità ed efficacia; la molto pubblicizzata realizzazione di un qualcosa che si chiama "Prato Sex", avvenuta nel completo silenzio (e probabilmente nella più o meno esplicita approvazione) dei benissimo rappresentati distaccamenti locali di sedicenti crociati, fa pensare che i capi 2353, 2354 e 2355 del Catechismo della Chiesa Cattolica non facciano parte dei piani di battaglia. Su cosa ne sia stato del capo 2356 è il caso di mostrarsi misericordiosi, evitando di tirare conclusioni affrettate.
Sono le ore di metà pomeriggio di un giorno qualunque. Serranda abbassata per metà, non un anima in giro, la raccomandazione di rivolgersi ad un altro indirizzo "per le consegne di pacchi e posta".
Sul prossimo manipolo in partenza per il Quarnaro, nessuna indicazione.

martedì 12 marzo 2013

Achille Totaro: una politica di sobrietà, consapevolezza e competenza storiografica


I lettori di questo blog conoscono relativamente bene la figura e le res gestae di Achille Totaro; si tratta di uno storiografo di rara competenza che gli avversari politici hanno fatto oggetto di terribili minacce. Almeno fino a qualche tempo fa si poteva anche rintracciare una eloquente correlazione tra certi suoi comunicati stampa e certe dimostrazioni di intraprendenza della gendarmeria di stanza a Firenze.
Ora, Achille Totaro è grasso.
E di Scandicci.
Si tratta di caratteristiche che ne fanno un individuo unico ed irripetibile. Unite ad un curriculum vitae in cui non si nota traccia alcuna di attività lavorative o di professionalità acquisite, gli hanno permesso di occupare per anni cariche rappresentative in varie sedi istituzionali. Al momento in cui scriviamo l'apice della sua carriera politica è rappresentato da cinque anni passati a scaldare uno scranno della camera alta, prevista dall'ordinamento dello stato che occupa la penisola italiana.
Il 9 marzo 2013 Casaggì Firenze ha organizzato l'annuale passeggiata tra amici, interpellando qualcosa come cinque o sei organizzazioni pur di riuscire a mettere insieme un centinaio di persone disposte a camminare per cento metri reggendo drappi verdi, bianchi e rossi sotto la pioggia battente.
Uno dei momenti salienti della giornata è rappresentato dalla foto in alto.
C'è da credere che l'elettorato passivo costretto a intervenire, dopo la fastidiosa rassegna della servitù in mezzo agli stendardi fradici, avrà trovato salienti le ore successive, trascorse -glielo auguriamo- in ambienti più asciutti e meglio forniti di quelle derrate e di quella compagnia cui sono abituati i politici "occidentalisti".
Preso forse alla sprovvista dalla defezione dell'oratore principale, Achille Totaro avrebbe sciorinato a beneficio dell'umidiccia conventicola di presenti che tiravano su col naso qualche anticipazione degli ultimi risultati della sua attività accademica, e si sarebbe scagliato contro l'incommensurabilmente più nutrito corteo avversario
definendo i manifestanti "quattro ubriaconi che forse nemmeno sanno perché stanno sfilando". Totaro ha chiesto che quello della tragedia delle foibe sia "un ricordo di tutti, perché non si può fare speculazione politica su una tragedia".
In un contesto normale, in cui si agisca in considerazione del principio di realtà, dell'obiettività e della competenza, nessuno avrebbe motivo di dubitare delle parole di Achille Totaro; dovremmo dunque considerarlo un individuo sobrio e consapevole del perché delle sue azioni, ed ammettere che non abbia mai tratto alcun giovamento dalla speculazione politica sulle tragedie.
Come i nostri lettori sanno bene, la menzogna e la mimesi satanica sono parte integrante ed abituale della pratica politica "occidentalista". Ne consegue che "occidentalismo" e normalità, "occidentalismo" e principio di realtà, "occidentalismo" ed obiettività, "occidentalismo" e competenza sono concetti che si escludono mutualmente. Per cui possiamo tranquillamente accantonare una visione tanto lodevole e specchiata iniziando ad opporre ad essa controprove di facilissimo reperimento.
La prima è rappresentata dagli scenari che la propaganda politica "occidentalista" ha privilegiato a Firenze. Chi muove agli avversari politici l'accusa di شــــرب الخمـــر ha militato fino a ieri in una formazione politica solita organizzare manifestazioncine elettorali in mescite costose.
Nel giugno 2009 alcune di queste mescite sollevavano il deciso interesse della gendarmeria, che invece di uscire in cerca di qualche corteo di studenti eseguì una trentina di arresti senza il minimo riguardo per l'indubbia eleganza degli arrestati e per il tenore di vita che erano in grado di esibire, portandoci a pensare che il notevole successo commerciale delle mescite interessate non fosse da ascrivere esclusivamente all'eccellenza del loro succo d'arancia.
Un contesto del quale si può affermare tutto ed il contrario di tutto, ma che è difficile presentare come un monumento alla sobrietà.
Il secondo punto facilmente confutabile è rappresentato dalla consapevolezza delle proprie azioni. La confutazione getta un'altra luce interessante sulle competenze storiografiche di Achille Totaro.
Il rapporto degli "occidentalisti" con la "giustizia" è notoriamente ambivalente, nel senso che in un mondo a misura di "occidentalista" giudici, gendarmi e galere si limitano ad accanirsi contro soggetti la cui repressione (anche fisica) sia utilizzabile con profitto dalla propaganda. In questo campo sono stati sicuramente compiuti molti importantissimi passi avanti; nonostante questo, non sempre un "occidentalista" riesce ad evitare di rendere conto delle proprie azioni.
Uno di queste residuali circostanze coinvolse alcuni anni fa proprio Achille Totaro. Durante una piccola discussione gli era successo di tacciare pubblicamente di assassino Bruno Fanciullacci, senza sapere che si trattava di un combattente insignito di un'altissima onorificenza al valore militare. Non tutti la presero bene, e la cosa finì con tutta calma in tribunale.
In veste di imputato Achille Totaro dichiarò spontaneamente che
"...Io non è che mi sono alzato la mattina e improvvisandomi storico o interessato alla storia mi sono messo a parlare della figura di Fanciullacci o di Gentile. Ho fatto quelle affermazioni in un contesto ben preciso che mi permetto, Presidente, di poterle raccontare. 
...Io signor presidente, non conoscevo la storia e la fine che aveva fatto Fanciullacci, glielo dico con sincerità. ...Men che meno conoscevo tutte le opere che ha scritto Giovanni Gentile... Secondo me, se uno ammazza una persona disarmata mentre rientra a casa non è un eroe, ma un assassino. ...Io continuavo a non sapere; poi, ho saputo dopo, e ho conosciuto le vicende che riguardavano il partigiano Fanciullacci. ... Io parlavo dell'episodio specifico in sé. ....Gli altri coimputati, anche loro non conoscevano questa cosa [...] loro, le affermazioni le hanno fatte il giorno dopo ancora perché hanno saputo quello che avevo detto io... e hanno fatto questa cosa di solidarietà nei mei confronti; per la verità... sono stato l'ispiratore anche di quello. Non mi ero informato sulla questione, non pensavo dicendo quelle cose di offendere alcuno".
Dalle affermazioni di Achille Totaro possiamo anche trarre conclusioni molto divertite e molto ingenerose anche sulla canina fedeltà dei suoi gregari.
Resta il terzo punto, che è quello di più facile e generale confutazione.
Le formazioni politiche "occidentaliste" hanno fatto della speculazione sulle tragedie altrui, per solito compiuta a mezzo gazzettina, un'arma propagandistica di utilizzo talmente abituale da non lasciare che l'imbarazzo della scelta. Basterà ricordare il padre che voleva uccidere la figlia in coma; i nostri lettori potranno trovare tutto il materiale loro occorrente presso il primo venditore di gazzette in cui si imbatteranno la prima volta che usciranno di casa.

sabato 9 marzo 2013

9 marzo 2013. Casaggì Firenze e gli "altri impegni" di un sabato piovoso


Il 9 marzo 2013 si sono tenute a Firenze due manifestazioni di piazza: l'annuale passeggiata tra amici indetta da Casaggì Firenze e un corteo di segno opposto, organizzato da mustad'afin privi di rappresentanze elettorali, poco inclini a qualsiasi genere di delega ed altrettanto poco inclini a tollerare bandiere governative, molto giustamente e molto lodevolmente fatte allontanare dal corteo.
Vale la pena riferire della giornata soltanto per un particolare, riportato in modo identico da svariate gazzettine.
Era prevista anche la presenza dell'on. Giorgia Meloni, che pero' non e' potuta venire per altri impegni.
I nostri lettori conoscono Giorgia Meloni per la profonda stima che essa riscuote presso i massimi livelli dell'"occidentalismo" peninsulare e la sua presenza, considerata chissà perché qualificante come poche altre, era prevista da mesi e doveva costituire il nerbo dell'iniziativa: la quarantina di mangiaspaghetti messa insieme dragando tre o quattro province affinché agitasse drappi verdi, bianchi e rossi (pare sia la bandiera dello stato che occupa la penisola italiana) è rimasta con un palmo di naso.
Le ragioni della defezione sono comprensibili e condivisibili: nessuno ambisce di trascorrere un sabato pomeriggio piovoso percorrendo cento metri lungo una strada guardata a vista dalla gendarmeria, per deporre un mazzo di crisantemi davanti ad un cartello stradale lordato dalle vernici spray.
Facile, in queste condizioni, che sopraggiunga qualche impegno.
L'accaduto permette anche di tirare le consuete conclusioni -nel caso ce ne fosse ancora bisogno- sulla considerazione che i politici "occidentalisti" riservano alla propria servitù fiorentina.

Post scriptum. La "libera informazione", mentre il corteo era ancora per le strade, è intervenuta soccorrevole a dare moltissimo risalto alla versione dei fatti fornita dalla decina di alfieri governativi cacciati dal corteo.
Il blogger fiorentino Riccardo Venturi ha pubblicato sull'argomento uno scritto dai toni giustamente duri. Per prima cosa, in 'a Bbidonara, er Piddirindiddì e l'Antifascismo l'autore ricorda che un certo modo di comportarsi denotante riconoscenza e compartecipazione dev'essere più la norma che altro, presso l'elettorato passivo "occidentalista".
Anche per quest'anno, in pompa magna e su tutte le migliaia di manifesti per il "Corteo delle foibe", era stata preannunciata la presenza di Giorgia Meloni; dico "anche per quest'anno", dato che l'anno scorso la suddetta aveva pensato bene di dare forfait all'ultimo momento, preferendosene evidentemente restare al calduccio (nel 2012 la "giornata della memoria" si era svolta regolarmente in febbraio, e il corteo si era svolto in un pomeriggio in cui a Firenze c'erano sette gradi sottozero).
Quest'anno, invece, nonostante la pioggia la temperatura era alquanto gradevole (faceva quasi caldo...); però, appunto, pioveva parecchio. Et revoilà: all'ultimo momento, la Meloni ha fatto sapere di avere improcrastinabili impegni ed ha lasciato di nuovo i suoi (scarsi) cameratucci a "ricordare" e, soprattutto, a inzupparsi d'acqua. Oh, mica scema!
In secondo luogo, il blogger di Ekblòggethi descrive alcune circostanze oggettive alla base della scoraggiante accoglienza ricevuta dai governativi. E lo fa spiegando alcune cose che la "libera informazione", con particolare riguardo all'edizione fiorentina del foglio "La Repubblica", si è dimenticata di spiegare.

Una foto di gazzetta sulla passeggiatina tra amici organizzata da Casaggì Firenze. Con la defezione dell'ospite d'onore, la prima fila è passata agli spaghettifresser comprimari, qui ritratti a fauci spalancate nell'intento di cantare chissà cosa. Spicca tra di essi Achille Totaro, che è grasso (e di Scandicci) per una volta ritratto senza il noto corteggio di cultrici della storiografia contemporanea.