domenica 31 maggio 2009

Su una femmina a Firenze e su delle donne a Torino


La autodefinentesi "informazione" in internet ha continua necessità di contenuti per impaginare in maniera decente le vagonate di pubblicità su cui si regge.
La scelta di questi contenuti, normalmente, dà non poco da pensare chi abbia l'abitudine, fortemente scoraggiata in "occidente", di non assegnare a simili fonti più credibilità di quanta non ne meritino.
Normalmente, il grosso delle "news" presentate non riguarda certo eventi il cui verificarsi incide profondamente sulla vita degli individui o dei gruppi sociali: di quelli ci si occupa quando proprio non se ne può fare a meno, specie se si tratta di roba spiacevole per la proprietà o per i gruppi di interesse che usano la testata on line come mezzo di pressione lobbystica.
La funzione di riempitivo viene dunque assolta da aria fritta, presunte denunce sociali, inutilità assortite e soprattutto servizi fotografici scelti per dozzinalità e basso costo: qualunque sia l'argomento trattato, aprendo la homepage di una qualsiasi testata on line redatta nella lingua più diffusa nella penisola, si può essere sicuri di imbattersi in almeno tre articoli la cui sostanza è rappresentata da femmine con poca o punta roba addosso.
L'ubiquità e l'invadenza di questo genere di produzione dovrebbe dirla lunga anche sul valore umano e sul costo orario di certe professioniste.
Nonostante il contenuto di "news" di questo tipo sia andato cambiando nel corso dei decenni, la strategia mediatica per tirare a campare è rimasta più o meno la stessa. Giorgio Bocca riporta, in Storia d'Italia nella guerra fascista, il caso di corrispondenti di guerra che nell'inverno 1939-1940 dovevano raccontare la drôle de guerre francotedesca prendendo spunto da insignificanti azioni di pattuglia o allungando la broda con note enologiche sulla Mosella.
Comunque, chi non si scoraggia facilmente trova punti di riflessione interessanti anche partendo da materie spregevoli come la pseudocronaca quotidiana incentrata su questa mercanzia. Si farà dunque eccezione, stavolta, ad una linea editoriale che (i lettori affezionati se ne saranno accorti) non privilegia affatto le notizie copiaincollate dal mainstream.

Il "Corriere della Sera", nella stessa settimana di fine maggio ci ha presentato, sicuramente senza volerlo, un esempio dei soliti ed un esempio costruttivo.

L'esempio dei soliti è fiorentino.
Una qualunque messa in mutande nella piazza più centrale della città per reclamizzare una kermesse ecologica.
I mass media li hanno "bucati" con successo perché la sanzione toccata alla tizia, prevedibilissima da parte dagli organizzatori, è stata usata dalla stampa come pendant per scagnare contro un'amministrazione comunale che multa le donne in mutande ma non multa i mustad'afin che cercano di sopravvivere vendendo catenine, borse ed origami fatti di foglie verdi all'esercito di turisti presente in città ogni giorno dell'anno.

L'esempio costruttivo è torinese.
Una che non aveva di meglio da fare avrebbe scritto a "La stampa" lamentando la presenza di una donna osservante alla biglietteria della reggia di Venaria Reale, e proponendo in tutta serietà che si adottino piuttosto costumi "d'epoca sabauda". Come se le piemontesi non fossero andate in giro a capo coperto almeno fino agli anni Sessanta del passato secolo.
La reazione del personale è stata quella di presentarsi al gran completo al lavoro osservando lo hijab.
Adesso che al "Corriere della Sera" han deciso che dare di terrorista a chi gira con la kefiah al collo non conviene più, hanno inquadrato la "new" nella loro la linea editoriale appaiando all'articolo un editoriale in cui si trova comunque il modo di connotare negativamente lo hijab.

Si legga tutto con calma, si dia un'occhiata alle due immagini allegate, e si tragga poi qualche considerazione su chi è fuori posto e chi no.

martedì 26 maggio 2009

Firenze, una sera di maggio n'i' ddegrado, senza sihurezza...


...E cogli stranieri he' ci portan via i'llaòro.
La foto qua sopra viene da una pizzeria a due passi da Piazza del Duomo.
Date un'occhiata all'inglese della lavagnetta. Se chiediamo al nostro chois (qualunque cosa sia o non sia) una pizza e un orso piccolo -un orso vivo, si presume, visto che un orso di pezza sarebbe stato indicato col termine teddy bear- paghiamo solo quindici euro. Non si sa se al chois o all'orso.
In realtà indicazioni di questo genere si sono sempre viste: vent'anni fa era la volta della birra alla spina, indicata senza tirare in ballo gli orsi, ma comunque come beer at thorn. Ma adesso tutti hanno un computer in casa e sarebbe sufficiente una controllatina, due minuti sottratti alla vista di qualcuna di quelle cronachette scandalistiche travestite da "libera informazione", per rimediare almeno agli strafalcioni più ingombranti.
Ci sono venute in mente le persone incontrate in mezzo all'apparente nulla dell'Asia centrale. O le ragazze armene, uzbeke e tagike che a diciotto anni uniscono una presenza raggiante a competenze culturali che dalle loro parti sono perfettamente comuni e che qui le farebbero, nel miglior caso, trattare con sufficienza o con mal repressa derisione. O la russa ventenne che una sera d'estate, su una marshrutka di Leningrado, rispose perfettamente a tono ad una considerazione molto esplicita rivoltale in un romanesco dei più sguaiati.
Farebbero proprio bene, a vvenì qquì pe' portàgni via i'llaòro.

Il giro è proseguito fino all'arco di San Pierino e al khababi che c'è sotto, per finire alla Biblioteca delle Oblate e alla serata cantautorale in programma.
Questa qui sopra è la cafeteria della biblioteca, perfetta rappresentazione d'i'ddegrado di cui è interamente responsabile l'amministrazione fiorentina.

sabato 23 maggio 2009

Bianca Maria Giocoli candidata alle amministrative di Firenze


I casi sono due.
Il primo è che Bianca Maria Giocoli abbia fatto una autovalutazione delle proprie competenze politiche lucidissima e impietosa, il che la renderebbe una rara avis nella schiera vociante e spudorata dell'"occidentalismo" in generale.
Il secondo è che qualche copywriter abbia voluto divertirsi alle sue spalle.

martedì 19 maggio 2009

"La Nazione", Pisacane e Makiguchi


Si diceva qualche giorno fa della marmaglia giornalaia.
Quella di Firenze ha avuto anche il coraggio di offendersi per gli insulti ricevuti durante un corteo studentesco.
Ora, esiste un'ottima strategia comportamentale che è possibile mettere in atto quando non si vuole essere trattati da vermi del creato, da feccia del mondo, da cagnacci focomelici e da servi mediocri: consiste semplicemente nel non comportarsi da vermi del creato, da feccia del mondo, da cagnacci focomelici e da servi mediocri. Il problema è che per certo giornalame fiorentino la cosa sembra impossibile.
Due giorni dopo le spudorate lamentele per il trattamento ricevuto in piazza, "La Nazione" si adopera a tutta pagina nel tentativo, riuscito, di dimostrare a tutti che si meriterebbe ben di peggio.
Sul numero del 19 maggio 2009 si scrive che "Nove bimbi su dieci sono stranieri, un istituto romano cambia nome". La foto di due bambini intenti a studiare viene sormontata dal titolo "La scuola espugnata": "Le elementari "Pisacane" saranno intitolate al pedagogo giapponese Makiguchi Tsunesaburo. I genitori degli alunni italiani insorgono".
I due bambini paiono di origine africana, o qualcosa del genere: quindi mica sono seduti ad un banco per studiare, ovviamente: stanno tramando per espugnare una scuola, con la sicura complicità dei naziislamocomunisti eterogay, di AlQaeda e dei teorici della "politica del ventre" intesa come la intendeva una non rimpianta e ancor meno stimata "scrittrice".
La stessa testata giornalaistica, mesi fa, mostrò la foto di un africano all'interno di una chiesa (a Napoli un gruppo di senza tetto ne aveva occupata una) con il titolo "Se questo è un uomo". La patente di uomo non si sa bene chi la rilasci, se il Viminale o il "Quotidiano Nazionale" direttamente.
Un primo appunto da fare alla Silvia Mastrantonio che firma questo capolavoro è farle rilevare che una maggiore sobrietà di linguaggio non guasterebbe: scommettiamo qualsiasi cosa che le silviemastrantonio non hanno mai visto espugnare neanche una gabbia per criceti -figuriamoci una scuola, magari genovese, magari di nome Diaz- né tantomeno un'"insurrezione". Noi vedremmo molto volentieri un'insurrezione vera, che espugnasse un certo palazzo di piazza Ghiberti piuttosto che una scuola, ma andiamo pure avanti.
Carlo Pisacane finì malissimo, nel 1857, mentre insieme a qualche altra decina di combattenti irregolari stava tentando di accendere un'insurrezione contro l'ordine costituito. Un Pisacane che agisse oggi finirebbe senza tanti complimenti nel mucchio dei binladen, dei nogglòbal eccetera eccetera, e il gazzettismo "occidentalista" ne additerebbe al pubblico disprezzo la scelleratezza senza limiti e la giusta punizione ricevuta.
Tsunesaburo Makiguchi è ricordato da un sito web di buona fattura e di ottima leggibilità: l'esatto contrario del ciarlatoio pubblicitario de "La Nazione". La home page ne dà la descrizione che segue.

Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944) è stato un geografo all'avanguardia, un teorico dell'educazione ed un riformatore religioso che visse e lavorò durante i primi tumultuosi decenni dell'epoca moderna del Giappone. La sua opposizione al militarismo ed al nazionalismo giapponese lo portarono alla prigionia e alla morte nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
Makiguchi è noto soprattutto per i suoi due libri più importanti, La geografia della vita umana e Il sistema della pedgogia creatrice di valore, e per essere stato il fondatore, nel 1930, della Soka Gakkai, che oggi è la più grande organizzazione buddista del giappone e che conta dodici milioni di aderenti in tutto il mondo.
Costante, nei suoi scritti e nella sua opera di insegnante e di dirigente didattico, è la credenza nel ruolo centrale che la felicità ha per ogni individuo. Questo stesso assunto può essere rintracciato nella sua opera di riformatore religioso: lavorò per respingere i tentativi delle autorità di sovvertire l'essenza dell'insegnamento buddista, sottolineando il fatto che la religione esiste sempre per soddisfare necessità umane.

Ora, non si capisce perché la decisione di intestare una scuola ad un pedagogista di fama mondiale dovrebbe essere motivo di risibili "insurrezioni", cui destinare addirittura una prima pagina. Le reazioni indignate stanno tutte da una parte sola, una parte i cui eletti ed i cui elettori hanno da decenni eretto a motivo di vanto un'ignoranza che si estende a tutti i campi dello scibile umano e sulla cui conoscenza dell'insegnamento di Makiguchi è meglio non farsi alcuna illusione.
L'articolo riporta difatti l'asserzione di un certo Fabio Rampelli, che senza alcuna ironia statuisce "Immaginiamo la disinvoltura con la quale i ragazzini pronunceranno il nome della loro scuola"... Dove non arriva la malafede arriva l'incompetenza, e Rampelli deve saperne di bambini e di linguistica quanto il fondatore del suo "partito" ne sa di monogamia e di onestà.
PDL e Lega insorgono (sì, anche loro): "così si smantella la nostra cultura".
Fatta da elementi del genere, prodotto perfettamente rappresentativo di un contesto sociale in cui è motivo di vanto tenere intere conversazioni a monosillabi e grugniti, è probabilmente l'affermazione più divertente dell'intero testo. Ma stiano pur tranquilli, la loro "cultura" non corre alcun rischio: smantellare qualcosa che non esiste è parecchio difficile!


domenica 17 maggio 2009

Liceo Carcere Michelangiolo (farsa per sgazzebamenti, letterine e giornalame)


Il 16 maggio abbiamo preso parte ad una manifestazione piuttosto nutrita (migliaia di persone) convocata a Firenze in risposta ad un'alzata d'ingegno della gendarmeria, della quale crediamo di aver identificato con buona approssimazione almeno una parte dei
retroscena.
Le foto e i documenti qui riportati possono fornire qualche spunto sulla giornata; un confronto tra quanto succede nella vita reale e la descrizione che ne danno i pennaioli ed i guitti della politicanza "occidentalista" non può che rappresentare un'operazione costruttiva.

Il corteo ha seguito un percorso abbastanza tipico, partendo da piazza San Marco, percorrendo il centro storico e concludendosi in Piazza d'Azeglio. Una differenza sostanziale, al colpo d'occhio, è nella partecipazione; il materiale per verificare la cosa è dato dalle foto del corteo pubblicate in giro per il web. Contrariamente alle "manifestazioni" cui partecipano le poche decine di interessati che si accalcano a questa o a quella greppia rappresentata da un partito istituzionale, c'erano pochissime bandiere (di partito, quasi nessuna) e moltissime persone. Le scarse presenze di piazza dell'attivismo "occidentalista", rappresentato a Firenze da un'Azione Giovani in via di smantellamento, sono orientate in senso opposto in considerazione di esigenze mediatiche di cui l'attivismo politico di base non ha alcuna ragione di occuparsi, ed arrivano per questo ad exploit grotteschi, tipo due bandiere per partecipante.


Percorrendo via Martelli verso il Duomo c'è un'edicola. Le locandine esposte quel giorno rendevano abbastanza l'idea il rapporto sempre più labile che i giornalisti hanno con la realtà e al tempo stesso confermavano la pervasività della scala dei valori "occidentali". Si noti "Il Giornale della Toscana": il centro città era così blindato che il corteo ha potuto percorrere per intero via Calzaiuoli, uno dei tanti (troppi) salotti buoni di Firenze... ma a quelli di via Cittadella non è parso il vero di far passare avanti 'sta faccenda, scalzando dalla headline uno di quei casi di corruttela spicciola talmente diffusi che c'è da pensare rappresentino l'essenza della vita associata contemporanea, di quella western way of life che in quella redazione devono difendere col sangue. Il giorno seguente "Il Giornale della Toscana" lamenterà al suo scarso pubblico che la presenza del corteo cittadino ha sottratto ai candidati del palloniere Giovanni Galli una preziosa giornata di propaganda. Davvero roba da dispiacersi.
"Il Nuovo [ah, e che ci sarebbe di "nuovo"?, N.d.R.] Corriere di Firenze" tiene famigghia, e non può certo alzar la cresta affrontando argomenti degni di questi anni di sostanziale smantellamento della democrazia, di economia a pallino, di impoverimento generale e di sistematica distruzione dei diritti acquisiti. Per lo meno riesce ad ottimizzare le risorse: risparmia paroloni e fiato e lascia il campo a una con poca roba addosso. Quella pare la capiscano anche gli "occidentalisti".


Dopo un percorso piuttosto lungo per tutto il centro città, il corteo è tornato nella zona da cui era partito, dirigendosi al Liceo Carcere Michelangelo, sedicente fucina dei talenti e della classe dirigente del domani. Da qualche anno in qua sulla facciata compare anche una lapide che ricorda gli ex studenti rimasti vittime della seconda guerra mondiale, tra i quali l'oculista e rav Nathan Cassuto. Questo non significa che certi fasti debbano finire nel dimenticatoio: tutt'altro. Il liceo tramanda dunque orgoglioso il nome e l'esempio di due partecipanti all'aggressione contro l'Etiopia. Settant'anni dopo la coerenza e la logica vorrebbero che gli studenti di oggi andassero a far la fila al distretto: quale migliore prospettiva, per i fiorentini diciottenni, dello spargere le proprie interiora sull'asfalto di qualche cittadina irachena?


Alla facciata del liceo, ottimo pendant alla lapide su descritta, è finito appeso uno striscione che inquadra con buona approssimazione il ruolo del preside -pardon, del "dirigente scolastico" o come altro li chiamano da quando li hanno nominati manager per decreto legge- nelle procedure di incanalamento e soprattutto di repressione del dissenso messe in atto negli ultimi mesi.
Sul sito istituzionale del liceo è apparsa attorno alla metà del mese una lettera firmata dal dirigente scolastico Massimo Primerano.
Non sapremmo dire se il testo ispiri più tenerezza o più indignazione. Massimo Primerano, in pratica, ammette d'aver abboccato come un ghiozzo all'esca avvelenata servitagli da un giornalista, e poi tìtuba, annaspa e cincischia di "rispetto delle idee e della legalità" in nome di ciò che secondo ogni evidenza gli sta a cuore davvero: "salvaguardare l'immagine del liceo".
Il concetto ed il discrimine di "immagine" hanno acquisito importanza nel corso degli anni Ottanta del passato secolo, quando tutti i canali di comunicazione sono stati incrostati da un'ideologia che nell'"immagine", strettamente connessa con il tornaconto, aveva uno dei propri punti fermi. Anzi, l'unico punto fermo, verrebbe da dire, trasformando dapprima la vita quotidiana in una passerella di stracci firmati, e poi imponendo con gli anni la stessa "firma" a tutti gli aspetti della convivenza civile, con l'ovvia stigmatizzazione di chi non si adeguava e a tutt'oggi non si adegua.
Ora, a questo "disimpegno" lodatissimo nelle redazioni, si affianca una realtà di fatto ormai priva di alcun freno e di alcun ritegno: la penisola italiana è saldamente in mano ad una cricca di politicanti cui tutto è concesso, e che da decenni offre di sé il più miserando e ripugnante degli spettacoli, costituendo in questo un perfetto specchio dei sudditi, delle cui aspirazioni e dei cui "valori" è il perfetto sublimato. Sotto, una marea crescente di individui dal potere d'acquisto in libera caduta non da oggi, ma da decenni, da tenere buoni con tutti i sistemi leciti e non; l'importante e che non facciano (e possibilmente neppure si facciano) domande scomode, e che non disturbino il manovratore. Un'adorazione del diritto di proprietà che già il sacerdote cattolico Lorenzo Milani definiva mostruosa ed un'idolatria per i potenti che assegna validità di legge sacra ad ogni editto da questi partorito completano il quadro in cui si sdipana una realtà quotidiana sempre più umiliante e avvilente.
Non bastando tutto questo, negli ultimi anni potenti e sedicenti tali hanno spesso affiancato ad uno stato di cose già orribile anche la frequente ostentazione di una disumanità profonda e condivisa.
In questa situazione, che Massimo Primerano si occupi innanzitutto della salvaguardia di un'"immagine", e che lo faccia tirando in ballo una "legalità" di cui i protagonisti del lunare mondo cui compartecipano gazzettieri e politici fanno strame in ogni loro atto, non può certo sorprendere.
Può sorprendere invece la convinzione con la quale lui, e soprattutto la ben retribuita pattuglia che tutela sui media e nelle sedi istituzionali i "valori" dei benpensanti della città, pensano che negare un luogo d'aggregazione possa per il futuro metterli al riparo da certe brutte sorprese. Nel mese di Jumaada al-Awwal del 1430, epoca di comunicazione diffusa a livelli capillari, hanno l'atteggiamento di chi, trovatasi la città piena di volantini di denuncia, pensi a rastrellarne le cartolerie per requisire cannucce e inchiostro di china, paventandovi gli strumenti principe di ogni sovversione.
Va qui ricordato come uno dei più grandi rivoluzionari del secolo passato, Ruhullah Musavi Khomeini, prima messo dalle autorità iraniane in condizione di non poter più parlare in pubblico e alla fine esiliato nel confinante Iraq, avesse cominciato ad incidere su nastro i suoi discorsi, e a farli clandestinamente entrare nel paese partendo dalla città di Najaf...


Il corteo, al quale si sono mescolati gli autori di lecturae dantis tenutesi in giro per Firenze il giorno stesso, turisti, passanti ed ogni altro rappresentante di una realtà viva e vitale nonostante gli sforzi di una marmaglia giornalaia cui in tutta la giornata sono andati forse un millesimo degli insulti che meriterebbe, si è chiuso in una piazza d'Azeglio piena di bambini che giocavano, documentata in quest'ultima foto. Migliore smentita a i'ddegrado e alla sihurezza dei giornali, non sapremmo trovarne.

venerdì 15 maggio 2009

Il "Corriere della Sera" e la crisi economica: PIL giù di sei punti...


Il titolo che compariva sulla homepage del Corrierone a metà giornata del quindici maggio.
Colpa o cialtroneria? Chi lo sa.
Se governava Mortadella avevano trovato comunque il modo di dare la colpa a lui, che già era colpevole delle fosse di Katyn e della repressione della rivoluzione ungherese!

giovedì 14 maggio 2009

Achille Totaro e l'ordine ristabilito


Achille Totaro è di Scandicci ed è grasso.
Fine delle caratteristiche salienti.
Una carriera politica a passo di carica lo ha portato dall'università di Firenze, dove ha trascorso interi lustri spiaggiato come un capodoglio e ovviamente senza laurearsi, a quella che, tra le istituzioni dello stato che occupa la penisola italiana, viene definita Senato della Repubblica.
Dopo lo sgazzebamento del palloniere avvenuto il 25 aprile, e dopo aver ricevuto -anche personalmente- altre e tutto sommato ancor più innocue attestazioni dell'aperta disistima di cui la sua parte politica gode a Firenze, Achille Totaro ha affilato le armi: "Il Giornale della Toscana" del 10 maggio intitolava: «Clima intollerabile andrò dal ministro Maroni» un lungo e stizzito articolo in proposito.
E' possibile supporre, in considerazione degli avvenimenti dei giorni successivi, che le lamentele al Viminale, accompagnate dall'operato di coprotagonisti capacissimi a livello istituzionale di vendettucce trasversali di livello ancora più basso, abbiano avuto al centro un concetto abbastanza elementare: possibile che i gendarmi di stanza a Firenze non siano capaci di sistemare una vagonata di ragazzini?
La risposta arriva a stretto giro di posta meno di trentasei ore dopo. L'11 maggio la gendarmeria sistema effettivamente una vagonata di ragazzini, smentendo coi fatti i timori di questo campione d'"Occidente".
Con quale risultato?
Col risultato che gli abitanti di via della Colonna e di altre strade del centro hanno aperto i portoni delle case per offrire vie di fuga ed assistenza concreta alle vittime delle cariche, roba che non si vedeva dagli anni Settanta, e che il coro di biasimo (se non di apertissimo disprezzo) verso l'operato della gendarmeria ha invaso la Firenze reale, fermandosi ovviamente solo sull'uscio delle redazioni.
Una cosa che dà ancora una volta la misura, a chi ne avesse ancora bisogno, della differenza che passa tra la vita vera e la sua rappresentazione politicante e giornalaia.

martedì 12 maggio 2009

Enrico Bosi: una laurea ad honorem in biblioteconomia


Questa storia è un po' vecchia, ma non è certo male approfondirla perché aiuta a rimettere al loro posto tanti palloni gonfiati da campagna elettorale.
Enrico Bosi, consigliere comunale fiorentino del piddì con la elle ricandidato anche per il prossimo giro, è già noto ai nostri ventitré lettori per aver tenuto alta la bandiera dell'autoreferenzialità lunare con cui personaggi mediatici e politici di vario genere si assistono a vicenda nei reciproci interessi, per aver accusato di lascivia l'amministrazione comunale o per la profonda conoscenza delle tematiche legate all'antirazzismo.
Nel 2007 un gruppo di mustad'afin fiorentini ha occupato e rimesso all'onore del mondo una vecchia casa umbertina in riva al torrente Ema, nel sobborgo del Galluzzo.
Tra le mirabili proprietà di ogni occupazione c'è quella di attivare all'istante l'"occidentalista" di quartiere. Enrico Bosi ha chiuso il librone con l'opera omnia di Oriana Fallaci sul quale stava sonnecchiando beato, e si è attivato per chiedere lo sgombero dello stabile. Va da sé che senza mustad'afin, nessuno si sarebbe occupato della palazzina di qui alla fine dei secoli: ma così non è stato, e dal momento che gli occupanti della neonata Riottosa (questo il nome dello squat) non hanno mai dato fastidio a nessuno, Enrico è stato letteralmente costretto a fare un'arrampicata sugli specchi che ha qualcosa di prodigioso.
L'interrogazione da lui presentata il 31 ottobre del 2007 merita una lettura approfondita, perché è il solito lavoretto di malafede, neanche dei più sfacciati. In particolare, Enrico Bosi lamenta che "l’immobile, con ogni probabilità, già vincolato dalla Sovrintendenza, si trova in un’area demaniale prossima alla Certosa ed al ponte Bailey e che ne è stata decisa la destinazione come sede della biblioteca della Certosa, in attesa da decenni di una nuova collocazione definitiva" per chiedere poi al sindaco, due righe più sotto, "Quale destinazione è stata attribuita all’immobile". Questo sì che è avere le idee chiare.
La Certosa di Firenze è un complesso immenso, nel quale vivono oggi 7 (sette) frati; deve proprio mancare il posto perché si debba pensare a trasferire una biblioteca in una sede distaccata come la palazzina dei telegrafi.
Una palazzina che si trova in una delle zone più umide del quartiere.
Tanto varrebbe scaricare i libri direttamente nel fiume.
Ecco perché proporremmo volentieri Enrico Bosi per l'affidamento ai servizi sociali per una laurea ad honorem in biblioteconomia.

venerdì 8 maggio 2009

I criminali extracomunitari imperversano a Firenze


Per la stampa ammanicata (tutta) l'evento clou del 7 maggio doveva essere il comizio elettorale del palloniere Giovanni Galli, tenutosi al Piazzale Michelangelo ed al quale ci siamo ben guardati dal partecipare.
A giudicare dalle poche foto a disposizione, che lo ritraggono da solo davanti ad una gigantografia con il suo slogan ed evitano accuratamente di mostrare il pubblico (cui non si fa cenno neppure nei pochi articoli che abbiamo scorso) la partecipazione popolare non deve essere stata di portata oceanica.
E' arrivato invece un evento inaspettato e tragico, a scombinare impaginazioni già pronte da un bel pezzo.
Un extracomunitario mezzo nudo, ubriaco e drogato ha ammazzato un pensionato dentro casa sua. Questa, molto in sintesi, la maniera con cui le gazzette hanno presentato i fatti.
Accidenti, roba da andarci a nozze, roba da riempire un mese di cartacce con di piagnistei su i'ddegrado, di invettive sulla sihurezza, di savi pareri di fancazzisti strapagati e mangioni fatti piombare in città a dar prova della loro facondia nell'insultare e della loro incompetenza su problemi di qualunque genere.
Ma non si può fare, maledizione.
L'extracomunitario è statunitense.
Intoccabile.
Le attribuzioni causali dei giornalai si concentrano quindi sulle condizioni psicofisiche di Robert Jonathan Hindenach,ventiquattro anni, del Michigan, che potrebbe aver agito nel corso di un episodio maniacale, delle cui manifestazioni psicotiche le gazzette danno sommario conto.
Nessuno a chiedersi se fosse o meno "in regola con il permesso di soggiorno", l'assenza del quale viene intesa dalle gazzette come un via libera per incrudelire gratuitamente ed a man salva.
Adesso proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo se l'extracomunitario non fosse stato nordamericano. Esiste una fitta letteratura ampiamente disponibile e rintracciabile dalla quale si può concludere che in casi analoghi le attribuzioni causali si concentrano invece sulla provenienza etnica del protagonista e sulla demonizzazione del suo gruppo sociale di provenienza.
Il vocabolo extracomunitario ha una connotazione pesantemente negativa: così negativa che in occasione di fatti di sangue particolarmente efferati alcuni giornaletti come "La Nazione", i cui centocinquant'anni di sopravvivenza in barba alla bassezza che trasuda da ogni pagina rappresentano effettivamente un fenomeno sorprendente, in più di un caso hanno recentemente promosso ad extracomunitari onorari dei cittadini della Repubblica di Romania, che dell'Unione Europea è membro da anni.
E per gli extracomunitari, intesi come i gazzettieri li intendono, nessuno scomoda la psichiatria. Si attiva al contrario il circo becero dei politicanti, che hanno gioco facile contro individui marginalizzati di default e costretti il più delle volte a vivere in un vuoto pneumatico sociale grazie al clima di terrore permanente che i mass media hanno imposto alla penisola e dal quale una cricca di scaldatori di poltrone trae di che rinviare sine die la propria frequentazione dell'ufficio circoscrizionale per l'impiego.
L'"Occidente" è dissennato e coltiva questa dissennatezza come si fa con tutte le buone fonti di reddito, senza curarsi di fare letteralmente strame di migliaia di esistenze abituate a contesti sociali più normali, rimasti a tempi in cui, per esempio, era normale salutarsi per strada senza essere guardati con sospettosa curiosità dagli interlocutori.
La gente di Beit Al Faqih. Si facciano tutti i paragoni che si vogliono con l'ambiente psicopatogeno della "grande distr(ib)uzione".
Il principale e più velenoso frutto dell'individualismo dogmatico e demente spinto dal mercato e dalla feccia che incrosta le redazioni e le stanze dei bottoni è rappresentato dalla criminalizzazione di ogni relazione sociale che non comporti la forsennata ottimizzazione delle transazioni economiche.
In questa situazione c'è se mai da stupirsi che la distruttività estrema cui possono condurre certi disturbi del comportamento non si presenti più spesso di quanto non faccia.

mercoledì 6 maggio 2009

"Il Giornale della Toscana", il palloniere sgazzebàto e la vacuità "occidentalista"


Gli sforzi con cui dalla redazione fiorentina di via Cittadella ci si adopera in favore di Giovanni Galli -spedito dal padrone a Firenze per conferire rispettabilità ai fans di Codreanu che costituiscono una parte non trascurabile dell'elettorato passivo del Piddì con la elle per le amministrative del 2009- sono di una ridicolaggine a suo modo eroica.
Vivere per 10 (dieci) giorni su un insignificante episodio di cronaca contraddirebbe molti degli assunti condivisi dalle odierne scienze delle comunicazioni, ma a Firenze se si vuole uscire in edicola si è costretti a questo, stante la nullità di argomenti alternativi provvisti da una congerie elettorale di afasici, piccini, minus habentes, casi umani, valletti di camera e buoni a nulla di varia provenienza e di varia incompetenza che per anni, attraverso la continua e asfissiante produzione di comunicati stampa, hanno dato pubblica prova della propria desolante pochezza.
Il 6 maggio "Il Giornale della Toscana" torna sulla vexata quaestio dello sparecchiamento gazebi invisi: il preside del liceo carcere Michelangelo avrebbe reagito alla vicenda... vietando agli studenti di invitare "esterni", ossia persone non iscritte alla scuola, alle loro assemblee.
L'eventualità caldeggiata dai redattori di questo quotidianello è chiara. Sperano di trovare abbastanza lettori capaci di credere che un "provvedimento" simile serva ad evitare il ripetersi di casi analoghi.
Nell'epoca di internet e dei cellulari.
L'altro punto saliente della mezza pagina di cellulosa tolta ad usi più costruttivi da questo vaniloquio è l'asserzione secondo la quale nel gazebo di Giovanni Galli "non vi era traccia di vecchi e nuovi fascismi".
Un esercizio di stile sul registro abituale della propaganda, che è quello di negare l'evidenza.

L'episodio che additiamo qui al pubblico sprezzo rafforza una sensazione precisa. Quella che la propaganda "occidentalista" ruoti attorno a parole d'ordine sempre identiche, sempre dettate dall'alto secondo strategie di marketing la cui efficacia dipende però molto dall'effetto recency costruito partendo da eventi della vita cittadina capaci di fornire ad esse qualche appiglio. Se questi eventi mancano -nessun "rumeno" violentatore, nessun "islamico" colpevole di respirare in pubblico...- il reiterare continuo dei medesimi argomenti rischia di diventare controproducente e di restringere il target del pubblico. La vicenda del quotidianello in oggetto, che neppure raggiunge tutte le edicole della città di Firenze, è un buon esempio di quanto può succedere.
In casi come questo, un pubblico ristretto finisce per coincidere con una claque e per ricalcarne i comportamenti; in via Cittadella lo sanno benissimo, e le "lettere al Direttore" dànno voce pressoché esclusiva ai più pedestri esempi di "occidentalismo" a tutta prova.
Nel numero del 3 maggio 2009 si trova appunto la lettera, che con rara inventiva ed originalità si è provveduto a intitolare "Firenze ha bisogno di sicurezza" (se no andava bene "Firenze contro il degrado" o "Firenze per la libertà", tanto il risultato non cambia). E' firmata Maria Rita Monaco.
Una Maria Rita Monaco, stando a Google, è autrice di oziose considerazioni sui ganci da tramvia, sui danni di una TAV i cui contestatori sono stati accusati per anni delle peggiori nefandezze, e figura nello statuto di un'associazione denominata Firenze c'è, che già dal nome fa pensare che l'esistenza stessa della città di Firenze sia subordinata e conseguente a quella dell'associazione!
La lettera di Maria Rita Monaco condensa generici piagnistei sulla "vivibilità" cittadina che in nulla si discostano da un cliché inalterato da decenni. Presenta peròe alcuni interessanti esempi di attribuzione causale, tipici del "pensiero" a cui "Il Giornale della Toscana" intona la propria linea editoriale.

[...] Basta una partita di calcio, quando ai tifosi veri si aggregano, ovviamente approfittando della folla, i violenti di professione, per mettere sotto sequestro gli abitanti di un intero quartiere; basta la celebrazione di una festa, che dovrebbe essere di tutti gli italiani, perché altri violenti di professione assaltino gazebo a loro non graditi, senza curarsi di turisti e cittadini che assistono impotenti alle loro esternazioni; un clima intimidatorio sta cercando di inquinare il clima delle elezini e tutti noi dovremmo sapere che non c'è bisogno di renderlo ancora più pesante.

L'assunto secondo il quale la violenza palloniera sarebbe fomentata da individui che per questo percepiscono un compenso -il riferimento alla loro "professionalità"- rivela una nulla conoscenza del pallonaio, ma scopre uno dei pilastri del pensiero "occidentalista", nella cui prospettiva è assolutamente inconcepibile che si possa intraprendere alcunché senza guadagnarci di persona.
La "festa" cui Maria Rita Monaco si riferisce è quella del 25 aprile, che nella penisola italiana celebra una "liberazione" sulla quale una consistente parte dell'elettorato "occidentalista" ha sputato e continua a sputare sprezzante; ciò dovrebbe bastare per non considerarla la festa di tutti... specie se consideriamo che certi atteggiamenti improntati alla sufficienza sprezzante sono momentaneamente finiti nel cassetto solo dopo un perentorio ordine di scuderia partito diritto dall'ufficio del padrone.
Tornano poi i "violenti di professione": che una formazione politica i cui demeriti abbiamo più volte messo in luce possa essere oggetto di gratuito odio, è evidentemente inconcepibile; l'aspetto più grave della questione, poi, non è certo legato alla libera espressione delle idee politiche ma a quello che "turisti e cittadini", di cui si statuisce l'"impotenza", potrebbero pensare dell'episodio. Come dire "fate quello che volete, ma non nel salotto buono di piazza Strozzi, riservato a noi eletti".
Sul "clima intimidatorio" ci sarebbe da profondersi in considerazioni anche più pesanti: ai tempi dell'aggressione yankee all'Iraq, un medio calibro toscano di Forza Italia lasciò intendere ai giornali che "avrebbero preso i nomi di tutti coloro che esponevano le bandiere della pace". Per capire la portata della bestialità detta e per lanciarsi in una smentita da barzelletta gli bastarono ventiquattro ore...
Proseguendo, Maria Rita Monaco passa ai suggerimenti concreti.

Poi si urla allo scandalo se qualcuno chiede l'intervento dell'esercito.
Cosa altro fare per difendersi da questa violenza assurda se non chiedere l'aiuto e l'intervento di chi è ancora in grado di difendere i cittadini?

Lo stato che occupa la penisola italiana arma i propri soldati con il fucile d'assalto AR70 calibro 5.56. Seicentoottanta colpi al minuto. E' evidente che Maria Rita Monaco, che fino a prova contraria non soltanto non ha mai sentito l'odore che promana da una ferita ai visceri, ma non ha fatto un minuto di trincea in vita sua, considera l'utilizzo di simili sistemi il miglior rimedio a qualunque tipo di manifestazione vitale, da quelle dei pallonieri a quelle degli attivisti politici.
Sembra quasi che se lo auguri, il sangue nelle piazze. La morte di Carlo Giuliani fu d'altonde salutata a suo tempo dagli "occidentalisti" con un vero e indimenticabile boato di gioia.
E' interessante notare che è da individui di questo genere, che tanto si scaldano se qualcuno gli entra con gli anfibi nel salottino buono, che arrivano di solito gli apprezzamenti per i bombardamenti a tappeto e per le "esportazioni di democrazia".
La lettera chiude con la considrazione che segue.

Ci aspettano tempi duri non certo per merito di chi sta cercando di cambiare le cose a Firenze con una discontinuità vera, ma a causa di coloro che vorrebbero lasciare tutto come è, fingendo di voler cambiare tutto.

Nessuno dubita che a Firenze ci sia qualcuno che sta cercando di cambiare le cose.
In peggio.
Ben vengano dunque per lui, o per loro, i tempi duri.

domenica 3 maggio 2009

Giovanni Galli, palloniere sgazzebàto (reprise)


Questo blog viene redatto e seguito gratis da un signor nessuno, che scrive per altri signori nessuno, e di solito vivacchia con una ventina di visite al giorno. Questo, nelle giornate di grazia.
"Il Giornale della Toscana", di suo, avrebbe tirature appartenenti allo stesso ordine di grandezza, ma siccome non se lo può permettere dal momento che ci sono di mezzo un sacco di quattrini e forse anche qualche voto, ogni notiziola politicamente accettabile -e sfruttabile- va tenuta artificialmente in vita con vere e proprie operazioni di accanimento terapeutico. In via Cittadella sono dei maghi, in operazioni del genere: sicché lo sgazzebamento del palloniere (una "new" praticamente decrepita, essendo trascorsa una settimana e più dal fatto) offre il pretesto per un'altra mezza pagina anche domenica 3 maggio.
Una settimana di bizze e di pestar di piedii per un petardo e un paio di fumogeni. Ah, i gravi problemi di Firenze, i'ddegrado e la sihurezza...!
Alla truppa del "Giornale della Toscana" verrebbe da consigliare una domenica al pallonaio di Campo di Marte o, in alternativa, una mezza giornata con il feudo elettorale fascista rappresentato dagli adepti del Pallone Travestito, una sorta di pallonaio temporaneo che a Firenze si mette in piedi un paio di volte l'anno in una piazza del centro; quattro squadre di energumeni regolano su un campo di tufo le pendenze di un anno di sgarbi, sgarri, lavori e lavoretti sempre nebulosi e spesso scaltri. Se con un petardo hanno campato una settimana, con qualche ora di discorsi e di propositi da grand guignol e con gli scambi di cortesie cui sono usi i frequentatori di pallonaio, potrebbero programmare le rotative un mese per l'altro e lavorare al massimo un paio d'ore la settimana. Il giornale in edicola ci arriverebbe comunque e farebbero meno fatica.
Ora, sappiamo tutti benissimo che realtà del genere sono intoccabili perché a Firenze rappresentano alcuni tra i pochi serbatoi di voti cui il pallonier Galli possa guardare con un minimo di speranza; avanti tutta, dunque, con l'autoreferenzialità del gazebo sparecchiato.
L'articolo in sé non offre nulla di particolarmente rilevante e conferma soltanto un dato di fatto acquisito da tempo: i guitti che a Firenze rappresentano il Piddì con la elle recitano a meraviglia. Il copione è un po' monotono perché mettono in scena sempre lo stesso spettacolo, in cui interpretano loro stessi che si rifiutano di credere di essere oggetto della disistima, se non dell'odio, di una consistente parte della cittadinanza.
Di recita si tratta, e di recita in malafede. A sostegno di questo assunto esiste una casistica sterminata. Una casistica in cui il comune denominatore che unisce comunicati stampa, interviste ed altro ciarpame "occidentalista" mandato tutti i giorni ad ingolfare i mass media è costituito dalla continua delegittimazione democratica degli avversari politici. Facciamo soltanto un esempio.
Nel marzo 2003 l'ubriacone Bush e la sua manica di gangster stavano accingendosi ad aggredire l'Iraq e a scoperchiare un vaso di Pandora che avrebbe finito per spazzare via milioni di vite e per ridurre l'AmeriKKKa da Unica Superpotenza Mondiale a Paese Come Un Altro E Speriamo Di Cavarcela Che Ancora Non E' Detta.
Nella penisola italiana l'adesione "occidentalista" alle menzogne della propaganda yankee non ammetteva dubbi o diversioni, pena la gogna mediatica come propedeutico della galera vera e propria.
Ai tempi, coordinatore toscano di Forza Italia era un certo Roberto Tortoli.
La Toscana grondava bandiere iridate; di quella guerra non voleva sentir parlare, rivelando in questo doti di preveggenza assolutamente degne di cittadini che, pur impegnandosi a fondo, gli "occidentalisti" non sono ancora riusciti a degradare a sudditi; dulcis in fundo, negli stessi giorni il padrone in visita nel Chianti venne accolto a fischi, insulti e male parole.
Tutta roba che può disturbare, ma sempre meno molesta di uno solo di quei B52 per i quali quest'aggregato di miserabili ha fatto compatto il tifo.
Il Tortoli definì la Toscana "un buco nero nella democrazia".
Elettoralmente non è una gran pensata, a guardar bene. Sputare nel piatto dove si mangia, e partendo da assunti che a distanza di sei anni hanno rivelato tutta la loro spregevole disumanità, si è rivelato molto controproducente.
La politica reale non è quella delle televisioni. Chi è aduso a ricorrere -e a fidarsi- più di queste che di quella, ed ha fatto proprie istanze come quelle di cui abbiamo fatto minuscolo cenno, a Firenze deve mettere in conto un'accoglienza anche peggiore.
E Roberto Tortoli? Deputato. Con qualche problemuccio di poco conto.