lunedì 23 agosto 2010

Di rom, di rumeni, di clandestini e di altre cose


Ad agosto gli argomenti dovrebbero, in teoria, scarseggiare; invece il materiale degno di qualche speculazione non è mancato, grazie alle ultime riprovevoli boutades dell'"occidentalismo" militante fiorentino.
In attesa del quindici settembre, quando in un pieno mercoledi pomeriggio lavorativo uno zero di nome Marco Cordone dovrebbe insozzare una piazza fiorentina leggendovi estratti di un libercolo di Oriana Fallaci, possiamo infierire su tutto il mazzo avvalendoci di qualche articolo di gazzetta e di una memoria più lunga di quanto la spazzatura politicante desidererebbe.
Come si ricorderà, in una notte d'estate e adottando molto giustamente precauzioni ai limiti del paranoico, una decina di militanti di "Azione Giovani" hanno affisso qualche foglietto in cui se la prendevano con una legge toscana che assicura le prestazioni sanitarie indifferibili ed urgenti anche a chi non possiede quel tesserino di plastica che secondo la volontà "occidentalista" fa la differenza tra chi merita di vivere e chi no. Lo scagnare "occidentalista" ha trascinato la cosa fino ad un organo del potere giudiziario che nell'ordinamento dello stato che occupa la penisola italiana viene definito "Corte Costituzionale".
La Corte Costituzionale ha dato torto marcio ai ricorrenti.
Si ricorderà anche che nei volantini diffusi, in mezzo ad irritanti distinguo e ad annaspi assortiti, si capiva che per gli "occidentalisti" il legislatore toscano era colpevole di non consegnare supinamente questo o quell'essere umano ad una fine spaventosa, capace di far impallidire la peggiore iconografia sulle pestilenze medievali. Nulla di inconcepibile per la pratica politica "occidentalista", sistematicamente vòlta a suscitare gli istinti più deteriori al nobile fine del tornaconto elettorale.
Si ricorderà anche del video che testimoniava la sortita, in cui comparivano ragazze "vestite" in modo apertamente criticabile.
Poche settimane dopo questa costruttiva pensata, una gazzetta on line documentava un fatto verificatosi nella vicina Prato, il laboratorio delle politiche "occidentaliste" su cui ci siamo più volte soffermati, infierendo doverosamente suo segni di una ostentazione quotidiana e reiterata di "valori" e comportamenti diametralmente opposti a quelli propugnati dalle "radici cristiane" che la schiuma "occidentalista" tiene tanto a riscoprire.
Secondo questa gazzetta, una donna "clandestina", qualunque significato si voglia attribuire al termine, ha somministrato a causa di una cattiva traduzione una iperdose di antistaminico alla propria bambina di tre mesi, che si è salvata grazie all'operato del reparto pediatria dell'ospedale del luogo.
Ecco, è bene che sia chiaro che nell'infera utopia "occidentalista" sarebbe stato giusto che questa bambina fosse crepata in un modo che in tempi più normali, quelli per intenderci in cui assumere cocaina e frequentare prostitute non erano considerate virtù, nessuno avrebbe augurato neppure ad un cane.

Ovviamente l'"occidentalismo" gazzettiero non va in vacanza: ogni giorno la macchina della propaganda deve macinare esistenze e produrre suffragi. L'agosto 2010 è il mese in cui le deportazioni di cittadini rumeni organizzate nella Repubblica Francese da un certo Sarkozy, al quale non sapremmo attribuire alcun merito al di là della gelosissima frequentazione di mucose femminili da rotocalco, hanno riacceso la verve forcaiola degli "occidentalisti" toscani, che hanno pensato bene di infierire -nihil sub sole novum- su qualcosa che non si capisce bene se siano i rom o i rumeni. "Il Giornale della Toscana", per il quale non esiste alcuna differenza così come nessuna differenza esiste per il suo pubblico, se ne usciva infatti con questo capolavoro di titolo.



Chi scrive non ha mai patito alcun torto, neppure minimo, né da un rumeno né tantomeno da un rom. E dire che se l'atteggiamento "occidentalista" nei confronti dei rom è rimasto costantemente improntato ad una scoperta ed esplicita voglia di sterminio ampiamente avallata dalla gran parte dei sudditi, quello nei confronti dei rumeni ha conosciuto, in nome delle citate necessità elettorali, delle virate sorprendenti. Nel 1989 i trei culori con il buco al centro, a testimoniare la fine del governo comunista, erano un vessillo irrinunciabile, criticare il quale voleva ovviamente dire essere intruppati senza diritto alla difesa tra i coltivatori di nostalgie inconfessabili. Oggi i cittadini della Repubblica di Romania vengono considerati una sorta di extracomunitari onorari.
Rom e rumeni, peraltro, hanno avuto ed hanno a tutt'oggi un rapporto che definire conflittuale è riduttivo; non vogliamo fare torto a nessuno dal momento che entrambi hanno altro da fare che leggere le gazzette; per questo si propongono qui, per ciascuno di essi, un canto comunemente associato all'appartenenza di gruppo.


Treceţi batalioane române Carpaţii dovrebbe risalire agli anni del primo conflitto mondiale e rievocare l'intervento in esso del Regno di Romania, che aspirava ad annettersi le terre "irredente" controllate dall'impero austriaco. Partita nel peggiore dei modi, l'avventura rumena raggiunse alla fine i risultati sperati, costruendo una nazione con genti e territori fino a pochi decenni prima spartiti da tre imperi in un clima sociale e politico che aprì la strada all'esperienza antisemita ed ultranazionalista della Garda de Fier.


Un cântec istoric ne-aduce aminte
Că fraţii în veci vor fi fraţi
Un cântec de luptă bătrân ca Unirea
Voi compatrioţi ascultaţi

Treceţi batalioane române Carpaţii
La arme cu frunze şi flori
V-aşteaptă izbânda, v-aşteaptă şi fraţii
Cu inima la trecător

Ardealul, Ardealul, Ardealul ne cheamă
Nădejdea e numai la noi
Sărută-ţi copile părinţii şi fraţii
Şi-apoi să mergem la război

Nainte, nainte spre Marea Unire
Hotarul nedrept să-l zdrobim
Să trecem Carpaţii, ne trebuie Ardealul
De-o fi să ne-ngropăm de vii

Cu săbii făcură Unirea, ce inimi!
Spre Alba cu toţii mergeam
Toţi oamenii ţării semnau întregirea
Voinţa întregului neam

Cu toţii eram regimente române
Moldova, Muntenia, Ardeal
Fireasca unire cu patria mumă
Ne-a fost cel mai drept ideal

Aceasta-i povestea Ardealului nostru
Şi-a neamului nostru viteaz
Istoria-ntreagă cu lupte şi jertfe
Trăieşte-n unirea de azi

Dreptatea şi pacea veghează Carpaţii
Şi ţara e frunze şi flori
A noastră izbânda, ai noştri sunt fraţii
Trăiască în veci trei culori

Vrem linişte-n ţară şi pace în lume
Dar dacă-ar veni vreun blestem
Carpaţii şi fraţii sări-vor ca unul
Urmând comandantul suprem

Treceţi batalioane române Carpaţii
La arme cu frunze şi flori
V-aşteaptă izbânda, v-aşteaptă şi fraţii
Cu inima la trecător.
Un vecchio canto ci ricorda
Che i fratelli saranno sempre fratelli;
un canto di battaglia dei tempi dell’Unificazione
voi compatrioti ascoltate.

Avanti nei Carpazi o battaglioni rumeni,
le armi ornate di fronde e di fiori;
vi attende la vittoria, vi attendono i vostri fratelli
con il cuore rivolto a chi marcia.

La Transilvania, la Transilvania, la Transilvania ci chiama
e noi siamo la sua sola speranza;
baciate i bambini, i genitori e i fratelli
e poi andiamo alla guerra.

Avanti, avanti verso la Grande Unione;
abbatteremo la frontiera ingiusta;
passiamo i Carpazi e prendiamo la Transilvania,
anche a costo di farci seppellire vivi.

Con le loro spade realizzarono l’Unità, che cuori!
Verso Alba Iulia andiamo tutti insieme.
Tutti gli uomini del paese hanno firmato per l’unificazione,
la volontà di una nazione intera.

Eravamo tutti reggimenti rumeni,
Moldavia, Muntenia e Transilvania;
l’unità naturale della madre patria
fu il nostro giustissimo ideale.

Questa è la storia della nostra Transilvania,
e della nostra coraggiosa nazione;
l’intera nostra storia, di battaglie e sacrifici,
vive nell’Unione di oggi.

Giustizia e pace vegliano sui Carpazi,
e tutta la terra è coperta di verde e di fiori;
la vittoria è nostra, sono nostri i fratelli,
evviva per sempre i tre colori.

Vogliamo tranquillità per la nostra terra e pace nel mondo,
ma se una minaccia dovesse presentarsi,
i Carpazi e i nostri fratelli si leveranno come un solo uomo
dietro al loro comandante supremo.

Avanti nei Carpazi o battaglioni rumeni,
le armi ornate di fronde e di fiori;
vi attende la vittoria, vi attendono i vostri fratelli
con il cuore rivolto a chi marcia.



Gelem gelem, "Sono andato, sono andato", è l'inno ufficioso degli zingari. Dovrebbe essere attribuito a Žarko Jovanović e Jan Cibula, che lo avrebbero redatto nel 1969 usando come base una melodia tradizionale e presenta molte varianti nel testo, adattato a lingue e dialetti di un po' tutta l'Europa orientale. La Kali Lègia del testo identifica con ogni probabilità i reparti SS responsabili del porrajmos, la distruzione degli zingari d'Europa.


Gelem, gelem lungone dromencar
Maladilem baxtale Romencar
A Romalen kotar tumen aven
E chaxrencar bokhale chhavencar

A Romalen, A chhavalen

Sasa vi man bari familiya
Mudardas la i Kali Lègiya
Saren chhindas vi Romen vi Romnyan
Mashkar lende vi tikne chhavoren

A Romalen, A chhavalen

Putar Devla te kale udara
Te shay dikhav kay si me manusha
Palem ka gav lungone dromencar
Ta ka phirav baxtale Romencar

A Romalen, A chhavalen

Opre Roma isi vaxt akana
Ayde mancar sa lumaqe Roma
O kalo muy ta e kale yakha
Kamava len sar e kale drakha

A Romalen, A chhavalen

Sono andato, sono andato per lunghe strade,
ho incontrato romà fortunati.
Ehilà, romà? Da dove venite
con le tende e i bambini affamati?

Oh, romà! Oh, fratelli!

Anch'io avevo una grande famiglia,
l'ha sterminata la Legione Nera.
Uomini e donne furono squartati,
e tra di loro anche bambini piccoli.

Oh, romà! Oh, fratelli!

Dio, apri le nere porte
così che possa vedere dov'è la mia gente.
E tornerò a andare per le strade,
e vi andrò con uomini fortunati.

Oh, romà! Oh, fratelli!

In piedi, gitani! E' ora il momento,
venite con me, romà di tutto il mondo
il volto bruno e gli occhi scuri
mi piacciono tanto, come l'uva nera.

Oh romà! Oh, fratelli!

La prima cosa che risulta evidente è che non potrebbero esistere costruzioni identitarie fondate su valori ed esperienze più opposte di queste. Ma per l'incompetenza "occidentalista", evidentemente, non c'è alcuna differenza. Basta non avere in regola le carte per le quali è un manipolo di indossatori di cravatte a decidere le regole, per risultare meritevoli di campo di concentramento, di deportazione e peggio. Tanto i capri espiatori hanno altro da fare che occuparsi di come gazzette e scaldapoltrone li trattino, sistematicamente e finora -purtroppo- impunemente, come appestati sui quali è lecito infierire con ogni mezzo.
Gli ultimi anni hanno visto lo smantellamento della democrazia, trasformata in eurocrazie e natocrazie, guerre incessanti e la fine dello stato di diritto, per non parlare dello sfascio dello stato sociale in tutti i suoi aspetti, dalla scuola pubblica alle pensioni: eppure la gente rimane incredibilmente sotto controllo, perché teme e quindi odia. Teme ed odia perché ogni giorno, sfruttando ogni possibile debolezza psicologica ed ogni luogo comune, c'è chi induce in tutti una fantasia ossessiva fatta di mostri assetati di sangue che si annidano come gli alieni di qualche pellicola dozzinale tra gente comune da anni avviata verso una lotta canina per le sempre minori risorse a disposizione. E si avvicina sempre di più il giorno in cui ogni altra spiegazione, ivi comprese le franche risate in faccia alla spazzatura umana che sporca la carta del gazzettame "occidentalista", verrà considerata apologia di terrorismo.
La "legalità occidentalista" è il nulla della Legione Nera; il deserto chiamato pace, Satana il Lapidato.

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