venerdì 26 febbraio 2010

Giudici talebani?


Come tutti sanno, lo stato che occupa la penisola italiana è "controllato" da una ristretta categoria di politicanti che ha prima reso infrequentabili gli ambienti della politica istituzionale da parte di chiunque avesse un minimo di rispetto per se stesso e per gli altri, e poi li ha occupati in blocco, instaurando una pornocrazia fondata sullo scambio di favori, sull'ostentazione di lussi grossolani e sull'assoluta impunità. Un "controllo" in verità molto relativo: in un contesto globalizzato il primato dell'economia sulla politica è affermato, consolidato ed indiscusso; a contestarlo sono solo in pochi che si autocandidano all'emarginazione sociale ed al linciaggio da parte della torma di vuotacessi che fancazza nelle redazioni.
In queste condizioni può sembrare incredibile che la sedicente élite riesca ad avere problemi con la giustizia penale; eppure a volte accade ancora. Alla fine di febbraio 2010 è dunque invalsa la moda mediatica, durata anche questa per poche ore, di definire talebani i detentori del potere giudiziario che non si limitino ad accanirsi contro i mustad'afin e intendano turbare l'olimpica pace di politicanti ed affaristi.
Talebano, o meglio ṭālib al singolare, è un vocabolo pashtun calco di un analogo arabo, ed ha il significato di "cercatore" e per estensione di "studente". Come ha fatto ad acquisire una notazione tanto negativa da diventare praticamente un insulto?
La cosa ha una sua logica: lo stato che occupa la penisola italiana è una realtà, probabilmente unica a livello mondiale con l'eccezione di contesti altrettanto involuti come gli Stati Uniti d'AmeriKKKa, in cui la conoscenza, la competenza e la consapevolezza -in una parola la cultura nel senso corrente del termine- vengano concepiti come tare, come intralci, come qualcosa di cui vergognarsi. In una realtà dove ci si appella quotidianamente all'ignoranza, invocandola a giustificativo per comportamenti demenziali, irresponsabili, idioti, pasticcioni o improntati all'incompetenza pura e semplice, e dove essa ignoranza costituisce quasi un motivo di orgoglio invece che qualcosa di vergognoso, non appare certo strano che dare di studente a qualcuno possa essere inteso come un grave insulto.

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