giovedì 9 dicembre 2010

Firenze, Massimo Mattei e l'islamofobia quotidiana ad uso dei cialtroni


Sherif el Sebaie ha seguito e riassunto le vicende di un mustad'af qualsiasi, indicato per giorni come il principale se non l'unico colpevole di un delitto efferato; il gazzettame assicurava che "se ne attendeva solo la confessione".
Due giorni dopo il posatore e piastrellista ventitreenne finito in galera per un errore di traduzione, e dotato di alibi che sono parsi difficilmente contestabili, viene rilasciato.
Non è certo la prima volta che i copioni già scritti rifiutano di girare come desiderabile. Sul più repellente caso di questo genere ci soffermammo molto a lungo a suo tempo, ma il ruolo dei capri espiatori, chiamati quotidianamente per legittimare a contrario lo stato di cose presente, è fondamentale per la costruzione di un consenso acquiescente e pensare che i gazzettieri ne facciano a meno in nome di un minimo di obiettività significa sicuramente pretendere troppo.
Adesso che è venuto fuori che i marrocchini trascorrono le giornate più che altro lavorando come matti invece che ad insidiare il fiore della gioventù "occidentale" (attività in cui farebbero se mai concorrenza agli autoctoni, ma questo sulle gazzette non lo scrivono di certo), i gazzettieri si trovano un po' a mal partito: occorre trovare a tutti i costi qualcosa per mantenere sempre e comunque quel clima demente di allarme sociale tanto redditizio per tutti, e far scivolare rapidamente nel dimenticatoio l'incompetenza cialtrona con cui si affrontano certe questioni. Per una new islamofoba andata a monte, se ne devono dunque costruire almeno altre due. In questo, il giornalame del 9 dicembre 2010 offre un esempio concreto di una prassi trasversale e consolidata.
Il terreno lo prepara un articoletto di un certo Claudio Magris, che sul Corriere della Sera tenta di raccontare che la luna è fatta di formaggio, e che è giusto il bianco perché è nero.
La solita foletta per mentecatti. Chissà quanto l'hanno pagato.
Su Magris e sul contesto del paesucolo lombardo dove si è consumata la vicenda Sherif el Sebaie e Miguel Martinez hanno detto tutto quello che c'era da dire.
Confuse le acque con i Magris si può tirare un sospiro di sollievo e tornare all'attacco come se niente fosse. Si parte quindi con una fumosa notizia in merito a frequenze scolastiche e musica, che su "La Nazione" di Firenze serve a meraviglia per consentire ad ogni islamofobo di condominio di dare testimonianza della propria pochezza. Non commentiamo il contenuto della new perché in dieci casi su nove i contenuti di quel foglietto non sono degni neppure di confutazione. Ci soffermeremo invece su alcuni dei commenti raccolti da essa, che illustrano il solito quadro di strepitosa idiozia che è normale attendersi dal target di quel giornaletto.

N. Casini
Vergognoso il compromesso, ci siamo, ancora una volta, chinati a questa gente. Oramai è palese che questi non hanno alcuna intenzione di integrarsi e una cultura troppo distante dalla nostra per poter convivere nella stessa nazione. Vivono qui, usufruiscono dei nostri servizi e ci disprezzano, ci considerano degli infedeli e attendono il giorno in cui saranno abbastanza per prendere il nostro posto in Italia e in Europa. Per fortuna ma anche purtroppo, ultimamente, nel Vecchio Continente alle elezioni la destra più xenofoba sta avendo molti consensi un pò dappertutto, spero sia il segno del fatto che la gente ha iniziato a capire con chi ha a che fare.

Questo N.Casini rappresenta un caso di islamofobia di quelli da spaghetteria a prezzo fisso.
Complottismo spicciolo, cialtroneria, incompetenza. Coronate da quella cecità che fa da corollario a quell'ignoranza coltivata con amore e dedizione dall'intero manstream "occidentale", ormai talmente pervasiva e condivisa che i sudditi se ne servono come un giustificativo.
Il malcapitato lavoratore marocchino citato all'inizio "nel Vecchio Continente" ci era venuto appunto per lavorare: la telefonata che gli è costata il carcere pare fosse diretta ad un tale che gli doveva del denaro. A detta dei suoi stessi padroni quel ventitreenne dava da anni prova di affidabilità e dedizione al lavoro. Invece di un molestatore di ragazzine, dovremmo trovarci al cospetto di un individuo dal comportamento economicamente responsabile, impostato a quella sobrietà e a quella spartanità che il Libro raccomanda esplicitamente ai credenti. Caratteristiche che lo autorizzano sicuramente a disprezzare una società "occidentale" improntata a criteri opposti, e nella quale, oltre all'ignoranza, anche la dissolutezza è divenuta giustificativo, quando non motivo di vanto.
Il disprezzo altrui gli "occidentalisti" lo cercano e lo meritano.

J
E io pago le tasse per dare le case popolari a questa gente ?? Che pena..

Il caso di J invece è impostato ad uno stringato qualunquismo, che alla sua base ha di solito un po' di legalitarismo d'accatto. Questo non lo escluderebbe certo dal frequentare spaghetterie di terz'ordine: chi volesse immaginarsi N.Casini e J., muniti di canottiera d'ordinanza, shorts e ciabatte intenti a consumare una zuppiera di maccaruna c'a'pummarola, dovrebbe però immaginare il primo intento a consumare la propria parte ascoltando assorto il telegazzettino di tolleranzezzèro, giridivite e altra roba così trasmesso dalla tv all'angolo, ed il secondo invece impegnatissimo a protestare querulo con la cameriera per l'esiguità della porzione ricevuta.
J dovrebbe comunque sentirsi allegro: con le sue tasse lo stato che occupa la penisola italiana strapaga militari, carri armati ed aerei che da anni stanno tentando, con risultati ampiamente discutibili, di esportare la democrazia direttamente a casa di certi signori: per il solo 2010 i costi previsti ammontano ad un miliardo di euro abbondante.
Chissà quante case popolari ci si costruirebbero.

Abbiamo costruito una scena ambientata in una spaghetteria -una di quelle dove si smerciano anche videocassette pornografiche e santini di Padre Pio, la consueta metafora con cui in questa sede si indica lo stato che occupa la penisola italiana- perché la seconda new islamofoba di oggi riguarda un ristorante vero e proprio.
Firenze ha stretto da anni un gemellaggio con Esfahan. Da Esfahan una delegazione in visita ufficiale sarebbe arrivata a Firenze per studiare il funzionamento dei trasporti pubblici cittadini. Una gazzetta tenuta in assai maggior conto de "La Nazione" di cui sopra -per motivi che abbiamo ragione di ritenere sempre meno fondati- ci informa in merito ad un fatto trascurabile verificatosi in una trattoria del centro, che è diventato new solo per la nazionalità di alcuni protagonisti.

"Di fronte alla tavola imbandita per gli ospiti alla trattoria Giannino in San Lorenzo scoppia un caso: gli iraniani rifiutano di sedersi con lo staff di Mattei perché nella truppa italiana ci sono due donne.
La delegazione di Isfahan chiede un altro tavolo, intenzionata a consumare il pasto offerto da Palazzo Vecchio in separata sede. E Mattei va su tutte le furie: "Non intendo proseguire nei convenevoli: o siedono al nostro tavolo o vado via", urla prima di uscire dal ristorante: "Questione di rispetto, non possono andare in barba alle nostre tradizioni", si sfoga all'ingresso della trattoria, trattenuto solo da un assistente.
I persiani dentro confabulano tra di loro per un quarto d'ora e solo dopo un confronto acceso alla fine accettano di sedere al tavolo con gli italiani. Mattei rientra e tiene un discorso sulla cultura dell'accoglienza fiorentina accolto dagli amministratori iraniani con un certo imbarazzo".

I resoconti gazzettieri sulle uscite pubbliche dei rappresentanti istituzionali dello stato che occupa la penisola italiana, a qualunque livello appartengano, sono abitualmente ricchi di dettagli avvilenti e rivelatori.
Questo significa che è più facile trovarvi apprezzamenti sulle giovani donne poco vestite che hanno presenziato ad essi che non sui contenuti di discussioni, decisioni e trattati.
L'adozione abituale di una simile prassi può portare a credere che lo stesso valga anche per i rappresentanti istituzionali provenienti da contesti meno sovvertiti.
Uno di questi contesti è la Repubblica Islamica dell'Iran. E data la minor sovversione del contesto di provenienza, nulla vieta di pensare che una delegazione proveniente da essa non sia davvero venuta a Firenze per prendere informazioni di prima mano sul funzionamento dei trasporti pubblici, anziché per passare le serate al ristorante. Massimo Mattei -autoschedato sul Libro dei Ceffi, come tiene a precisare lui stesso- avrà anche le competenze e i meriti per occuparsi di "Mobilità, manutenzioni e decoro", ma avrebbe fatto meglio a lasciar perdere "rispetto" e "tradizioni", a riflettere su questo dato elementare e a non imbarazzare gli ospiti con fastidiose e forse incomprensibili concioni.
In altre parole, i rappresentanti della Repubblica Islamica dell'Iran sono tenuti ad osservare, dando in questo esempio, una condotta pubblica che rifletta i valori fondanti dello stato rivoluzionario.
Si tratta di un contesto in cui comportamenti improntati a sobrietà, modestia ed austerità sono imprescindibili in pubblico.
Chiunque abbia avuto a che fare con gli ambienti della politica e della diplomazia iraniane sa che in linea di massima i loro rappresentanti non condividono la tavola con donne non rispettose dello hijab, e non siedono laddove siano anche soltanto presenti degli alcolici.
Uno dei motivi per cui vengono seguiti comportamenti tanto rigidi è che di solito le delegazioni all'estero sono composte da individui consapevoli di rappresentare un paese contro il quale da trent'anni esiste un bias mediatico estremamente negativo e continuamente rafforzato con qualsiasi pretesto. Permettere ai presenti di assistere a comportamenti contraddittori, improntati ad irreprensibilità sul territorio nazionale e considerevolmente più rilassati non appena al di fuori di esso, contribuirebbe al rafforzamento di questo bias ed è dunque costruttivo il fare ogni sforzo per evitarlo.
Queste linee comportamentali sono legittimate nell'uso dall'aver avuto un esempio tra i più alti.

Consapevole almeno del fatto che eliminarlo fisicamente avrebbe solo peggiorato le cose, Reza Pahlavi nel 1963 fece esiliare Khomeini in Turchia. Un accordo tra servizi segreti impose alla famiglia dell'ufficiale turco Ali Cetiner di ospitarlo a Bursa per quasi un anno. Appena giunto dai Cetiner Khomeini si rese protagonista di un episodio increscioso. Ma solo all'apparenza.

"La prima sera ci sedemmo per mangiare insieme ai miei due figli maschi, a mia figlia ed al colonnello iraniano. Mia moglie aveva allestito una lunga tavolata, e Khomeini sedeva a capo tavola. Il colonnello iraniano [Afzali, della polizia segreta SAVAK, n.d.r.] ed io gli sedevamo a fianco, uno per parte. Accanto a me c'erano i miei figli Tanju e Tulga, e dopo di loro mia figlia Payan. All'epoca frequentava le medie ed aveva circa dodici anni.
Arrivò da mangare. Khomeini rimase immoto davanti al piatto pieno e non accennò a servirsi. 'Padre', dissi io 'per favore, cominciate a mangiare'. Lui non disse niente. Non alzò neanche lo sguardo. Eravamo un po' imbarazzati: chiesi al colonnello iraniano se per caso il cibo non fosse di suo gradimento. Il colonnello si rivolse a Khomeini e i due iniziarono un breve dialogo. Khomeini era furibondo, e parlava a voce alta. Poi, tutto d'un tratto, alzò il pugno e puntò il dito contro mia figlia come se volesse trapassarla. Aveva gli occhi spalancati per la rabbia. 'Giz!' disse, in turco. Conosceva poche parole in turco: 'kiz', ragazza, era una di esse. Non riusciva a pronunciare 'kiz' nel modo corretto, dunque disse 'giz'. Mia figlia si spaventò, noi eravamo in grave imbarazzo e non sapevamo cosa dire o cosa fare. Khomeini era furente perché mia figlia si era messa a tavola senza coprirsi il capo. La ragazzina sedette impalata al suo posto per un po' con gli occhi spalancati. Poi corse via piangendo in cucina da sua madre. Quella sera non volle farsi vedere nuovamente da Khomeini e non ritornò a tavola. Dopo che mia figlia si fu allontanata, Khomeini sembrò considerevolmente sollevato. Cominciò a mangiare come se nulla fosse accaduto. Non mi dimenticherò mai di quello scontro. Non è così che si trattano i bambini".

Le osservazioni di Ali Cetiner su quanto avvenne quella sera costituiscono un interessante esempio di testimonianza da persona coinvolta nei fatti:

"L'intera vita di Khomeini era basata sull'immagine, e credo che anche un simile comportamento contribuisse ad essa. Faceva parte della sua astuzia. Più tardi notammo che faceva ogni sforzo per preservare una certa immagine e che si comportava in modo da conformarsi ad essa. Se il colonnello iraniano non fosse stato presente, credo che non avrebbe mai trattato mia fglia in quel modo. Infatti, successivamente entrò in familiarità con lei. Mia figlia continuò a vestirsi come aveva sempre fatto, come chiunque altro. Non si coprì il capo e continuò la sua vita di sempre quando si trovava in casa, e Khomeini non ebbe mai alcunché da ridire".

[Tradotto da Baqer Moin, Khomeini: life of the Ayatollah - I.B. Tauris & Co., London 1999]

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